animismo



La psicologia alchemica di Hillman tenta di recuperare lo sguardo sulle cose andato perduto secoli fa con l'avvento delle scienze oggettive che hanno tacitato e violentato i regni dell'immaginazione.

Nell'alchimia l'autore scorge l'ultimo movimento culturale che faceva psiche manipolando i materiali. L'alchimia non è l'antica chimica, è qualcosa di ontologicamente diverso. La chimica indaga senza coinvolgimento. L'alchimia era al contrario un fantasia che si faceva concreta e un concretismo che si faceva fantasioso.

L'alchimista, precisa Hillman (si legga Psicologia alchemica), non cercava se stesso. Bollendo, trasformando, asciugando, corrodendo non si prefiggeva nessuno scopo personale. Per lui l'alchimia era davvero la ricerca misteriosa della trasformazione delle cose. Per far questo, essendo libero dal punto di vista concettuale, egli ricorreva all'immaginazione: era l'immaginazione a suggerirgli cosa fondere con cosa, cosa bruciare e cosa diluire ecc.

Per questo l'alchimia, da Jung in poi, è stata riconosciuta come una forma di psicologia o, se preferite, uno specchio, della psicologia.

Da quando abbiamo aderito al dualismo cartesiano il termine animismo è stato relegato nelle pagine dei manuali di antropologia. L'animismo riveste gli oggetti di proprietà, di vita, di storia, di anima, come faceva l'alchimia. Il consumismo di cui oggi siamo imbevuti fa il contrario: spoglia di anima anche noi consumatori.

L'animismo è salvifico per le nostre fragili psicologie. Esso ridona potere e valore agli oggetti di consumo. Ne abbiamo ancora una pallida percezione di fronte a oggetti che ci legano al ricordo di un nonno o di un genitore scomparso. Ecco, riapparire il residuo dell'animismo in forma sentimentale!

Gli oggetti ci servono, e servendoci ci parlano. Essi circondandoci danno forma alle nostre immagini e quando li scegliamo lo facciamo per una ragione. Forse sono questi che ci scelgono, che ci chiamano dalle vetrine dei negozi e ci ordinano di porli su questa o quella mensola. Ma essi ci chiedono pure di onorarli, di usarli, di ripararli, di curarli, di logorarli secondo norma, di costruire dei riti intorno il loro utilizzo. Perché essi non sono semplici oggetti. Quando disanimiamo gli oggetti di cui ci circondiamo disanimiamo noi stessi. Circondarci di troppi oggetti è già una inflazione dell'animismo, perché le anime sono tante ma non infinite. E possiamo servire solo alcune divinità. Dobbiamo disfarci degli oggetti che non ci servono; anzi, meglio sarebbe non aquistarne alcuno in eccesso.

L'anima ha una misura, ha un limite. Affogare negli oggetti spersonalizza tutto ciò che ci circonda e non ci aiuta a conoscere noi stessi attraverso il rapporto che stabiliamo con le cose.