depressione



Con il termine depressione, ci si riferisce, in psichiatria, a una deviazione del tono affettivo in senso malinconico, triste, con effetti marcati sulla cenestesi, sull'umore, sul comportamento. Le depressioni vengono classificate in termini di patogenesi, di genetica e di biochimica cerebrale; per quanto attiene a quest'ultima, i meccanismi all'origine del disturbo consisterebbero in una disfunzione della neurotrasmissione cerebrale. Numerosi studi, tuttavia, hanno proposto un modello multifattoriale del fenomeno depressivo. La terapia è attualmente molto promettente, sia in ambito psicofarmacologico sia sul piano psicoterapeutico.

sommario: Aspetti generali. Classificazioni nosologiche e teorie in ambito psicologico. Aspetti biochimici. Aspetti sociali e psicosociali. Bibliografia.

Aspetti generali
di Bruno Callieri

In psichiatria, fenomeni depressivi si riscontrano in molte condizioni psicopatologiche, nevrotiche, psicotiche e psicopatiche, le quali mostrano una comune infrastruttura, cioè il carattere malinconico dell'esperire e dell'affettività. Le depressioni vengono abitualmente articolate in ambito psicogenetico, endogeno, somatogenetico. Nel primo si distinguono: depressioni reattive, che sono sempre motivate (per es. da lutto), ma che si discostano dalla media normale per intensità e durata; depressioni nevrotiche, che sono alimentate da rimozioni conflittuali che si radicano nella storia della vita (infantile); depressioni psicopatiche, cioè legate alla struttura della personalità, con ansia, scontentezza, diffidenza, irritabilità, pessimismo, e quindi a netta dipendenza dal temperamento.
Nell'ambito endogeno si situano le depressioni insorgenti senza apparente motivo o con motivazioni che solo parzialmente ne possono render ragione (per es., cambiamento d'ambiente, pensionamento, stress ecc.); si tratta di depressioni ciclotimiche, scarsamente legate a situazioni (Tellenbach 1961), episodiche e fasiche: le fasi depressive si alternano a quelle maniacali (forme bipolari), oppure le fasi sono soltanto depressive o, più raramente, maniacali (forme monopolari). Nel terzo ambito, quello somatogenetico, la depressione è legata a una malattia organica, per processi cerebro-organici diversi (infiammatori, traumatici, degenerativi, circolatori) oppure è sintomatica, cioè causata da malattie extracerebrali (per es., malattie croniche renali, polmonari, circolatorie, oppure endocrine, come la psicosindrome endocrina di M. Bleuler, o iatrogene da farmaci).
I più comuni sintomi delle depressioni sono rappresentati da un sentimento di tedio diffuso, di distacco dagli abituali interessi, di svalutazione delle proprie capacità psichiche e fisiche, di pessimismo e sfiducia, di pesantezza e lentezza che pervade la persona (tristezza vitale); sempre presenti sono la tendenza ad accertare gli aspetti negativi degli avvenimenti, riguardanti sé stessi o gli altri, la riduzione dell'attività lavorativa, la scomparsa del sonno, dell'appetito e delle spinte sessuali, la prevalenza di idee di disgrazia, di colpa, di rovina, di malattia, fino a veri e propri deliri (ipocondriaci, nichilistici, di dannazione) e sovente a passaggi all'atto suicida, o d'emblée (raptus) o programmato e meditato. Particolare attenzione va data alle diverse età della vita (depressioni infantili, puerperali, senili) come momenti facilitanti o scatenanti una predisposizione generica; e, specialmente oggi, alle componenti transculturali dei quadri clinici (Collomb 1967).

Classificazioni nosologiche e teorie in ambito psicologico
di Leonardo Ancona

La depressione si riferisce a una sindrome clinica psichiatrica che riguarda le turbe affettive o dell'umore caratterizzate da: oscillazioni e modificazioni nel senso della chiusura (tristezza) o dell'espansione (euforia); possibile viraggio dal primo aspetto (depressione propriamente detta) al secondo (mania), spontaneamente o per effetto della somministrazione di farmaci; cambiamenti correlati nelle funzioni psicomotorie e nei contenuti di pensiero, con ampio gradiente delle manifestazioni cliniche, che spaziano dal cattivo umore a quadri tipicamente psicotici; questi ultimi necessitano di farmacoterapia ad alte dosi, di trattamento sanitario obbligatorio, di contenzione ed eventualmente di elettroshock-terapia.
