amnesia
Per amnesia si intende la
mancanza o la perdita della memoria, soprattutto come incapacità a
rievocare esperienze passate. Nel linguaggio della neuropsicologia si
distinguono l'amnesia 'anterograda' e quella 'retrograda' o
'retroattiva'. Si parla di amnesia anterograda quando la perdita dei
ricordi è relativa a eventi che si sono verificati dopo un trauma
cranico o dopo una malattia, il che implica l'incapacità di memorizzare
nuove esperienze. L'amnesia retrograda si riferisce invece a eventi
precedenti il trauma o la malattia i quali hanno provocato la perdita
dei ricordi, un vero e proprio 'buco' nella memoria. In un'accezione
più ampia, le amnesie fanno parte dei processi di oblio, che
contribuiscono a far sì che alcune memorie decadano, siano meno vive o
vengano riaggiornate. In questo senso, le amnesie rappresentano fatti
comuni nell'ambito dei processi cognitivi, legati sia a una momentanea
difficoltà di accesso alla memoria, sia a un blocco, spesso emotivo o
indotto da dinamiche inconsce.
sommario: I. Studi sperimentali. 2. L'amnesia infantile. 3. Memoria e
oblio. □ Bibliografia.
I. Studi sperimentali
Lo studio sperimentale delle amnesie risale all'inizio del Novecento,
quando G.E. Müller e A. Pilzecker sottoposero alcuni volontari a un
esperimento durante il quale essi dovevano apprendere del materiale
verbale composto di sillabe o numeri. Se veniva loro richiesto di
imparare dell'altro materiale subito dopo il primo apprendimento, essi
dimenticavano il materiale appreso nella prima seduta, mentre l'oblio
era meno rilevante se intercorreva un certo lasso di tempo tra le due
sedute. I due psicologi tedeschi giunsero alla conclusione che la
seconda seduta di apprendimento esercitava un effetto negativo sulla
memorizzazione, in quanto interferiva con il consolidamento del primo
apprendimento e produceva una perdita della memoria, la cosiddetta
amnesia retrograda (Müller-Pilzecker 1959).
Il concetto di 'interferenza retroattiva', alla base dell'amnesia
retrograda, venne ripreso intorno alla fine degli anni Quaranta dagli
psicologi sperimentali che, oltre a ispirarsi agli studi di Müller e
Pilzecker, erano stati suggestionati dai dati clinici ottenuti da U.
Cerletti e L. Bini, gli psichiatri italiani cui si deve l'introduzione
dell'elettroshock nella terapia delle psicosi. Questa pratica
terapeutica, oggi utilizzata sotto anestesia generale prevalentemente
nella terapia delle forme depressive gravi, comporta una
disorganizzazione di varie funzioni nervose, tra cui un effetto
amnestico che colpisce la memoria degli avvenimenti verificatisi prima
del trattamento elettroconvulsivo. Un effetto analogo si verifica a
seguito di traumi cranici, per es. quelli da incidenti automobilistici,
dove la persona presenta un'amnesia selettiva per gli eventi
immediatamente precedenti l'incidente, mentre i ricordi più antichi non
subiscono alterazioni.
Questo tipo di amnesia retrograda si riscontra anche negli animali
sottoposti a un trattamento con elettroshock subito dopo il test di
apprendimento e costituisce un modello sperimentale in uso per studiare
i tempi e i modi del processo di consolidamento, sin da quando C.P.
Duncan (1949) stabilì che l'effetto amnestico dell'elettroshock è tanto
più evidente quanto più il trattamento è vicino alla fine
dell'esperienza di apprendimento. Nel suo esperimento, divenuto ormai
un classico negli studi sperimentali sulla memoria, Duncan utilizzò
diversi gruppi di ratti che dovevano imparare a evitare una blanda
punizione e notò che si verificava un'amnesia retrograda soltanto nel
caso in cui l'elettroshock venisse somministrato entro un'ora dalla
fine dalla prova, mentre l'apprendimento non veniva alterato se
l'elettroshock era più tardivo. Secondo l'interpretazione data da
Duncan di questi risultati, se entro breve tempo dalla fine di
un'esperienza si perturba l'attività elettrica dei neuroni attraverso
l'azione dell'elettroshock si interferisce con il consolidamento della
memoria, mentre trattamenti più tardivi sono inefficaci in quanto si
sono formate delle stabili modifiche a livello delle sinapsi.
