empatia
In psicologia per empatia
(termine derivato dal greco ἐν, "in", e -πάθεια, dalla radice παθ- del
verbo πάσχω, "soffro", sul calco del tedesco Einfühlung), si intende la
capacità di comprendere lo stato d'animo e la situazione emotiva di
un'altra persona, in modo immediato e talvolta senza far ricorso alla
comunicazione verbale. Il termine viene anche usato per indicare quei
fenomeni di partecipazione intima e di immedesimazione attraverso i
quali si realizzerebbe la comprensione estetica.
sommario: L'interpretazione fenomenologica e psicoanalitica. L'empatia
nell'estetica. □ Bibliografia.
L'interpretazione fenomenologica e psicoanalitica
di Lucio Pinkus
Empatia è la capacità di una persona di immedesimarsi in un'altra fino
a coglierne i sentimenti, gli stati d'animo e i pensieri.
L'esplorazione sui contenuti e sui processi empatici avviene per la
prima volta nell'ambito della fenomenologia, costituendo un passo
decisivo per superare una concezione meramente razionale della
comunicazione interpersonale e, segnatamente, della capacità di
comprendere l'altro. In particolare, E. Stein (1917) ne individuò il
fondamento in quella condizione esistenziale che è
l''essere-in-un-mondo-comune' (Mitwelt). In questo contesto, l'empatia
viene considerata come un atto originario che, da un lato, consente al
soggetto di vivere gli altri come dal loro interno e, dall'altro, porta
a maturazione ciò che in noi è latente oppure diverso. In altri
termini, con l'empatia il soggetto mette in atto un processo che gli
consente di aprire lo sguardo sui valori sconosciuti della propria
persona. L'empatia è un atteggiamento che si colloca prevalentemente a
livello cosciente, motivato dal desiderio, e quindi dalla
disponibilità, di percepire il quadro interno di riferimento del
proprio interlocutore per condividerlo. Questo primo aspetto
dell'empatia - che è la comprensione empatica - richiede un'attenzione
e una capacità di vivere la relazione con l'altro come se si fosse al
suo posto, mantenendo tuttavia una consapevolezza vigile della
distinzione, non soltanto per evitare esperienze di emozioni
'fusionali', ma anche per non lasciarsi coinvolgere (o addirittura
travolgere) dai sentimenti che, pure, si desidera condividere. Un
secondo aspetto dell'empatia è costituito dalla comunicazione empatica.
Si tratta di una modalità comunicativa che esige una capacità costante
di valutare il tipo d'interazione che si sta svolgendo, tenendo conto
della globalità dei linguaggi (verbali e infraverbali) e del grado di
prossimità (o distanza) dall'intimità e sintonia. La comunicazione
empatica implica, infatti, un attento rispetto dei tempi e delle
modalità di apertura - e quindi di risposta - dell'interlocutore, in
particolare per quanto riguarda la capacità di utilizzare soltanto le
informazioni che egli ha spontaneamente fornito su sé stesso, con la
chiara esclusione, cioè, di ogni sollecitazione di tipo interpretativo.
La psicoanalisi, a partire dallo stesso Freud (1921), ha approfondito
lo studio della dinamica soggiacente l'empatia, in particolare la sua
collocazione nello spazio del preconscio e la sua qualità di stato non
necessariamente permanente. Freud descrive questa capacità di
immedesimazione come una sorta d'intuizione, che consente l'accesso
agli ambiti della vita psichica altrui, di per sé estranei alla propria
esperienza. R.R. Greenson (1978) approfondisce la delimitazione
dell'empatia come spazio nel quale è possibile raggiungere l'obiettivo
della comprensione dell'altro mediante una condivisione, sia pur
temporanea, dei suoi sentimenti: questa partecipazione ai sentimenti
altrui si riferisce non all'intensità ma alla qualità, non alla
quantità ma alla loro natura. Greenson inoltre distingue accuratamente
l'empatia da altre dinamiche psichiche sia inconsce, sia preconsce.
Anzitutto, essa si differenzia dalla simpatia, perché non implica
quell''essere d'accordo', quel 'vivere assieme' che è, invece,
essenziale della simpatia: la dimensione empatica viene cioè attivata
per lo più da un'iniziativa consapevole unilaterale. Neppure
l'imitazione o la mimesi - processi che si presentano, per qualche
verso, come configurazioni analogiche - equivalgono all'empatia, in
quanto esse fanno riferimento alle sole caratteristiche esterne e
comportamentali di una persona. È anche necessario distinguere
accuratamente l'empatia dal processo di identificazione, essendo
quest'ultimo un fenomeno essenzialmente inconscio e permanente,
finalizzato al superamento dell'angoscia e non - come invece l'empatia
- alla comprensione e all'ampliamento della coscienza.
La psicoanalisi ha largamente applicato il concetto di empatia alla
propria tecnica d'indagine. H. Kohut (1984) ha studiato e chiarito il
ruolo dell'empatia, come operazione che definisce il campo della
psicoanalisi. Egli ritiene che un'osservazione partecipe, duttile (nel
senso che può essere usata graduandone tempi e intensità) e, al tempo
stesso, sufficientemente distaccata - qual è appunto la dimensione
empatica - consente all'analista, in primo luogo, la comprensione degli
stati psichici più complessi e gli permette, di conseguenza, anche di
cogliere e di comunicare al paziente gli eventi, usando quei codici
comunicativi - soprattutto a livello di sentimenti - che gli sono
propri, in quanto transitoriamente condivisi nel set analitico.
