etnologia
Studio delle culture umane,
delle loro forme e dei loro processi di trasformazione. Oggetto
specifico dell’e., come dell’antropologia culturale (➔ antropologia),
sono tecniche, costumi, credenze, forme della vita sociale, politica,
religiosa, economica ecc., studiati sulla base di ricerche etnografiche.
1. CAMPO D’INDAGINE
Il termine e. ha assunto nel tempo significati piuttosto differenti e
si è affermato lentamente nell’ambito delle scienze sociali; dapprima
servì a indicare una materia con interessi biologico-naturalistici (lo
studio delle differenti ‘razze’ umane) e filologico-storici, quindi una
disciplina comparativa volta prevalentemente allo studio della
distribuzione dei fatti culturali in complessi etnico-geografici (la
prospettiva teorica del diffusionismo) e in sequenze cronologiche,
ordinate in successione relativa (evoluzionismo). In seguito
all’affermarsi del metodo dell’osservazione partecipante (a partire
dagli anni 1920) e al moltiplicarsi delle indagini etnografiche in ogni
parte del mondo, all’intensificarsi dei vincoli e degli apporti
reciproci tra l’e. e discipline a essa vicine (psicologia, linguistica,
sociologia, storiografia, economia ecc.) e al conseguente affinamento
degli stessi suoi strumenti teorico-analitici, l’e. ha via via esteso
il proprio campo d’azione e approfondito le proprie problematiche,
emancipandosi gradualmente dall’eurocentrismo da cui inizialmente era
viziata. Non più circoscritta allo studio delle sole popolazioni dette
primitive, prevalentemente in aree extraeuropee, società inizialmente
privilegiate nello studio per la loro presunta arcaicità e per la minor
complessità rispetto alle civiltà dell’Oriente e dell’Occidente, l’e.
ha da tempo rivolto il proprio interesse ad aspetti sempre più numerosi
di queste ultime, avvertendo l’inadeguatezza di qualsiasi limitazione
geografica o tipologica imposta al proprio campo d’indagine. La
crescita delle convergenze tra l’e. e lo studio delle tradizioni
popolari (in taluni casi denominato anche e. europea) e, ancor più, tra
e. e antropologia culturale, è d’altra parte espressa chiaramente
dall’uso terminologico, che non prevede più, in Italia come all’estero,
l’intrinseca diversità di tali discipline, ma che anzi spesso tratta
come equivalenti e. e antropologia.
2. E., ETNOGRAFIA E ANTROPOLOGIA
C. Lévi-Strauss (Antropologie structurale, 1958) ha proposto di
concepire etnografia, e. e antropologia (culturale o sociale, a seconda
delle tradizioni accademiche dei vari paesi) come tre momenti di uno
stesso procedimento, i quali costituiscono a un tempo l’eterogeneità e
l’unità della disciplina antropologica nel suo complesso. L’etnografia
corrisponde alla prima fase del lavoro dell’antropologo, alla fase
preparatoria della raccolta dei documenti e dei dati e della loro prima
descrizione sotto forma di registrazione, classificazione, traduzione
ecc.; l’e. è la fase in cui si analizza, si sintetizza e si interpreta
ciò che si osserva in una data cultura in rapporto alle conoscenze
sulle altre società di cui si dispone e alle generalizzazioni teoriche
che si sono costruite a partire da queste conoscenze; l’antropologia
infine costituisce il terzo livello, quello più generale, in cui si
tenta di definire le proprietà generali di tutta la vita sociale e
culturale. Anche questa articolazione, tuttavia, appare oggi piuttosto
problematica. Il confine, tutt’altro che saldo, fra le tre fasi del
lavoro antropologico si è ulteriormente sfumato, via via che si
producevano i profondi cambiamenti geopolitici (prima per la fine del
colonialismo, poi per la progressiva globalizzazione) che hanno
rivoluzionato il pianeta a partire dagli anni 1970 e dei quali l’e. ha
preso atto metodologicamente e teoricamente.