L'elettroshock modifica quindi il consolidamento della memoria
attraverso un'amnesia retrograda che impedisce il passaggio della
memoria dalla forma a breve termine (ancora fragile, in quanto legata a
perturbazioni elettriche dei neuroni e delle loro sinapsi) a quella a
lungo termine, legata a modifiche ormai stabili della funzione e della
struttura delle sinapsi nervose. Nell'uomo il fenomeno dell'amnesia è
ancora più complesso perché, oltre alla memoria a breve termine e a
quella a lungo termine, noi possediamo anche una memoria 'procedurale'
e una 'dichiarativa' o 'proposizionale' (v. memoria).
La memoria di tipo procedurale, legata cioè ad abilità, viene espressa
essenzialmente attraverso prestazioni di tipo motorio, non è
accessibile alla coscienza, è estremamente antica dal punto di vista
filogenetico e compare precocemente nel corso dello sviluppo
postnatale. Al contrario, la memoria di tipo dichiarativo, che
acquisisce informazioni su fatti ed episodi, è accessibile alla
coscienza e rappresenta una tappa abbastanza tardiva sia in termini
evoluzionistici, in quanto può essere considerata tipica dei
Vertebrati, sia in termini di sviluppo postnatale umano. Una differenza
sostanziale tra i due tipi di memoria, come hanno indicato B. Milner
(1970), L.R. Squire e S. Zola-Morgan (1988), consiste nel fatto che le
memorie di tipo procedurale vanno difficilmente incontro all'amnesia e
non sono colpite da trattamenti inibitori come l'elettroshock. Inoltre,
strutture nervose come l'ippocampo e la regione temporale media,
responsabili dell'integrità delle memorie di tipo dichiarativo ‒ che
vanno incontro a una grave disorganizzazione nel caso di lesioni
localizzate nell'ippocampo e nella regione temporale media ‒, non sono
invece responsabili delle memorie di tipo procedurale. Il ruolo critico
esercitato dall'ippocampo nei processi di richiamo delle memorie, e
quindi nell'amnesia, è stato accertato dagli studi di Milner e in
particolare dalle sue osservazioni su un paziente, H. M. Questi era
affetto da una gravissima forma di epilessia e, in seguito agli
insuccessi di terapie farmacologiche, fu sottoposto a un intervento
chirurgico in cui venne praticata una resezione bilaterale delle aree
temporali mediali dell'ippocampo. Dopo l'intervento, l'epilessia di H.
M. subì una netta regressione, ma la sua memoria rivelò un deficit
gravissimo, un'amnesia anterograda che comportava la permanenza dei
ricordi consolidati prima dell'intervento chirurgico, ma
l'impossibilità di formare nuove memorie. H. M. poteva ricordare brevi
liste di parole o di numeri per pochi minuti ma in seguito le
dimenticava: il suo caso, e quello di altri pazienti con simili danni
dell'ippocampo, fanno ritenere che questa struttura del sistema limbico
svolga un ruolo critico nel processo di consolidamento della memoria,
in particolare di quella spaziale, relativa cioè all'orientamento.
L'ippocampo, tuttavia, non è la sede della memoria in quanto i ricordi
sono codificati attraverso l'entrata in gioco di numerose strutture
sottocorticali e della corteccia cerebrale.
2. L'amnesia infantile
Un particolare tipo di amnesia è l'amnesia 'infantile', che si
riferisce all'impossibilità di ricordare gli eventi relativi ai primi
anni della nostra vita: si tratta di una forma di amnesia che riguarda
un periodo dell'esistenza durante il quale l'individuo apprende di
continuo e per di più la quantità e l'estensione degli apprendimenti
sono notevoli (v. apprendimento). Tra le diverse teorie che spiegano
l'amnesia infantile, una delle più accreditate sottolinea le differenze
che esistono tra l'elaborazione dell'informazione nell'età infantile e
in età più tardive.
