competizione
Il termine competizione (dal
latino tardo competitio, derivato da competere, "competere") designa la
gara, la lotta, il misurarsi con qualcuno per la conquista di un
primato. La competizione si manifesta nello sforzo attraverso il quale
individui e gruppi cercano l'affermazione e testimoniano la propria
condizione di soggetti interagenti con gli altri. In ecologia, la
competizione tra specie diverse o all'interno della stessa specie è
fattore fondamentale di regolazione ambientale, elemento di
modificazione delle condizioni di sopravvivenza e di accrescimento tra
specie diverse o nella stessa specie. Come ambito molteplice di azione
interumana, essa racchiude i campi dello scambio amichevole, dal gioco
alla competizione sportiva, fino a fenomeni di violenza e
distruttività. In ogni caso, lo stato competitivo individua e rivela la
formazione di meccanismi gerarchici tra singoli individui interagenti e
tra gruppi sociali.
sommario: I. Meccanismi specifici e aspecifici. 2. Approcci
disciplinari. 3. Dinamiche della competizione. 4. I luoghi della
competizione. 5. Lo stato agonale. □ Bibliografia.
I. Meccanismi specifici e aspecifici
La competizione indica una relazione di opposizione, che è espressione
dei meccanismi biochimici primari, di quelli psicologici individuali,
di gruppo e tra gruppi, e definisce le dinamiche per la conquista della
supremazia. Con il perfezionarsi del livello di evoluzione del suo
organismo, l'uomo organizza il proprio comportamento mediante
connessioni sempre più complesse tra contesti funzionali diversi e
sequenze innate e apprese, tra programmi di origine filogenetica e
repertori comportamentali preordinati, tra stati motivazionali
biologicamente determinati e istanze psicologiche non biologicamente
determinate. Gli studi sulla competizione hanno messo in rilievo non
solo l'elemento invariante dell'aggressività (v.), ma anche quelli
dell'autoaffermazione, del bisogno di successo, di realizzazione, di
possesso, sfere distinte dalla mera aggressività. A questi elementi si
aggiungono i meccanismi specifici della tensione emotiva, della
relazione d'insieme, della rispondenza alle attese di gruppo,
dell'obbedienza all'autorità, della complessità dell'esperienza, del
movimento, del gioco. La competizione, dunque, non può essere
assimilata tout court all'aggressività. In essa, con il conflitto
interpersonale entrano in gioco altri fattori importanti: la
valutazione della convenienza, l'aspetto del calcolo, il possibile
guadagno rispetto al sacrificio richiesto, l'analisi del rapporto tra
costi e benefici: tutte operazioni cognitive, anche se inconsapevoli,
emotivamente fondate, che spingono o limitano il meccanismo
competitivo. Diversamente, considerare l'aggressività quale suo
carattere unico connoterebbe il comportamento competitivo
esclusivamente come processo distruttivo fondato su una pulsione di
morte, anziché su una pulsione di vita, che è invece la motivazione
primaria della spinta all'autoaffermazione.
2. Approcci disciplinari
a) La prospettiva sociobiologica. Negli ultimi decenni, la corrente
sociobiologica dell'evoluzionismo - che attraverso i suoi modelli ha
integrato le teorie ecologico-sistemiche con quelle genetiche - ha
applicato il paradigma darwiniano all'evoluzione della società. Secondo
tale paradigma, l'economia della natura in quanto tale è, come anche
quella umana, sempre competitiva. L'altruismo, e qualunque sentimento o
comportamento volto al miglioramento della nostra concezione della
società, sono mere illusioni: ognuno agisce sempre alla ricerca del
proprio vantaggio e, anche quando l'altruista sacrifica sé stesso per
altri, contribuisce alla riproduzione del proprio corredo genetico. Ma
se è vero che già l'uomo dell'Età della Pietra era in competizione con
i propri simili per la conquista di territori di caccia e di raccolta,
il principio secondo cui il comportamento umano sarebbe fondato
sull'assunto di base dell'esclusiva sopravvivenza genetica e gli
organismi agirebbero solo in ragione di una tendenza egoistica,
introduce un meccanismo 'necessitante' difficilmente sostenibile. Se è
vero che l'azione umana è in gran parte retta, adattativamente, dal
principio della diffusione dei propri geni, considerare alla stregua di
illusioni la simpatia, l'amicizia, l'amore per il prossimo vuol dire
affermare che ogni organismo cerca esclusivamente il proprio vantaggio
a spese di un altro.