La civiltà contemporanea è segnata da importanti tratti depressivi; lo si rileva dall'aumento dell'instabilità personale, dall'incapacità di porre limite ai desideri, dalla fragilità psichica che è causa dell'incremento delle forme reattive di depressione, dalla dipendenza da droghe, dalla ricerca ossessiva di iperstimolazioni sensoriali. Sul piano della clinica la depressione si articola in molteplici manifestazioni sindromiche; il riferimento più preciso al riguardo è quello del DSM-IV (Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 1994), elaborato da un'imponente task force di psichiatri di tutto il mondo sotto direzione nordamericana, e giunto alla sua quarta edizione; secondo questo manuale, la classificazione della depressione si articola sui seguenti parametri costitutivi chiamati mood episodes, "episodi affettivi": di tipo depressivo maggiore, con tristezza, perdita di interessi, con piacere, con durata almeno di due settimane; di tipo maniacale, con umore esaltato e irritabilità, di durata di almeno una settimana; di tipo misto, con manifestazioni inquadrabili fra quelle dei due precedenti; infine di tipo ipomaniacale, caratterizzato da mania in tono minore e di durata di circa quattro giorni.
Nei disordini depressivi unipolari, il disordine depressivo maggiore contiene uno o più episodi depressivi gravi, il disordine distimico è caratterizzato da almeno due anni di umore depresso per più giornate ma in modo non così grave come il precedente, gli altri comprendono turbe dell'adattamento sottese di tristezza, o di tristezza e in più ansietà. Per quanto riguarda i disordini bipolari, quelli propri sono caratterizzati da uno o più episodi maniacali, o ipomaniacali, di solito con eventi depressivi maggiori, i disordini ciclotimici sono contraddistinti da almeno due anni di molteplici periodi di sintomi ipomaniacali e depressivi, comunque meno gravi di quelli tipici del disordine depressivo maggiore.
Oltre alla classificazione della depressione fatta dal DSM nelle sue varie edizioni, si hanno classificazioni della sindrome in termini di patogenesi, di genetica e di biochimica cerebrale. L'ICD (International classification of diseases) dell'Organizzazione mondiale della sanità, ha adottato per la depressione un criterio patogenetico, in base al quale ha distinto tre gruppi, corrispondenti a depressioni somatogene, reattive, endogene (v. sopra).
Secondo la ricerca genetica, se nella popolazione generale la correlazione della depressione tra diversi individui è soltanto dello 0,4%, nelle forme bipolari esiste un alto grado di concordanza (68%) fra gemelli omozigoti, mentre quello tra fratelli è del 19%; per le forme unipolari (solo depressive oppure solo maniacali) la correlazione familiare è valutabile al 15% (Genetic research in psychiatry 1975). La trasmissione privilegia il sesso femminile e comunque le donne sembrano essere più vulnerabili degli uomini alla depressione, forse perché l'emisfero cerebrale di destra, che presiede all'elaborazione degli affetti, ha un'incidenza rilevante nel determinare la depressione, e le donne tendono naturalmente a un'iperattività di questo emisfero.
Per la biochimica cerebrale (v. oltre), la depressione è correlata con una cattiva regolazione dell'attività monoaminica. Anche il sistema neuroendocrino è risultato implicato nel determinare la depressione: per es. nella depressione maggiore si verifica l'aumento del cortisolo plasmatico. Sono state inoltre dimostrate importanti compromissioni nelle interazioni tra il sistema endocrino e quello immunitario: nei pazienti in depressione maggiore, analogamente a quanto si verifica, per es., nei soggetti stressati, vi è carenza di attività e diminuzione delle cellule che svolgono protezione immunitaria. È opportuno tuttavia ricordare che i controlli effettuati nel tempo hanno dimostrato che la maggior parte dei risultati raccolti nel campo della biologia si sono riferiti a ipotesi non confermate, non raramente contraddittorie. Conseguentemente l'eziopatogenesi della malattia su questo piano resta ancora ipotetica e sostanzialmente sconosciuta.