L'analista è così in grado di fornire all'altro una visione della
realtà immediatamente riconoscibile perché eco dei suoi stessi vissuti
e sentimenti. Inoltre, per mezzo dell'interpretazione, può offrirgli in
modo graduale e non violento orizzonti più ampi in cui dare significato
a esperienze magmatiche o dolorose, rese accettabili appunto perché
espresse con la comprensione empatica. Kohut ritiene infine che,
proprio nei casi più difficili, la polarità dell'empatia
(comprensione/comunicazione) consenta all'analista di oscillare in
maniera opportuna dalla posizione di comprensione a quella della
spiegazione, favorendo conseguentemente l'ampliamento della coscienza e
la crescita anche laddove l'interpretazione fondata sul transfert si
riveli inopportuna e persino impossibile.
L'empatia nell'estetica
di Gianni Carchia
Il termine empatia viene impiegato a designare un ben preciso indirizzo
dell'estetica posthegeliana. Per questa corrente teorica, i cui
principali esponenti sono F.T. Vischer, suo figlio Robert, T. Lipps e
J. Volkelt, la realtà del bello va riportata alla dimensione della
coscienza e alle sue attribuzioni di senso. La trattazione più ampia e
destinata a grande fortuna è quella che si trova in T. Lipps (1903-06).
Secondo Lipps, un oggetto che compare dinnanzi a noi costituisce
immediatamente una sollecitazione alla nostra attività: ci invita a
toccare la sua superficie, a percepire le sue tonalità, a ripercorrere
con gli occhi la sua figura. La percezione dell'oggetto è, perciò, il
risultato di alcuni stimoli che riceviamo e di alcune attività che
mettiamo in opera, come movimenti muscolari degli occhi, delle mani
ecc. Percependo un oggetto esteriore, fondiamo ciò che accade dentro di
noi con la sua esistenza e proiettiamo tutto all'esterno. Se, per es.,
l'oggetto è stretto e verticale, i nostri muscoli oculari provano uno
sforzo di elevazione, associato nella coscienza ad altri movimenti
virtuali del nostro corpo, che vorrebbero innalzarci dal suolo, nonché
alle sensazioni muscolari relative al peso, alla resistenza, alla
gravità. Intorno all'immagine dell'oggetto si forma come un plesso di
attività: ci pare che le nostre forze, tendendo verso l'alto, vincano
la pesantezza e lo sforzo abbia successo. Mentre godiamo di questa
attività, sentendoci in possesso di forze vitali trionfanti, riversiamo
sull'oggetto la nostra emotività interiore. È questa l'empatia e
soltanto quando essa è presente le forme ci appaiono belle, e la
bellezza consiste nel sentire di vivere idealmente una vita libera. Il
piacere estetico è dunque un godimento di sé stessi oggettivato. Il
bello non va inteso, allora, come qualcosa che si aggiunga all'Io, come
un elemento estraneo all'atto di coscienza che lo costituisce. Il bello
non è una cosa, bensì un atto. In base a questa teoria, l'arte dovrà
essere una costruzione di forme tali da suscitare in noi quella
vitalità organica potenziata, quell'espansione virtuale di energie che
costituisce appunto l'empatia. In questo senso, l'arte tenderà sempre a
presentarci le forme organiche vive in tutta la loro ricchezza e
libertà, cercando di afferrare la vita animale reale, quella cioè che
più è capace di favorire l'altra vita virtuale. Insomma, l'arte sarà
essenzialmente naturalista.
Da queste considerazioni hanno preso le mosse alcune fra le più
interessanti ricerche di psicologia dello stile fra Ottocento e
Novecento, quelle di H. Wölfflin e di W. Worringer. Wölfflin (1886)
riconduce l'impressione estetica delle forme essenzialmente a una
sensazione corporea immediata. L'attività simbolica, l'investimento
psichico delle forme estetiche fa riferimento al sentimento del corpo:
"La nostra organizzazione corporea è la forma sotto la quale noi
cogliamo tutto ciò che è corporeo". Perciò gli "elementi fondamentali
dell'architettura - materia e forma, peso e forza - si determinano in
base all'esperienza che abbiamo fatto in noi" sicché "le leggi
dell'estetica formale non sono altro che le condizioni nelle quali
soltanto ci appare possibile un benessere organico" (trad. it., pp.
17-21). In Worringer (1908) l'impulso all'empatia si definisce, nel suo
naturalismo organicistico che connota lo stile di ogni arte classica,
in opposizione a un impulso antitetico, la tendenza all'astrazione, che
si manifesta sul piano artistico nelle forme d'arte stilizzate e
ornamentali, antifigurative. Nell'astrazione, a differenza che
nell'empatia, io non godo di me stesso nell'oggetto artistico, bensì
tento di sfuggire a un'angoscia interiore, a "un'immensa agorafobia
spirituale" (trad. it., p. 36), dimenticando me stesso in una realtà
quasi geometricamente regolata, chiara e precisa, sottratta al
cambiamento e alla confusione. Se l'impulso di empatia dipende da un
rapporto di panteistica fiducia fra l'uomo e i fenomeni del mondo
esterno, l'impulso di astrazione è determinato da "una grande
inquietudine interiore provata dall'uomo di fronte a essi e
corrisponde, nella sfera religiosa, a un'accentuazione fortemente
trascendentale di tutti i concetti" (ibidem). Il principio dell'empatia
è, dunque, il fondamento del senso artistico classico che si basa sulla
fusione di uomo e mondo, su un processo di antropomorfizzazione che
trasferisce la vitalità organica propria dell'uomo su tutti gli oggetti
del mondo fenomenico.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it