b) La prospettiva etologica. Gli studi etologici integrano i risultati
della ricerca psicobiologica del comportamento con quelli delle teorie
dell'apprendimento, non trascurando l'incidenza che l'ambiente ha sugli
schemi competitivi e sui meccanismi innati predeterminati
filogeneticamente. Aiutano a chiarire, inoltre, fuori dalle
semplificazioni del determinismo biologico, la genesi della
competizione e le sue conseguenze sull'adattamento filogenetico. Non è
chiara la misura di tali adattamenti in relazione alle disposizioni
innate, ma sul piano percettivo, su quello motorio e su quello
motivazionale, sembrano avere un ruolo decisivo fattori causali
interni. Sebbene lo slancio competitivo e i relativi 'meccanismi
motivanti' abbiano correlati sperimentali certi, non è chiaro quali
fattori contribuiscano alle motivazioni endogene. Un ruolo, in tal
senso, potrebbero averlo gli ormoni androgeni, le catecolamine
cerebrali implicate nell'attivazione spontanea dei meccanismi neuronali.
c) La prospettiva psicoanalitica. Dal punto di vista psicoanalitico, il
comportamento competitivo nei confronti degli altri, di cui spesso
l'individuo non è consapevole, è sovente motivato da inconsci
sentimenti di inferiorità che il soggetto cerca di compensare
attraverso il raggiungimento di risultati esteriori. Secondo Freud
(1930) la costruzione dei codici della civiltà corrisponde, in quanto
tale, a uno sforzo di sublimazione. La competizione rappresenta una
situazione di 'drammatizzazione', una produzione di tensioni che reca
in sé inevitabili effetti catartici e, appunto, sublimatori. C'è una
continuità strutturale, isomorfica, che tiene insieme la competizione
sportiva e il conflitto bellico nelle loro articolazioni e funzioni
simboliche sostitutive e sublimatorie, come è dimostrato da studi
psicologici, interdisciplinari, polemologici.
3. Dinamiche della competizione
I processi in gioco nella competizione riguardano aspetti generali
comuni a ogni situazione e sono tanto più rilevanti quanto più è
accentuato l'agonismo. Gli attori della competizione sono legati in una
relazione definita, che vincola i soggetti alle caratteristiche
fondamentali della coesione tra gli elementi della struttura. In altri
termini, essi manifestano un minimo comune denominatore, hanno medesime
caratteristiche, si attraggono. La durezza della competizione dipende
anche dalla forza dei livelli di omogeneità, di attrazione reciproca e
da altri aspetti ancora.
D'altra parte, gli attori della competizione esprimono una diversità
interna alla struttura di relazione d'insieme, asimmetrie reciproche, e
presentano profili dissonanti sovente incompatibili. Spesso la
realizzazione dell'uno coincide con la frustrazione dell'altro. Sebbene
la loro relazione sia decisiva, essi si differenziano fino alla
'disidentificazione'. L'intensità della competizione dipende però anche
dai livelli di intensità di tale differenziazione, dal numero e dalla
visibilità dei fattori in gioco e dei loro indicatori essenziali. Fra i
soggetti della competizione, l'incompatibilità reciproca aumenta in
funzione di questi fattori. Nei suoi livelli di intensità, essa è
definita dal grado di rilevanza delle componenti in gioco e dalla
relazione fra tali componenti: la validità degli attori, le capacità di
prestazione e di sforzo, il loro carisma, l'incidenza e l'importanza
soggettiva, l'evidenza psicologica del Sé, delle figure dei partner e
degli avversari. Infatti, se una competizione forte non avviene tra
individui validi e di uguale potenza, la sproporzione tra i soggetti o
la prevedibilità del risultato indebolisce la competizione stessa.