Per la psicoanalisi la depressione è il prolungamento anomalo, l'intensificazione, nonché la spiegazione, del lutto che fa seguito alla perdita di un oggetto di amore. In tal caso si fa l'esperienza di uno svuotamento psicologico intenso, in quanto nell'oggetto d'amore erano state depositate parti buone, idealizzate di sé, che sembrano ora irrimediabilmente perdute. Il Sé ne risulta impoverito e l'esperienza di lutto comporta introversione e disinteresse per l'esperienza esterna, perché ci si trova impegnati in un lavoro particolare con il quale si cerca di ricreare dentro di sé l'oggetto che è stato perduto al di fuori.
Come sa chiunque abbia provato una delusione di amore o la morte di una persona cara, quando ciò si verifica si è portati - per lo meno per un certo periodo di tempo - a fare continuo riferimento mentale, verbale e comportamentale all'oggetto scomparso: proprio in ciò consiste il processo fisiologico del lutto, che evolve sino a risolversi naturalmente. Infatti lo sforzo immaginativo, volto a mantenere in vita l'oggetto perduto, non può non confrontarsi con la perdita reale; di quest'ultima si compie così una ripetuta, progressiva accettazione, tramite la quale si avvia uno stemperamento graduale dei legami libidici e ci si stacca via via dall'oggetto d'amore: non certo perché lo si perda definitivamente, ma per la sua rinascita in forma di simbolo, il che stabilisce una realtà di unione a un più alto livello di relazione. Durante l'elaborazione del lutto si vive quindi una depressione fisiologica, che in determinate circostanze può però sconfinare in una depressione patologica; è esemplare, al riguardo, il caso delle depressioni post partum, di durata limitata nella generalità delle puerpere, ma inizio di una vera e propria psicosi depressiva in quelle predisposte alla depressione.
Secondo il punto di vista psicoanalitico, lo spartiacque tra il processo fisiologico e quello patologico, ovvero la predisposizione, sta nel tipo di affetto che ha legato il soggetto all'oggetto perduto; vi è depressione psicotica quando questo affetto è negativo, cioè essa si verifica non quando si è amato l'oggetto perduto, ma quando lo si è inconsciamente odiato. Si è infatti chiarito che, nel caso di forte ostilità inconscia (quindi di sentimento di colpa) verso l'oggetto perduto, è molto più difficile 'metabolizzarne' la perdita. Se i sentimenti di ostilità e di colpa verso la persona perduta rimangono inconsci o, peggio, vengono negati, il lavoro di riparazione diventa arduo e il lutto non può essere risolto. Sul piano dinamico la depressione denuncia l'esito fallimentare di un conflitto radicale tra la sfera cosciente dell'Io e quella inconscia dell'Es.
M. Klein (1952) ne ha descritto l'eziologia indicando che i processi relativi alla patogenesi della depressione si radicano nella primissima infanzia. Nel primo anno di vita si succederebbero due situazioni dinamiche di fondamentale importanza: in una, corrispondente al primo semestre, il soggetto respinge da sé, proietta all'esterno, attribuendole alle persone circostanti (soprattutto alla madre), tutte le inevitabili frustrazioni che riceve nella vita quotidiana; a questo processo, nel secondo semestre di vita, subentra una riunificazione per la quale il soggetto si riappropria di ciò che aveva alienato, subendo tuttavia, per questo stesso fatto, un'esperienza di depressione, al punto che M. Klein ha parlato, per il secondo semestre di vita, di 'posizione depressiva'. Se le frustrazioni subite non sono state troppo numerose e intense, questa posizione è fisiologica, cioè non solo non ostacola il progresso del soggetto, ma è una condizione di progresso, dalla quale egli esce ben presto. Se invece le frustrazioni sono state eccessive, il soggetto evita la depressione, non la utilizza e mantiene sostanzialmente la scissione, anche se questo fatto nella vita infantile in genere non si manifesta. La scissione rimane come una predisposizione nell'inconscio, destinata a esplodere nella vita adulta al verificarsi di traumi emotivi.