La profonda riflessione critica che ha investito l’antropologia dalla
fine degli anni 1960 ha imposto il ripensamento della dialettica tra
l’unità (del genere umano) e la diversità (delle culture). Ciò
soprattutto a scapito dei concetti di cultura e di etnia, non più
definibili come entità di cui osservare, descrivere e studiare le
caratteristiche, ma come esiti sempre precari e cangianti di pratiche
sociali, risultato di processi di costruzione e invenzione non solo dei
ricercatori, ma anche degli stessi attori sociali (R. Wagner, The
invention of culture, 1975; C. Geertz, Local knowledge. Further essays
in interpretative anthropology, 1983, trad. it. Antropologia
interpretativa, 1988; J. Clifford, Routes. Travel and translation in
the late twentieth century, 1997). Non essendo più gli oggetti della
riflessione antropologica dati a priori, viene a cadere anche la
possibilità di un’articolazione rigida del processo di ricerca, per cui
già l’etnografia diventa in sé un momento di analisi complesso e carico
di valenze interpretative e di problematicità epistemologica,
sovrapponendosi così all’antropologia culturale che vede
progressivamente assottigliarsi lo spazio per le astrazioni e le
generalizzazioni che in precedenza la caratterizzavano. Questa
convergenza di etnografia e antropologia finisce per restringere il
campo dell’e., portando a una quasi totale coincidenza dell’ambito
(teorico e metodologico) di quest’ultima con quello delle prime due,
ferme restando le scelte terminologiche personali dei singoli studiosi.
Se in alcune tradizioni nazionali (per es. in Francia) antropologia ed
e. rimangono termini intercambiabili, in altri casi (come, per es., in
Italia) il termine e. viene oggi utilizzato soprattutto in riferimento
allo studio di specifiche aree culturali (e. dell’Africa occidentale,
e. dell’Oceania).
3. LO SVILUPPO STORICO
3.1 Le origini
Dal punto di vista storico, se è possibile ritrovare osservazioni che
oggi si possono definire etnologiche, sia in testi di storici antichi e
medievali sia nelle narrazioni di viaggi, la storia dell’e. intesa come
sistematica raccolta e metodico studio delle società un tempo dette
primitive ha la sua origine in Europa nel 19° secolo. Soprattutto verso
la metà di questo, infatti, l’organizzazione di società scientifiche,
di esplorazioni sistematiche, l’istituzione di cattedre universitarie e
musei permette agli studi etnologici di assumere ampia rilevanza. La
nascita dell’e. è legata alla formazione degli imperi coloniali, con i
congiunti interessi di controllo dei popoli sottomessi da parte delle
nazioni colonizzatrici. Allo stesso tempo, un’altra forza che impresse
sviluppo alla scienza etnologica attraverso l’opera dei missionari fu
quella della Chiesa. Le prime scuole etnologiche fiorirono in Germania,
Austria, Francia e Inghilterra. Lo sviluppo della scienza etnologica è
a sua volta collegato con i progressi nel campo delle ricerche
geografiche, paletnologiche, sociologiche, psicologiche,
storico-religiose, etnostoriche, come pure con le più generali
concezioni di origine scientifica e filosofica.
3.2 Il diffusionismo
Uno dei primi tentativi di sistemazione teorica dell’e., basata su
ampia documentazione etnografica, è costituito dal trattato di F.T.
Waitz, Anthropologie der Naturvölker (1859-72), assai legato a
considerazioni di ordine geografico (ponendo in relazione la
differenziazione delle razze umane con il clima), che indicava una
linea di ricerca più ampiamente svolta nell’Anthropogeographie (1891)
di F. Ratzel, il cui trattato Völkerkunde (1885-88) segnò una data
fondamentale: egli spinse l’e. a considerare tutte le manifestazioni
della civiltà umana come fatti e come oggetti per sé stanti, insistendo
sul motivo della ‘diffusione’ delle diverse ‘creazioni’ culturali da un
ambiente a un altro. Il pensiero di Ratzel ricevette forte impulso
dall’opera di L. Frobenius con il riconoscimento del fatto che gli
elementi culturali, singolarmente o più spesso riuniti in ‘complessi’,
non sorsero per via d’invenzioni o adozioni indipendenti in più punti
della Terra (teoria della convergenza) bensì, quasi sempre, ebbero
origine unica in seno a un determinato popolo, dal quale poi furono
trasmessi ad altre società. Il complesso di insegnamenti di Ratzel e
della sua scuola ha offerto i fondamenti della scuola
‘storico-culturale’ o diffusionista. L’indirizzo storico-culturale ebbe
largo seguito in Austria, con l’opera dei padri verbiti W. Schmidt e W.
