comportamento
In generale, modo di
comportarsi di un individuo, soprattutto in determinate situazioni, nei
rapporti con l’ambiente e con le persone con cui è a contatto.
PSICOLOGIA
Il complesso coerente di atteggiamenti assunti in reazione a
determinati stimoli, o l’attività di un soggetto nelle sue
manifestazioni. Fondamentale campo di analisi per la psicologia da
quando, specialmente in rapporto ai contributi del behaviorismo e della
riflessologia, la psicologia si definì come psicologia oggettiva.
In psicoterapia, terapia comportamentale (o del c.), quella, molto
diffusa, sorta dalla critica della psicoterapia tradizionale, specie
della psicanalisi. È stata sviluppata a partire dal 1950 da H.J.
Eysenck e identifica il c. come funzione della situazione nella quale
esso si produce. Le neurosi e le psicosi non sarebbero altro che
abnormi c. appresi. Contrariamente a quanto si verifica nella
psicoterapia tradizionale, la terapia comportamentale non analizza le
motivazioni, i conflitti e i pensieri che condizionano e spiegano un
determinato c., prende invece in considerazione soltanto il c.
disturbato osservabile nel malato: per es., nell’agorafobia viene
trattato unicamente il sintomo agorafobico.
SCIENZE SOCIALI
1. C. sociale
È il comportamento di un individuo all’interno di un contesto sociale,
nel quale si evidenziano l’orientamento dell’individuo nella sua
interazione con i membri appartenenti a quel contesto e il ruolo ivi
ricoperto. La formulazione espressa da G.C. Homans, che tratta del c.
sociale elementare, sottolinea il carattere ‘ordinario quotidiano’ del
c. sociale: esso implica che, se un individuo opera in una certa
maniera, viene ricompensato o punito da un’altra persona e dunque vi è
un calcolo dell’utilità o meno di un certo modo di agire. Occorre
comunque discernere fra il c. sociale elementare, tendenzialmente
identico in ogni contesto, e quello istituzionale, che di solito muta
nella misura/">misura in cui cambia anche la cultura di riferimento.
In pratica il c. elementare è più universale, mentre quello
istituzionale è più particolaristico.
Alle origini delle analisi sociologiche sul c. sociale è da annoverare
il positivismo, con la sua attenzione alla realtà concreta, ma anche il
pragmatismo, con il suo interesse per le conseguenze pratiche delle
azioni. Un ruolo strategico ha avuto J. Dewey, molto legato a W. James
e anche a G.H. Mead. Questi parla esplicitamente del c. sociale, nonché
della mente come costruzione sociale fondata proprio sulle relazioni
sociali; inoltre approfondisce la questione dell’altro generalizzato
rappresentato dall’insieme sociale con cui il sé interagisce. In base
alle riflessioni di James, Dewey e Mead, acquistano evidenza la
costruzione sociale dell’Io e il primato dell’azione come c. sociale.
Soprattutto l’interazionismo simbolico dà rilievo al c.
interindividuale inteso come azione reciproca resa manifesta attraverso
i segni, i simboli, quali elementi principali della comunicazione
interpersonale.
Secondo la teoria del piano di R. Harré e P.F. Secord l’uomo è in grado
di pianificare il suo c. sociale, calcolando di volta in volta le sue
convenienze, i suoi rischi e le sue finalità di fondo. In questo
approccio è evidente l’influsso della psicologia cognitivista, che
considera l’uomo un soggetto dotato di forte consapevolezza
critico-operativa.
2. C. collettivo
È ogni fenomeno di gruppo privo di organizzazione formale (panico,
mode, disordini di piazza, moti di rivolta ecc.) che emerge in
situazioni sociali problematiche, nelle quali le regole tradizionali
non costituiscono più una guida adeguata per la condotta degli
individui. Diversamente dal c. sociale, per N.J. Smelser il c.
collettivo è spontaneo, non strutturato, e concerne un numero di
persone che si trova a rispondere a una contingenza incerta o
minacciosa, al di fuori dell’ordinarietà quotidiana che solitamente è
in prevalenza istituzionalizzata.
Nelle prospettive degli studiosi contemporanei, le variabili a monte
dei c. collettivi risultano cospicue: l’ideologia, le istituzioni, le
religioni, i fattori economici, le condizioni ambientali, il retaggio
storico-culturale, le innovazioni tecnologiche. Soprattutto è ormai
chiaro che esistono c. collettivi ricorrenti e altri che hanno il segno
dell’eccezionalità, dell’imprevedibilità, della spontaneità.
Fra le diverse prospettive teoriche, classificate da E. Goode, la
teoria del contagio evidenzia la dimensione largamente uniforme dei c.
collettivi. L’esito condiviso prende forma per imitazione, suggestione
e influenza diffusa, favorite dall’anonimato e dalla mancanza di
controlli personalizzati. La teoria della convergenza, invece, fa leva
sulla predisposizione dei soggetti a inserirsi in un certo c.
collettivo in quanto già orientati positivamente verso quella data
condotta. Secondo la teoria della norma emergente, proposta da R.H.
Turner e L.M. Killian, il c. collettivo non è una violazione delle
norme esistenti ma piuttosto una ridefinizione normativa di ciò che non
sarebbe più valido o parrebbe ambiguo in una situazione mutata. Per la
teoria del valore aggiunto, attribuibile soprattutto a Smelser,
l’accento è posto su alcune precondizioni collegate fra loro in stretta
sequenzialità, per cui se vi è soluzione di continuità è probabile che
il c. collettivo non si verifichi.