La depressione risulta essere dunque l'esito di un processo di patologia dinamica, basato sul cedimento di quella barriera interna con la quale la sfera razionale dell'Io si garantisce dall'afflusso disordinato di pulsioni dell'Es, tramite il venir meno della metabolizzazione continua e riuscita degli infortuni e dei lutti che si incontrano nella vita quotidiana. La minaccia, originata nel mondo esterno, viene sperimentata come un fatto interno al soggetto, per prevalenti processi di introiezione. La componente organica non può comunque essere mai dimenticata: la prospettiva psicodinamica non nega, ma integra quella biologica.
Vi è dunque una depressione 'normale', palese nel lutto che segue a ogni perdita e che è anche parte di ogni apprendimento dall'esperienza: apprendere significa, infatti, selezionare e disapprendere quanto si era già costituito, attraverso il passaggio di un'esperienza depressiva pur fisiologica.
Secondo W. Bion (1957), al contrario, vi è uno pseudoapprendimento nel quale il soggetto è sostanzialmente impegnato a collazionare contenuti significativi ma solo per spogliarli di senso. Ciò si verifica infatti in assenza di ogni nota depressiva e con l'assunzione di una superiorità moralistica che trova tutto sbagliato, rendendo irrilevante ogni elemento di significato. Ne risultano allora ignoranza e 'stupidità onnipotente'. La terapia della depressione, quando questa raggiunge un livello di gravità clinica, non può essere unilaterale, tranne che in casi eccezionali. Deve essere infatti una terapia 'integrata', dove le psicoterapie (di rilassamento, di tipo cognitivo e di tipo emotivo di superficie o di profondità, in modo paradigmatico la psicoanalisi e la gruppo-analisi) siano considerate equipollenti alle farmacoterapie, in loro concomitanza o in alternativa.

Aspetti biochimici
di Alessandro Agnoli e Rosanna Cerbo

I meccanismi biochimici della depressione a tutt'oggi non sono stati ancora chiariti in modo soddisfacente. Secondo l'ipotesi attualmente più accreditata, questo disturbo dell'affettività è conseguente a una disfunzione della neurotrasmissione cerebrale. La teoria originaria postulava un deficit cerebrale dei neurotrasmettitori monoaminergici, in particolare della noradrenalina o della serotonina, mentre successive ricerche hanno condotto a una rielaborazione più articolata di questa ipotesi. Attualmente, infatti, si ritiene che la causa biochimica della depressione non sia riconoscibile in un'alterazione di un singolo sistema neurotrasmettitoriale, ma vada piuttosto ricondotta alla rottura dei complicati meccanismi che regolano il delicato equilibrio dell'attività dei neuroni cerebrali, i quali sono sottoposti all'azione contemporanea di diversi neurotrasmettitori.
L'idea che le forme depressive siano determinate da modificazioni chimiche a livello cerebrale nacque negli anni Cinquanta del 20° secolo dall'osservazione che la reserpina, un alcaloide estratto da una pianta originaria dell'India, conosciuta sin dall'antichità e a lungo impiegata nel trattamento dell'ipertensione arteriosa, induceva la comparsa di sindromi depressive. Quasi contemporaneamente fu notato che, in modelli sperimentali animali, la reserpina determinava l'insorgenza di rallentamento motorio e psichico, analogamente a quanto osservabile nella sindrome depressiva dell'uomo. Successive ricerche hanno permesso di correlare l'effetto depressivo della reserpina con la sua capacità di provocare una marcata diminuzione cerebrale di noradrenalina e serotonina.
In seguito fu rilevato che alcuni farmaci inibitori delle monoaminossidasi (IMAO), che si dimostrarono attivi nella terapia della depressione, agivano attraverso un aumento di questi neurotrasmettitori. Gli IMAO, infatti, aumentano i livelli cerebrali di noradrenalina, serotonina e di dopamina, bloccando la attività delle monoaminossidasi (MAO), enzimi che normalmente distruggono questi neurotrasmettitori. Successivamente fu dimostrato che i farmaci triciclici, altra classe di sostanze dotate di notevole efficacia antidepressiva, agiscono aumentando la disponibilità di neurotrasmettitori monoaminergici, anche se con meccanismo diverso da quello degli IMAO. I triciclici inibiscono infatti il recupero (re-uptake) delle monoamine da parte del neurone presinaptico, permettendo in tal modo a tali sostanze di agire più a lungo sui recettori specifici postsinaptici. La maggior parte dei triciclici inibisce il recupero sia della noradrenalina sia della serotonina, con una potenza relativa variabile, a seconda dei diversi composti.