Koppers, largamente influenzati da presupposti teologici, e con quella
dei loro allievi, nei paesi germanici e scandinavi.
3.3 L’evoluzionismo
Il diffusionismo si opponeva a quello che era l’orientamento etnologico
più diffuso nella seconda metà del 19° sec., l’evoluzionismo, che ebbe
fondamentale importanza negli studi etnologici, non solo per gli
elementi raccolti, ma soprattutto per il tentativo di spiegazione
naturalistica dei vari fenomeni culturali. Tra i suoi primi e maggiori
rappresentanti, insieme ad A. Bastian e a J.J. Bachofen fu l’americano
L.H. Morgan (studioso dei sistemi di parentela, Morgan offrì con le sue
teorie evoluzionistiche sul matrimonio e la società schemi accolti da
Marx e Engels). Egli postulava una successione di stadi,
nell’evoluzione culturale dell’umanità, dallo stadio ‘selvaggio’ al
‘barbaro’, al ‘civile’. Evidentemente gli evoluzionisti presupponevano
uno sviluppo unilineare, parallelo e universale delle culture umane, da
forme che essi ritenevano semplici ad altre più complesse; e in tali
presupposti il modello implicitamente dato come punto d’arrivo era
quello della cultura euro-americana moderna, industriale, scientifica.
Nelle loro stesse impostazioni teoriche è evidente un marcato
etnocentrismo.
Fondamentale, nell’ambito dell’evoluzionismo etnologico, fu il
contributo di autori inglesi, anzitutto E.B. Tylor (Primitive culture,
1871), il quale definì, in base a un’estesa comparazione delle forme di
vita religiosa antiche, primitive e moderne, il concetto di animismo.
Secondo Tylor l’animismo, o «credenza in esseri spirituali», sarebbe
stata la fase primordiale dell’evoluzione religiosa dell’umanità; e
sarebbe stata seguita dalla fase del politeismo, per giungere infine al
monoteismo. Altri autori della scuola evoluzionista inglese sono J.
Lubbock, J.F. Mc Lennan e J.G. Frazer, uno fra i maggiori studiosi di
mitologie primitive e della magia.
3.4 La scuoladi Durkheim
La tradizione etnologica francese ebbe in É. Durkheim il primo
esponente. Egli connetteva strettamente il metodo sociologico all’e. il
cui fine definì come «l’osservazione della società e la conoscenza dei
fenomeni sociali», dove questi ultimi (Durkheim studiò soprattutto i
fenomeni di vita religiosa) vanno intesi come espressione della
coscienza collettiva, quale nasce dai rapporti delle coscienze
individuali senza tuttavia risolversi in esse: le strutture di una
cultura sarebbero proiezioni di tale coscienza. La scuola di Durkheim
continuò con l’opera di M. Mauss che insistette sull’organicità dei
fenomeni sociali, elaborando la teoria del fatto sociale totale di cui
i vari aspetti di una cultura sono espressione e in cui l’individuo si
integra con la società. Altri importanti esponenti della scuola
etnologica francese sono stati R. Hertz e A. Van Gennep.
3.5 Il funzionalismo
In Inghilterra, il funzionalismo di B. Malinowski (1884-1942) nacque in
polemica contrapposizione sia al diffusionismo sia all’evoluzionismo.
Malinowski (Argonauts of the western Pacific, 1922) riteneva di
centrale importanza per il metodo antropologico l’osservazione
partecipante e la ricerca sul campo. Egli cercò di individuare i nessi
funzionali reciproci tra le singole istituzioni, e fra queste nel loro
insieme e i bisogni primari e culturali cui esse corrispondono. Ne
nasce un quadro articolato, in cui economia, strutture sociali,
religione vengono analizzate nelle loro interrelazioni reciproche.
La prospettiva volta all’analisi del presente proseguì con A.R.
Radcliffe Brown, il quale sottolineò l’importanza della separazione
dell’e., vista da lui come disciplina storica e classificatoria,
dall’antropologia sociale, da lui accreditata di tendenze nomotetiche
(generalizzanti) e volta soprattutto allo studio delle strutture
sociali fra le società tradizionali. La scuola di antropologia sociale
britannica con alcuni autori (E.E. Evans Pritchard, J. Beattie, J.