Per un bambino molto piccolo, non ancora in grado di parlare, un libro,
per es., è solo un oggetto che appartiene all'ambiente circostante. In
seguito, con lo sviluppo del linguaggio, questo oggetto acquisterà un
nome e verrà definito come un libro: il bambino sarà capace di leggerne
il titolo, comprenderne il contenuto e apprezzarlo rispetto a quello di
altri libri. Col tempo crescono, dunque, i punti di riferimento, la
possibilità di formare categorie e di generalizzare, cioè di
prescindere dai puri e semplici aspetti sensoriali di un messaggio.
Secondo gli studiosi del sistema nervoso, le cause dell'amnesia
infantile vanno ricondotte al processo di 'mielinizzazione': le fibre
nervose che si distaccano dal neurone sono formate da una sostanza, la
mielina, che le isola dalle fibre circostanti, migliorando e rendendo
più selettiva la conduzione nervosa tra i neuroni; la deposizione
dell'involucro di mielina intorno alla fibra nervosa avviene lentamente
nel corso dello sviluppo postnatale e soltanto intorno ai 5-6 anni di
vita tale processo è fortemente avanzato.
Un incompleto rivestimento delle fibre nervose non consentirebbe ai
vari nuclei del cervello di interagire in maniera coerente per formare
quella mappa complessa che costituisce la memoria di specifici eventi,
che per questa ragione andrebbero incontro all'amnesia infantile o, più
in generale, all'oblio. Bisogna inoltre considerare che la fase
infantile rappresenta un periodo in cui i ricordi vengono man mano
ristrutturati e aggiornati nelle loro valenze cognitive e che il
massiccio apprendimento che caratterizza l'infanzia implica un forte
ruolo dei processi di interferenza proattiva e retroattiva, il che
comporta un progressivo oblio.
3. Memoria e oblio
L'amnesia, nel linguaggio comune l'oblio, comporta una totale scomparsa
dei ricordi o semplicemente una difficoltà ad accedervi? Alcuni, come
W. Penfield (1975), sostengono che alcuni ricordi, anziché scomparire,
si sottraggono ai processi di reminiscenza, rimanendo sepolti nelle
trame nervose come tracce fossili di un lontano passato, nascosto alla
coscienza, cui tuttavia, in alcune situazioni, è possibile ridar vita.
Nel corso di un intervento chirurgico sul cervello effettuato in
anestesia locale per individuare la sede di una lesione nervosa
(bisogna ricordare che il cervello non prova dolore), Penfield stimolò
elettricamente, attraverso un sottile ago, diverse aree superficiali e
profonde della corteccia. In alcuni casi, i pazienti riferirono che in
seguito alla tenue corrente elettrica 'vedevano' scene della loro
infanzia, come se ricordi ormai perduti riemergessero. Penfield
ipotizzò di aver stimolato dei neuroni in cui erano registrate antiche
e sopite memorie, ma studi più recenti suggeriscono che la stimolazione
di diverse regioni cerebrali si traduce in sensazioni visive,
acustiche, ecc. che, a posteriori, possono essere rivestite dal
paziente di significati logici, legati a ricordi già esistenti, come
avviene nel caso delle allucinazioni. Non sembrerebbe pertanto che
singole memorie siano depositate in neuroni o circuiti specifici, né
che sia l'attivazione elettrica di queste microstrutture a far emergere
i ricordi. Questi, in effetti, pur essendo depositati nelle trame
nervose, sono distribuiti tra numerosi e vasti circuiti che, in
sintonia tra loro, codificano e fanno riemergere le memorie.
Perché, allora, i ricordi vanno incontro all'oblio? Gli psicologi
sostengono che i processi di interferenza giocano un ruolo
fondamentale, ma anche che col passare del tempo alcune specifiche
memorie possono andare perdute poiché vengono trasformate in memorie
più vaste, dotate di un significato più generale, in grado di
raggruppare un insieme di informazioni. Per gli psicoanalisti, le
amnesie e i processi di oblio hanno invece un significato diverso. Essi
infatti sottolineano l'importanza dei fenomeni di rimozione che
contribuirebbero a tenere in ombra alcuni ricordi, scomodi o dolorosi.
Secondo Freud la rimozione investe la memoria e produce una
dimenticanza o un blocco di esperienze e azioni traumatiche o comunque
dolorose. Per questa ragione, per es., i soldati dimenticherebbero
alcuni aspetti sconvolgenti della guerra o altri rimuoverebbero
inquietanti esperienze infantili.
