definizione di antropologia
Nulla sembrerebbe più facile
che offrire una definizione nello stesso tempo semplice e unitaria di
antropologia. Che cos’è infatti l’antropologia, se non lo studio
dell’uomo? Ma non appena ci si chiede che cosa sia “studio dell’uomo”,
le difficoltà emergono con tutta evidenza. Studio significa
applicazione, interesse, concentrazione nell’osservazione e
nell’analisi per comprendere, spiegare, dimostrare, illustrare
qualcosa. L’antropologia allora è ciò che spiega l’uomo? Dimostra come
è fatto? Fa vedere quale sia la sua costituzione, la sua struttura? Fa
capire a noi, uomini, ciò che noi stessi siamo?
Se esiste l’antropologia in quanto “studio” dell’uomo, ciò significa
che gli uomini di per sé non conoscono se stessi o non si conoscono in
maniera adeguata e sufficiente. L’esistenza dell’antropologia è la
dimostrazione che essere uomini e conoscere se stessi non coincidono
del tutto: non basta essere uomini per sapere chi noi siamo; noi siamo
uomini, ma l’essere uomini non dà luogo a una conoscenza immediata di
noi stessi. Se c’è un’antropologia, questo implica che esseri che si
auto-definiscono “uomini” non conoscono appieno chi o che cosa
veramente essi sono. Significa che a un certo momento della loro storia
(diciamo così) questi esseri si sono dati da fare per comprendere come
erano fatti, più o meno come si sono ingegnati per conoscere il mondo
circostante. Quando sarebbe iniziata questa esplorazione del continente
uomo da parte degli uomini? Possiamo indicare l’inizio
dell’antropologia? Siamo in grado di illustrare i mezzi e gli strumenti
principali mediante cui gli uomini hanno inteso intraprendere la
conoscenza di se stessi? Inoltre, possiamo individuare delle fasi
progressive in questo studio e soprattutto possiamo dire a che punto –
a quali risultati – gli uomini sarebbero pervenuti in questa loro
avventura conoscitiva? Hanno portato a termine la loro impresa
antropologica? Sanno dire finalmente chi sono e come sono fatti, oppure
brancolano ancora nel buio e comunque il cammino appare ancora lungo e
incerto? Infine, perché gli esseri umani si sarebbero imbarcati in
questa avventura? Perché non sarebbe stato sufficiente per gli esseri
umani semplicemente esistere e affrontare i problemi della loro
sopravvivenza, senza dover aggiungere quelli della loro conoscenza?
Cercare di conoscersi, da parte degli esseri umani, è un compito
indispensabile per la loro stessa sopravvivenza, esattamente come
indispensabile è conoscere l’ambiente in cui operano?
Proseguendo con questi interrogativi, sarebbe legittimo anche chiedersi
se l’antropologia è un’impresa che ha impegnato soltanto una parte
dell’umanità oppure se tutti gli esseri umani fanno in qualche modo
antropologia. Quando riflettiamo sull’antropologia, siamo forse portati
a suddividere l’umanità in due parti, ovvero in due tipi piuttosto
diversi (gli esseri umani che in più sono antropologi da un lato e,
dall’altro, gli esseri umani privi di antropologia), oppure presumiamo
che tutti gli uomini siano, sotto questo profilo, sostanzialmente
uguali? Occorre chiarire bene questo punto. Dire antropologia significa
sostenere che soltanto in determinati periodi storici, in alcune parti
del mondo, in società particolari gli uomini hanno potuto dedicarsi
all’antropologia, allo studio di sé e degli altri, mentre gli altri
rimanevano all’oscuro della loro natura, del loro essere? Oppure
riteniamo – e poi cerchiamo anche di dimostrare – che tutti gli esseri
umani siano anche antropologi? Dire uomo significherebbe alludere a un
essere che, in qualche modo e misura, cerca anche di indagare se
stesso, oltre che la natura circostante? Se l’antropologia è un’impresa
riservata soltanto a una parte dell’umanità, è evidente che dovremo
fare ricorso soprattutto a ragioni storiche – inerenti a contesti e
tipi di società – per spiegare questa disparità (da una parte gli
esseri umani che sono anche antropologi, dall’altra gli esseri umani
che sono soltanto oggetto dell’antropologia dei primi). Se invece
l’antropologia è una caratteristica di pensiero attribuibile a tutta
l’umanità, allora saranno soprattutto ragioni antropologiche – inerenti
a come sono fatti gli esseri umani – quelle che maggiormente potrebbero
spiegare un’antropologia così diffusa.