Una forma aggiornata di studio del c. in termini utilitaristici è
rappresentata dalla teoria della scelta razionale di J.S. Coleman, J.
Rawls e altri. Secondo tale impostazione il c. va analizzato in termini
di ricavi possibili, calcolando rischi e probabilità, costi e benefici,
ed esprimendo preferenze modificabili secondo convenienza. Si è dunque
in una logica interattiva di mercato, di economia utilitaristica.
Infine è da annoverare la prospettiva di mobilitazione delle risorse,
la quale sostiene la centralità della leadership come fattore
mobilitante di uno scontento da incanalare entro un c. collettivo,
facendo ricorso a mezzi quali il potere, il denaro, la comunicazione di
massa, le capacità organizzative ecc. Qui invero il discorso vale più
per i movimenti sociali che per i c. collettivi; tuttavia alcuni
aspetti possono essere ripresi in un quadro d’assieme.
3. C. di massa
Considerazioni a parte riguardano i c. di massa. J. Lofland propone una
netta distinzione tra ‘folla’ e ‘massa’. La prima è data da un gran
numero di persone in contatto diretto fra loro. La seconda riguarda un
certo numero di persone non necessariamente collegate fra loro da un
rapporto di vicinanza, ma accomunate dall’attenzione per uno stesso
oggetto. La dimensione di massa è favorita dalle nuove tecnologie di
comunicazione che rendono possibile l’utilizzazione di un medesimo
prodotto-oggetto, sia astratto sia concreto, quasi senza limiti
territoriali, etnici, linguistici. In genere, il fenomeno della
massificazione è considerato con accenti negativi. Va notato, tuttavia,
che l’esposizione all’ascolto, all’audiovisione televisiva e all’uso di
terminali video è soggetta a variazioni notevoli da contesto a
contesto, da soggetto a soggetto, da un’età all’altra. Quanto appare
informe o generico in realtà presenta al suo interno delle potenzialità
diversificate di risposte, che possono modularsi fra il consenso quasi
del tutto passivo e il dissenso più risoluto.
ZOOLOGIA
In etologia, sequenza di moduli di attività (muscolare e ghiandolare)
manifestati da un organismo, considerata prevalentemente nel contesto
ambientale cui l’animale è adattato. Schematicamente si possono
distinguere quattro categorie di comportamento: riflessi, reazioni
adattative semplici pressoché immediate, evocate da stimoli determinati
al raggiungimento di un valore soglia; tassie, movimenti orientati di
tutto il corpo rispetto a un determinato stimolo (luce, umidità ecc.);
c. istintivi (o innati), moduli ereditari di comportamento
caratteristici della specie e poco variabili a livello individuale,
scarsamente influenzati dall’esperienza, evocati da stimoli chiave
(fig. A); c. acquisiti (o appresi), moduli di c. nuovi o modificati,
che entrano a far parte del repertorio di un animale in seguito a
processi di apprendimento (abitudine, condizionamento, apprendimento
intuitivo, imprinting, imitazione sociale) e sono caratterizzati da una
notevole variabilità individuale e plasticità. Molti c. consistono di
una combinazione e intergradazione di componenti diverse (per es.,
innate e apprese) e possono raggiungere una notevole complessità. C.
agonistico Qualunque attività di tipo aggressivo, comprendente sia
l’aggressione vera e propria tra due individui, sia moduli
comportamentali a essa associati (fig. B e C): c. di riappacificazione
e di sottomissione, che hanno la funzione di diminuire l’aggressività
del rivale (per es., con la presentazioni delle parti del corpo più
vulnerabili, o con esibizioni di tipo infantile o legate al
corteggiamento); c. di minaccia, che svolgono funzione di intimidazione
e allontanamento del rivale (per es., posture che mettono in evidenza
le strutture di offesa dell’animale). C. altruistico Qualsiasi
comportamento che riduce la fitness (idoneità genetica) di un individuo
a vantaggio di quella di altri membri della popolazione (fig. D). Sono
stati osservati vari casi di c. altruistico, che possono riguardare la
difesa dai predatori (per es., le esibizioni di distrazione di molti
uccelli che si fingono feriti all’avvicinarsi dei predatori,
distogliendone così l’attenzione dalle uova o dai piccoli, molti
segnali di allarme ecc.), la cooperazione nella riproduzione (per es.,
le caste sterili presenti in molti insetti sociali, che perdono la
capacità di riprodursi e svolgono la funzione fondamentale di favorire
il tasso di ovoposizione della regina e allevarne la progenie, i
fenomeni d’adozione di piccoli osservati in uccelli e primati ecc.); la
spartizione del cibo e così via. In molti casi l’individuo con c.
altruistico favorisce indirettamente la trasmissione del proprio
patrimonio genetico, avvantaggiando la progenie o i parenti (così le
caste sterili allevano di solito i propri nipoti); in altri casi è la
popolazione nel suo complesso a essere favorita. C. di sostituzione
Attività che interviene durante lo svolgimento di schemi
comportamentali del tutto diversi, generalmente quando si verifica un
conflitto tra due tendenze opposte (per es., attacco e fuga), o quando
gli stimoli esterni sono insufficienti, o quando il c. (per es., un
combattimento) cessa prematuramente. Tipici c. di sostituzione sono
attività di tipo alimentare o di pulizia del corpo: per es., il beccare
per terra, senza però assumere cibo, osservato in molti gallinacei
durante un combattimento, o l’allisciamento delle penne negli anatidi
durante il corteggiamento. Molti c. di sostituzione vengono
ritualizzati ed evolvono a segnali di comunicazione, caratteristici
della specie.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it