Gli studi sui meccanismi d'azione degli antidepressivi sono stati fondamentali per la formulazione dell'ipotesi monoaminergica come causa della depressione che prevede una riduzione dell'attività noradrenergica e/o serotoninergica. Negli anni Sessanta, venne ipotizzato inizialmente che la depressione fosse la conseguenza di una prevalente alterazione del sistema noradrenergico, con riduzione di questo neurotrasmettitore durante gli episodi depressivi e aumento durante quelli maniacali; fu attribuito un peso maggiore, in seguito, alla serotonina. Un importante campo di ricerche fu in quel periodo lo studio della funzione noradrenergica e serotoninergica nel sistema nervoso centrale di pazienti depressi, per mezzo della determinazione della concentrazione di questi neurotrasmettitori a livello cerebrale.
Tuttavia, numerosi dati sperimentali e clinici indicano, attualmente, che nella depressione i meccanismi biochimici sono più complessi di una semplice alterazione quantitativa di un singolo sistema trasmettitoriale, noradrenergico o serotoninergico. Alcuni pazienti depressi, infatti, presentano livelli elevati e non ridotti di noradrenalina e di serotonina, mentre altri mostrano uno squilibrio tra i livelli dei vari neurotrasmettitori. Certi farmaci, provvisti di differente potenza nell'inibire il recupero della noradrenalina o della serotonina, mostrano efficacia clinica equivalente. Inoltre neurotrasmettitori diversi, quali dopamina, acido γ-aminobutirrico (GABA), neuropeptidi (encefaline) e altri composti ad attività neuromodulatorie, possono svolgere un ruolo nel processo biochimico che determina la depressione.
Le più recenti ipotesi biochimiche sull'origine della depressione tendono a ridimensionare l'importanza della carenza dei neurotrasmettitori cerebrali, suggerendo piuttosto un'alterata sensibilità dei recettori per le monoamine (noradrenalina, serotonina e dopamina). Infatti i farmaci antidepressivi inducono un aumento della disponibilità cerebrale di noradrenalina e serotonina, già dopo un'unica somministrazione, mentre l'effetto terapeutico sul tono dell'umore è evidente solo dopo 2-3 settimane di trattamento. Ciò indicherebbe che il potenziamento della neurotrasmissione cerebrale non rappresenta il principale o l'unico meccanismo d'azione dei farmaci antidepressivi.

Aspetti sociali e psicosociali
di Giovanni de Girolamo e Francesco Coppa

Quelli depressivi rappresentano il gruppo di disturbi psichiatrici con i più elevati tassi di prevalenza nella popolazione e con le maggiori implicazioni in termini di sanità pubblica. L'importanza che essi rivestono è autorevolmente testimoniata dalla pubblicazione, a cura della Banca mondiale, dei risultati di un ampio progetto volto a valutare il rilievo, con una proiezione sino all'anno 2020, delle 107 più importanti condizioni morbose (Murray-Lopez 1996). Secondo tale stima, la depressione maggiore, che figura, a fine 20° secolo, al quarto posto tra tutte le condizioni morbose, occuperà, nel 2020, il secondo posto in tale graduatoria, preceduta solo dall'ischemia coronarica.
Poche cifre sono sufficienti per documentare l'entità del problema: da una rassegna dei principali studi epidemiologici di comunità, condotti impiegando strumenti standardizzati per la diagnosi psichiatrica, emerge che circa il 7% della popolazione adulta soffre, in ciascun mese considerato, di un disturbo depressivo clinicamente significativo (vengono esclusi da questa stima i disturbi affettivi bipolari) con un range di valori di prevalenza che va da un minimo del 5% circa a un massimo del 19% (Goldberg-Huxley 1992). Riguardo ai fattori sociodemografici di rischio, nel caso della depressione, è ben documentata, come già visto, una maggiore esposizione del sesso femminile a tale disturbo. In genere il rapporto tra la frequenza nei maschi e quella nelle femmine è di 1:2, con un range che va da 1,4 a 2,7 a seconda delle ricerche considerate (de Girolamo 1993). Sono state fornite numerose spiegazioni di questo fenomeno (Nolen-Hoeksema 1987), che coinvolgono fattori di tipo socioculturale, di ruolo e biologici: tuttavia, nessuno di tali modelli sembra essere in grado, da solo, di fornire una piena spiegazione del problema, mentre è verosimile che esso sia da ascrivere alla compresenza di differenti cause. Anche la relazione tra rischio di ammalarsi di depressione ed età anagrafica è tutt'altro che semplice. In termini sintetici, si può tuttavia dire che la maggior parte delle ricerche finora condotte mostra che il rischio di ammalarsi di depressione decresce con l'età (Jorm 1995).