Come, d'altronde, risulta debole una competizione dove gli attori
conferiscono scarso rilievo ai fini perseguiti, dove la situazione
creatasi attenua le necessarie discrepanze e asimmetrie, dove sono
presenti fattori di interferenza, di distrazione, di deconcentrazione,
di disinvestimento emotivo e affettivo.
4. I luoghi della competizione
In generale, la competizione si esprime con una sequenza bifasica: un
periodo di progressione e di accelerazione che giunge a un suo punto
massimo, e una fase di riduzione e declino che va fino alla sua
risoluzione. Tale andamento si manifesta nella competizione sportiva
come anche nei conflitti sociali e bellici, ed è caratterizzato da due
opposte esigenze: quella per cui il confronto è ricercato, istituito e
potenziato, e quella per cui esso viene attenuato e neutralizzato. In
tal senso, sia la tendenza naturale ad accentuare la competizione, sia
quella opposta, tendente a ridurla, non smettono di coesistere nei
conflitti sociali, come anche in caso di guerra.
La competizione sportiva riproduce forme e schemi di contesa
comportamentale ed è definita e regolata da una fitta serie di codici
atti a salvaguardare l'integrità degli avversari. I concorrenti,
infatti, possono e devono entrare in conflitto solo per un aspetto,
quello messo in palio nella competizione, cioè il primato. Ogni altra
espressione è vietata: il divieto e la dissuasione prendono corpo in
regolamenti scritti, leggi, costumi, procedure di diritto, istituzioni
normative. In tal senso, ciò che acquista rilievo è l'inibizione della
violenza, l'istituzione di regole valide per tutti. Questa
regolamentazione indica una canalizzazione delle energie su binari
precostituti e dichiarati, verso mete ben note, su percorsi
rigorosamente delimitati e temporalmente definiti. Fuori da tali ambiti
deve regnare la pace; e dentro tali ambiti l'infrazione dei codici e la
trasgressione dei limiti comporta la riprovazione, la sanzione,
l'uscita dal sistema.
Nello sport, la competizione può svolgersi in campo neutro, o in casa
di uno dei concorrenti, e richiede la compresenza. In linea generale,
la stima reciproca e un comune sentire rendono più accesa la
competizione, anziché attenuarla. In alcuni tipi di gare svolte 'in
solitario' la compresenza competitiva assume una dimensione
fantasmatica e si realizza mediante l'immaginazione, nel senso di una
introiezione e interiorizzazione dell'avversario. Le immagini
fantastiche costituiscono un importante materiale simbolico per
l'espressione e il soddisfacimento parziale delle ulteriori esigenze
insoddisfatte. La focalizzazione immaginaria riveste significati
facilitativi per l'apprendimento e l'intuizione produttiva, strumenti
utili per il perfezionamento dei risultati. Le rappresentazioni
immaginarie, inoltre, accrescono le capacità e arricchiscono la vita
emotiva dei singoli, come anche quella dei gruppi. C'è parallelismo tra
la soddisfazione simultanea delle diverse motivazioni dominanti
nell'individuo e l'esperienza estetica. La competizione, intrecciata ai
livelli di rappresentazioni mentali, percezioni, emozioni e azioni che
si verificano nell'attivazione competitiva, compensa le diverse
richieste presenti in una determinata personalità.
Tuttavia, tra competizione sportiva e guerra non vi è solo continuità
isomorfica, vi è anche differenziazione alternativa. Dove ha luogo la
prima non può svolgersi la seconda e viceversa. Come è noto, i greci
sentivano di dover interrompere le ostilità ogni volta che si
svolgevano giochi atletici di un certo rilievo e, in occasione della
morte in guerra di un condottiero, sospendevano i combattimenti cruenti
per sostituirli con i combattimenti sportivi, nei ludi funebri.
