antisemitismo
L’avversione e la lotta
contro gli Ebrei. Anche se il termine venne usato per la prima volta
agli inizi del 19° sec., si tratta di un fenomeno molto più antico. A
un’ostilità di carattere religioso, viva fin dai primi secoli del
cristianesimo (gli Ebrei come deicidi) e intensificatasi dopo i Concili
Lateranensi 3° e 4°, nel Medioevo si aggiunse un’ostilità
economico-sociale dovuta al costituirsi degli Ebrei in gruppo a sé
stante, avente spesso, in seguito alle preclusioni della Chiesa in
proposito, il monopolio dell’usura o del prestito di denaro. L’a.
ottocentesco si innestò su tale patrimonio secolare di odi religiosi e
sociali, come risultò evidente in Russia, in Polonia, nella penisola
balcanica, dove la persecuzione antiebraica diede luogo a clamorosi
episodi di violenza (pogrom). In Occidente l’a., con l’involuzione del
principio di nazionalità in nazionalismo e il manifestarsi di ideologie
antidemocratiche, razziste e filo-ariane (come quelle di H.S.
Chamberlain), l’a. cominciò a diffondersi anche nelle masse popolari.
Esso, inoltre, rientrava in un preciso programma politico: così in
Francia fu sfruttato dai gruppi clericali/">clericali e monarchici
nel tentativo di rovesciare la 3a Repubblica (➔ Dreyfus, Alfred),
mentre in Germania fu in sostanza un diversivo alla lotta di classe. A.
Hitler (che era stato influenzato dall’agitatore austriaco G. von
Schönerer) nel Mein Kampf e A. Rosenberg nel Mythus des 20.
Jahrhunderts accusarono apertamente gli Ebrei di essere responsabili
della sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale e di
costituire un’internazionale di capitalisti e di sfruttatori tendente
al dominio del mondo (si citavano, in appoggio a queste affermazioni, i
Protocolli dei Savi Anziani di Sion, dimostrati falsi nel 1921) e
all’oppressione della razza ariana. Con le leggi di Norimberga del 1935
gli Ebrei furono quindi allontanati dalla vita pubblica, fatti oggetto
di persecuzioni e di un piano di sterminio freddamente e razionalmente
attuato nel corso della guerra mediante i campi di sterminio
(Auschwitz, Buchenwald, Belsen ecc.). In Italia il peso della
tradizione risorgimentale aveva impedito, anche dopo l’ascesa del
fascismo, il sorgere di un problema ebraico. Ma in seguito alla
formazione dell’Asse Roma-Berlino si ebbe la Dichiarazione della razza
(15 luglio 1938), sottoscritta da un gruppo di docenti universitari, e
la promulgazione di un decreto legge del 1° settembre 1938 che iniziò
la persecuzione degli Ebrei: prima di quelli non italiani, poi, con
altre disposizioni legislative, anche di quelli italiani. Il nuovo mito
della difesa della razza entrò a far parte dell’ideologia fascista,
nonostante l’opposizione manifestata dalla Santa Sede, da alcune
personalità del regime e la generale impopolarità nell’opinione
pubblica.
Nel secondo dopoguerra, dopo la sconfitta del nazismo, manifestazioni
di a. sono state per lo più limitate alle episodiche attività di
singoli movimenti neonazisti, peraltro di scarsa consistenza, presenti
in alcuni paesi. La nascita dello Stato di Israele (1948) ha inoltre
determinato il diffondersi di un ampio movimento antisionista
nell’ambito del quale sono comparsi anche elementi di antisemitismo.
Quanto all’antica ostilità del cristianesimo nei confronti degli Ebrei,
una revisione di questo atteggiamento è stata iniziata in particolar
modo all’interno della Chiesa cattolica negli anni precedenti il
concilio Vaticano II, trovando poi la sua massima espressione nella
dichiarazione conciliare Nostra aetate (1965), con sviluppi e
applicazioni in successivi documenti vaticani (1974 e 1985). Di
rilevante significato è stata anche la visita di Giovanni Paolo II alla
sinagoga di Roma (1986).
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it