Sono molte le domande che si sono fin qui affollate, e il quadro che ne
risulta è piuttosto ampio e aggrovigliato, così come diverse sono le
opzioni, le scelte interpretative possibili. Ciò che intendiamo
trasmettere con queste prime riflessioni è infatti il senso della
complessità in cui ci si imbatte, non appena si prende in
considerazione la gamma di significati che possono essere evocati dal
termine “antropologia”. Per cominciare a costruire un filo del nostro
discorso è bene porre in luce i livelli di considerazione qui
rappresentati. i) In primo luogo, abbiamo parlato di esseri umani.
Anche senza dire finora alcunché sulle loro caratteristiche più
specifiche, sulla loro natura o su altri aspetti importanti del loro
essere, li abbiamo immaginati come posti di fronte ai problemi della
loro sopravvivenza e in generale della loro esistenza. Questo livello è
raffigurabile con una semplice U, “uomini”, “esseri umani”. ii) Un
secondo livello riguarda invece l’antropologia che essi producono,
notando fin da subito però l’interesse antropologico insito in questo
tipo di sapere o di ricerca. Se si dedicano all’antropologia (comunque
questa venga intesa e praticata), evidentemente gli esseri umani non si
conoscono a sufficienza e quindi avvertono il bisogno di sapere
qualcosa di più relativamente al loro essere o alle condizioni generali
del loro esistere. Possiamo rappresentare questo secondo livello con la
lettera A, “antropologia”. iii) Svolgendo queste considerazioni, noi
attiviamo però un terzo livello, che potrebbe essere definito come
antropologia dell’antropologia. Ci sono infatti gli uomini (primo
livello); c’è l’antropologia che essi producono (secondo livello); ci
sono infine analisi e considerazioni che prendono ad oggetto le
ricerche antropologiche e che, se lo fanno con intendimenti
antropologici – cioè per capire meglio come sono fatti gli esseri umani
–, possono a buon diritto essere denominate appunto in quel modo
(“antropologia dell’antropologia”, AA; terzo livello). Vi sono dunque
tre livelli di considerazione o di oggetti (uomini / antropologia /
antropologia dell’antropologia) e due gradi di antropologia
(l’antropologia di primo grado, corrispondente al secondo livello, e
l’antropologia di secondo grado, corrispondente al terzo livello):
U - primo livello - uomini
A - secondo livello - antropologia (primo
grado)
AA - terzo livello - antropologia dell’antropologia
(secondo
grado)
Ciò che faremo in questo primo capitolo saranno soprattutto operazioni
di terzo livello ovvero un’antropologia di secondo grado: non ancora
un’antropologia il cui scopo sarebbe uno sguardo diretto sull’uomo o
sugli esseri umani, ma una serie di considerazioni (che vorrebbero
essere antropologiche) sul sapere antropologico che gli uomini
producono. Con una precisazione, però: attivare questo terzo livello
non significa affatto pensare di adottare un punto di vista assoluto o
talmente superiore da poter scorgere sotto di sé l’umanità nel suo
complesso (primo livello) e tutte le antropologie che essa avrebbe
prodotto (secondo livello). Il terzo livello, ovvero l’antropologia di
secondo grado, implica soltanto la capacità di trascendere in un certo
modo e riflettere criticamente: anche il terzo livello (l’antropologia
dell’antropologia) è un’attività che si svolge all’interno di un
contesto storico e culturale; e la capacità di trascendimento significa
soltanto uno sforzo, più o meno riuscito, di sganciarsi da certi
vincoli e condizionamenti per adottarne però certi altri. L’operazione
importante, e possibile, è lo sganciarsi, che è sempre provvisorio e
temporaneo, nel senso che le posizioni vengono via via assunte e
abbandonate, a seguito di nuove istanze e prospettive; pretesa
illusoria e impossibile sarebbe quella, invece, di acquisire una
posizione assoluta e indiscutibile.
Bibliografia
Remotti, F., Prima lezione di antropologia, Laterza, Bari, 2000