5. Lo stato agonale
Lo stato agonale comprende quelle situazioni nelle quali i conflitti
sono stati disinnescati e sostituiti da altre espressioni come la
contesa, la concorrenza, il concorso. Lo sport, come osservato
precedentemente, ne è una rappresentazione efficace, largamente
diffusa, con un'articolazione nei differenti ambiti disciplinari. Lo
stato agonale, comunque, oltrepassa la dimensione propriamente ludica e
investe sfere come quelle dell'economia, dell'amministrazione, della
religione, dell'arte. La sua caratteristica precipua è che i rivali si
comportano non più da nemici, ma da avversari, il che esclude fin
dall'inizio la violenza e l'intenzione ostile, ma non la possibilità di
vincere o di superare il concorrente, secondo modi stabiliti e
accettati in anticipo (Freund 1995).
L'equilibrio dello stato agonale è provvisorio e dinamico e in
qualunque momento fattori di turbamento difficilmente controllabili
possono metterlo a rischio. Tuttavia, la preoccupazione di creare,
mediante norme e regolamentazioni, condizioni di armonia, può generare
un processo opposto che si rivolge contro lo stato agonale,
determinando veri e propri processi di violenza. Dunque, ai fini della
sua affermazione, uno stato agonale esclude la possibilità di armonia.
Ciò, proprio in ragione del fatto che l'equilibrio che lo caratterizza
è di natura provvisoria, precaria, e il suo risultato deriva da
movimenti e forze opposti ed eterogenei che si neutralizzano senza mai
annullarsi.
Si compete, si gareggia, si gioca sempre per qualcosa. Questo qualcosa
non è tanto il fatto materiale che consegue alla competizione, quanto
il risultato immateriale e, cioè, la riuscita della sfida. La vittoria
procura soddisfazione, onore, stima. Nella competizione non è presente
solo un mero spirito di potenza o di dominio sugli altri, ma anche e
soprattutto l'aspirazione a superare gli altri, a essere onorati,
stimati, a ottenere il trionfo. Si concorre, ci si sfida, si lotta in
qualcosa e con qualcosa: in forza, in sapienza, in destrezza; col
corpo, con l'intelletto, con le armi, con le parole. Nelle società
arcaiche, ove il sapere è qualcosa di magico e dunque di sacro, la
forma più diffusa di competizione è quella in scienza e saggezza. Nelle
feste sacre si compete con la parola, con gli indovinelli, con gli
enigmi. In quelle civiltà lo spirito di competizione ha la funzione di
promuovere il coraggio personale ed eroico, di spronare la civiltà
medesima e lo sviluppo della sua vita sociale. Nei secoli passati, la
vita dei nobili acquista la forma di un gioco di onore e di coraggio;
ma quel gioco, non potendo essere utilizzato nelle tensioni cruente
della guerra, ha uno sbocco sociale nella rivalità idealizzata e
costruita sui valori di onestà, di virtù, di bellezza. Tali categorie
prendono corpo nei valori della cavalleria, dell'atletica guerriera,
della religione dell'onore propria dei codici dei samurai, quel senso
del dovere che permea di sé le regole di società antiche.
È importante osservare che uno dei processi decisivi nell'evoluzione
della cultura umana è proprio la ritualizzazione dei conflitti dannosi,
processo che svolge un vero e proprio ruolo di pressione selettiva. In
tal senso, la competizione verbale rappresenta una ritualizzazione
estrema del comportamento agonale. La possibilità di spostare i
conflitti sul piano verbale contribuisce in maniera decisiva ad
armonizzare la coesistenza umana. Il più elevato grado di
ritualizzazione della lotta si esprime nella contesa verbale, che da
sempre rappresenta il terreno della maggior parte dei conflitti
intraspecifici. Gli studi sull'argomento dimostrano che, nell'uso degli
schemi che presiedono all'agire verbale, esistono invarianze culturali
(la delegittimazione, l'accusa, la diffamazione, la calunnia ecc.) che
rappresentano le regole di condotta su cui vengono strutturate
strategie di interazione sociale.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it