I disturbi depressivi sono più frequenti tra i disoccupati, tra i residenti in aree urbane rispetto agli abitanti in zone rurali, tra le persone colpite da malattie fisiche gravi o invalidanti, tra i portatori di handicap e, infine, tra i familiari di soggetti affetti da depressione, con un rischio di malattia 2-3 volte maggiore rispetto ai familiari di individui che ne sono esenti (Bebbington 1989; de Girolamo 1993). Incerto è invece il rapporto tra frequenza della depressione e classe sociale, in quanto alcuni studi hanno riscontrato maggiori tassi di depressione tra i ceti più svantaggiati dal punto di vista socioeconomico, mentre altri sono giunti a risultati opposti. Vi sono fondate evidenze che dimostrano come la frequenza della depressione sia notevolmente cresciuta negli ultimi decenni del 20° secolo (Klerman-Weissman 1989). In particolare, sembra essersi prodotto un aumento nella frequenza della depressione tra le persone nate dopo la Seconda guerra mondiale; una diminuzione nell'età di comparsa della depressione, con un incremento di tale disturbo tra gli adolescenti e i giovani; una crescita complessiva negli anni 1960-75 per tutte le fasce d'età. Le ragioni precise di questo fenomeno restano ancora da chiarire, anche se i cambiamenti di tipo socioculturale intervenuti nei decenni considerati sembrano giocare un ruolo importante nella sua determinazione.
La depressione, o i sintomi depressivi, sono associati a un considerevole livello di disabilità e di utilizzazione dei servizi sanitari. Un ampio corpus di evidenze relative alle disabilità associate con la depressione proviene dallo studio statunitense Medical outcomes study (Wells et al. 1989); in questa importante ricerca sono stati comparati i livelli complessivi di disabilità e di menomazione associati alla depressione e ad alcune malattie somatiche di particolare gravità. I pazienti con sintomi depressivi presentavano un funzionamento psicosociale e una menomazione in termini di ruolo sociale significativamente peggiori rispetto ai pazienti sofferenti di ciascuna delle malattie somatiche considerate. Non va poi dimenticato che i disturbi depressivi sono all'origine di una significativa quota, tra il 60 e l'80%, dei suicidi che vengono commessi ogni anno.
Numerose ricerche, soprattutto a partire dall'inizio degli anni Settanta, hanno chiaramente mostrato che un ampio numero di variabili di tipo psicosociale giocano un ruolo decisivo nell'eziopatogenesi di questi disturbi. In particolare, molti studi hanno messo in luce una significativa associazione tra eventi della vita e depressione. Tra questi studi, le indagini di G.W. Brown, T.O. Harris, C. Hepworth (1994) hanno dimostrato l'esistenza di una correlazione tra eventi della vita stressanti, assenza di supporto sociale e successiva comparsa di depressione. Quando si parla di eventi della vita si fa riferimento a un mutamento che avviene in modo rapido, che coinvolge l'ambiente esterno alla persona, che sia verificabile e indipendente dal soggetto stesso; quest'ultima condizione è fondamentale per accertare se può essere stabilita un'associazione diretta tra il verificarsi dell'evento e l'insorgenza del disturbo. L'evento della vita associato al manifestarsi della depressione coinvolge un'esperienza di 'perdita': perdita di relazioni interpersonali significative (per es., un decesso, una separazione da un coniuge o da un figlio ecc.), o di autostima (anch'essa spesso correlata con perdite reali o simboliche di figure significative), o anche di ruolo (per es., il divenire inutile a causa di un pensionamento o il venir meno di un progetto esistenziale coltivato nei confronti di una figura significativa, come nel caso della scoperta in un figlio di comportamenti chiaramente delinquenziali). Inoltre, in un gran numero di casi, l'esperienza della perdita comprende il sentirsi umiliati (ciò comporta la probabilità che un evento produca nel tempo una svalorizzazione della persona rispetto agli altri o a sé) o 'intrappolati' in una situazione che non è destinata a cambiare in meglio, e che, anzi, prevedibilmente peggiorerà (per es. nel caso di un coniuge che diviene paralizzato e per il quale non vi sono possibilità di miglioramento).