Una particolare amnesia è quella che colpisce gli anziani affetti da
forme di involuzione cerebrale, come per es. il morbo di Alzheimer. In
questi casi si riscontrano deficit cognitivi ed emotivi che dipendono
in gran parte dalla degenerazione di neuroni di tipo colinergico,
localizzati prevalentemente in alcuni nuclei profondi del cervello
(nucleo di Meynert, setto, ippocampo) e diffusi fino alla corteccia, in
particolare quella temporale. In seguito a lesioni di questo tipo, si
verifica un'amnesia che colpisce prevalentemente la memoria
dichiarativa o semantica, ma non quella procedurale, coinvolta nelle
memorie di tipo motorio, cioè in quegli automatismi che ci consentono
di camminare, vestirci ecc.Le amnesie, e più in generale i rapporti tra
memoria e oblio, sono stati considerati sotto una nuova luce in base
agli studi sul concetto di 'stato-dipendenza' che gettano un ponte tra
una concezione prettamente neuropsicologica di questi fenomeni
cognitivi e una concezione psicodinamica. Il concetto di
'stato-dipendenza' ricorda quanto si verifica in presenza di alcuni
farmaci ipnotici, di droghe o di alcol. È noto che le esperienze
vissute nel corso dell'ipnosi, durante un'ubriacatura o sotto droghe
pesanti, non sono che parzialmente accessibili, se non del tutto
inaccessibili, nello stato normale; esse sembrano dimenticate o sepolte
nei meandri del cervello, ma possono riemergere quando si ritorna a
quello stato fisiologico, quando cioè l'individuo è di nuovo sotto
ipnosi, alcol o droga.
Questo stato di amnesia selettivo o stato-dipendente non riguarda la
memoria nella sua globalità, ma un particolare aspetto della memoria,
quella 'esplicita' che ‒ a differenza di quella implicita, più
svincolata dal contesto ‒ si basa su associazioni tra esperienze e
contesti emotivi. Per es., possiamo associare la mappa spaziale di un
edificio o di un itinerario stradale con un fatto che ci ha colpito in
quel luogo, come un incontro piacevole o spiacevole, un incidente di
macchina ecc. e tale associazione rimarrà tale per sempre. L'emozione,
dunque, può modulare la memoria e l'oblio generando dei fenomeni di
stato-dipendenza: alcune memorie possono essere rievocate soltanto in
un particolare stato emotivo e non in altri.
Simili fenomeni sono implicati nelle cosiddette personalità multiple,
descritte all'incirca un secolo fa, quando J. Breuer e il giovane Freud
(Breuer-Freud 1895) si imbatterono in un caso che avrebbe segnato la
storia della psichiatria. Una giovane donna, Anna O., presentava una
curiosa e insolita sintomatologia: in alcune ore della giornata o per
giorni interi comparivano delle paralisi che colpivano il braccio
destro ed entrambe le gambe della donna e ciò si accompagnava a vere e
proprie allucinazioni, a stati di agitazione durante i quali Anna O.
parlava prevalentemente in inglese; successivamente questi sintomi
svanivano e la giovane, sebbene un po' depressa e ansiosa, riprendeva a
comportarsi normalmente e ritornava a parlare la sua lingua madre, il
tedesco. Ancora più stupefacente era il fatto che Anna O., dopo essersi
ripresa dalle fasi di agitazione e allucinazione, dai soliloqui e dalle
conversazioni in inglese, riassumeva la sua usuale personalità senza
nulla ricordare di quanto era avvenuto.
Lo studio del caso di Anna O. fu il primo tentativo scientifico di
analizzare quelle che oggi vengono definite le 'personalità multiple',
vere e proprie dissociazioni dell'Io in cui una o più personalità
diverse possono coesistere con quella originaria o prevalente. Si
tratta di una complessa costruzione cognitiva che dà luogo a una mente
coabitata da due diverse personalità, a due sistemi di memorie, a
dinamiche emotive che si esprimono essenzialmente nell'una o nell'altra
personalità, non coscienti l'una dell'altra, anche se capaci, talvolta,
di dialogare tra loro come due persone diverse. La coscienza risulta in
tal modo frammentata e il suo carattere unitario può allora entrare in
crisi.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it