Middleton, R. Firth ecc.) ha rivalutato l’importanza del momento
storico nella comprensione del presente antropologico. Altri autori (E.
Leach, M. Gluckman, V. Turner) hanno sottolineato i fattori di
tensione, conflittualità e disfunzione nell’ambito delle culture
tradizionali, in antitesi con i presupposti del funzionalismo classico,
che tende a rilevare i fattori integranti, volti a dare alla cultura un
carattere di organismo armonioso.
3.6 Il filone strutturalista e le indagini ispirate al marxismo
In Francia la prospettiva strutturalista ha assunto un rilievo enorme
anche fuori dalla disciplina etnologica, per le sue istanze speculative
e metodologiche che, con C. Lévi-Strauss, hanno contribuito a rifondare
una filosofia antropologica con influssi nei vari paesi del mondo.
Nella seconda metà del Novecento, tuttavia, anche la scuola francese ha
privilegiato temi legati al cambiamento culturale, dando vita ad
approcci dinamici (G. Balandier, P. Mercier). Un certo rilievo hanno
avuto anche le indagini ispirate al marxismo, rappresentate da C.
Meillassoux e M. Godelier. Entrambi hanno posto l’accento sui problemi
dell’antropologia economica, sviluppando, rivedendo e ampliando, alla
luce dei dati etnologici, le tesi di Marx sul surplus e la teoria
economica tradizionale vigente nel mondo occidentale.
Negli ultimi decenni del Novecento l’influenza dell’antropologia
culturale americana sugli studi etnologici europei è divenuta via via
più marcata. L’antropologia interpretativa di C. Geertz e, in seguito,
le prospettive connessionistiche e postmoderne hanno condizionato sia
la riflessione teorica sia le pratiche di ricerca sul campo.
4. LA SCIENZA ETNOLOGICA IN ITALIA
All’inizio del Novecento e fino alla Seconda guerra mondiale, gli studi
di e. in Italia furono perseguiti sporadicamente sul piano individuale,
con ricerche soprattutto storico-filologiche su popolazioni africane
(C. Conti-Rossini, E. Cerulli). Una sua originalità ebbe la personalità
di L. Loria, il quale svolse all’inizio del 20° sec. indagini sul campo
in Melanesia, e quindi si aprì a interessi di folclore italiano, e
fondò la rivista Lares. Un’influenza determinante fu esercitata, dalla
metà degli anni 1920 agli anni 1940, dalla scuola etnologica cattolica
di Vienna, soprattutto dall’opera del padre W. Schmidt, il quale nel
1925 venne in Italia a organizzare il Museo etnologico lateranense per
conto del Vaticano. In generale l’e. italiana fu fin dall’origine
sensibile ai modelli dell’e. mitteleuropea, quanto a impostazione e
metodi, e si mantenne a lungo scarsa di ricerche sul campo, sia per
mancanza di interesse, data la predominanza della nostra tradizione
umanistica eurocentrica, sia per carenza, fino agli anni 1930, di più
diretti interessi coloniali, sia per la negativa influenza del fascismo
con le sue pregiudiziali razziste.
Solamente dagli anni 1940 con R. Pettazzoni, G. Cocchiara, E. De
Martino, ci si apriva a interessi etnologici più intensi e diretti, con
ricerche in settori distinti (religioni primitive, religione popolare,
folclore). Nasceva un’e. d’impianto storicista (E. De Martino), in
parte legata alla tradizione storiografica italiana (da G.B. Vico e B.
Croce), in parte a istanze marxiste, mediate attraverso A. Gramsci. Si
intraprendevano indagini sul terreno in Africa (V.L. Grottanelli),
sulle orme di una metodologia e una prassi in linea con i più moderni
filoni di ricerca etnologica inglesi e americani, e si avviavano (V.
Lanternari) studi di dinamica culturale relativi alle società del Terzo
Mondo. A partire dagli anni 1970 le ricerche sul terreno sono andate
aumentando, rivolgendosi sia allo studio di società extraeuropee
(principalmente africane e americane), sia al contesto europeo, in cui
hanno interessato tanto le problematiche della società contadina quanto
quelle della società complessa, industriale e urbana.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it