In generale, il rischio relativo di soffrire di depressione nei sei mesi successivi ai più gravi eventi della vita è sei volte più elevato, con una caduta sostanziale di tale rischio in parallelo con il passare del tempo (Paykel et al. 1996). Un altro ampio corpus di ricerche indaga sulla relazione esistente tra depressione e supporto sociale: con questa espressione si fa riferimento a funzioni di aiuto svolte, nei confronti di un individuo, da altri soggetti 'significativi', quali familiari, amici, colleghi di lavoro, congiunti e vicini di casa. Le funzioni alle quali si allude sono numerose e comprendono: supporto psicologico, come dimostrazioni di affetto, stima, disponibilità, simpatia e appartenenza di gruppo; aiuto strumentale, rappresentato da azioni concrete e da un supporto materiale che rende possibile l'assolvimento di obblighi, responsabilità e compiti della vita quotidiana; aiuto informativo, che fa riferimento ad aspetti della comunicazione interpersonale, quali consigli, feedback personale e informazioni di carattere lavorativo.
Molti studi trasversali e prospettici relativi al rapporto tra mancanza di supporto sociale di vario tipo (presenza o assenza di una relazione affettiva significativa, o qualche tipo di integrazione sociale obiettivamente misurabile, livello di partecipazione comunitaria, entità del network sociale, disponibilità di amici) e insorgenza di depressione sono stati condotti nel corso degli ultimi venti anni del 20° secolo su campioni di popolazione generale. La maggior parte delle ricerche svolte ha messo in luce l'esistenza di una relazione tra questa variabile e la depressione, anche se tale relazione non è da intendersi necessariamente in senso eziologico. Altrettanto dimostrato sembra essere il rapporto tra supporto sociale assente o inadeguato e peggior decorso del disturbo, una volta che esso sia insorto. Sulla base di quanto discusso, sembra possibile arrivare alla formulazione di un modello eziopatogenetico della depressione che integra in maniera esaustiva le principali variabili biologiche e psicosociali.
Un importante studio condotto su un campione di 680 coppie di gemelli di sesso femminile (mono- o dizigoti) ha consentito di mettere in luce il peso differenziale di variabili genetiche o psicosociali (quali eventi stressanti, supporto sociale ecc.) nell'insorgenza della depressione (Kendler et al. 1993), fornendo una conferma sperimentale rigorosa a tale modello. Da questa indagine è emerso che una storia di depressione in uno dei due membri della coppia gemellare rappresentava un forte predittore di depressione nell'altro membro della coppia nel caso dei gemelli monozigoti rispetto ai dizigoti.
Tuttavia, il background genetico non rappresentava il maggiore fattore di rischio per la depressione, ma veniva dopo gli eventi stressanti della vita sofferti di recente, che costituivano il singolo fattore di rischio più rilevante. In generale, quindi, secondo gli autori di questa ricerca, almeno quattro fattori di rischio, tra loro interagenti, appaiono necessari per spiegare l'eziologia della depressione maggiore.
Tali fattori sono costituiti da:
1) esperienze traumatiche, quali la perdita di una figura genitoriale nella prima infanzia, eventi traumatici sofferti in qualsiasi età, ed eventi stressanti della vita;
2) fattori temperamentali, quali un elevato grado di 'nevroticismo';
3) fattori genetici, rappresentati da una familiarità positiva per la depressione;
4) fattori inerenti alle relazioni interpersonali.
Tale ricerca fornisce quindi un'importante conferma sperimentale a un modello multifattoriale nella genesi della depressione, ben più attendibile di teorizzazioni semplificanti orientate verso un marcato riduzionismo biologico.




Bibliografia

da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it