evoluzione
Jean-Baptiste Lamarck
(1744-1829) fu il primo a sviluppare, all'inizio del XIX sec., una
teoria concreta dell'evoluzione graduale, basata sull'eredità dei
caratteri acquisiti e sulla tendenza naturale degli organismi ad andare
verso una maggiore complessità. Il concetto di 'evoluzione' si impose
però solo dopo la pubblicazione nel 1859 dell'opera On the origin of
species di Charles Darwin (1809-1882), in cui lo scienziato teorizzò il
meccanismo della 'selezione naturale'. La teoria dell'evoluzione ha
finalmente consentito di sviluppare una concezione unitaria di tutti
gli organismi viventi e più di ogni altro concetto scientifico ha
contribuito alla comprensione dell'uomo. Il termine evoluzione implica
un mutamento graduale, generalmente orientato in una determinata
direzione. Più precisamente, l'evoluzione biologica si definisce come
'mutamento nella diversità e adattamento di popolazioni di organismi'.
Essa riguarda tutti gli aspetti degli organismi, ossia strutture,
percorsi di sviluppo, funzioni, specie ed ecosistemi interagenti.
Quando Lamarck e Darwin proposero le loro idee, si parlava di 'teoria'
dell'evoluzione percepita, dunque, nel suo carattere ancora ipotetico.
Oggi l'evoluzione è invece un dato assolutamente certo, quanto il fatto
che la Terra gira intorno al Sole o che la Terra è sferica e non
piatta. Le prove a favore dell'evoluzione sono varie e tutte
schiaccianti: tra queste, per esempio, le serie di fossili incluse in
strati geologici accuratamente datati mediante precisi metodi di
misurazione della radioattività. L'evoluzione è anche comprovata dallo
studio del fenomeno dell'ereditarietà, che ci ha insegnato che a ogni
generazione si forma un nuovo assortimento di genotipi, e dalle
ricerche di biologia molecolare, che hanno consentito la ricostruzione
di mutamenti succedutisi nel tempo in determinate molecole, mutamenti
cui hanno fatto riscontro quelli di certe caratteristiche strutturali,
scoperti da anatomisti e tassonomisti. Vi sono comunque alcuni
specifici problemi evolutivi che devono ancora essere risolti e
generano controversie anche aspre; tuttavia queste controversie non
mettono assolutamente in discussione l'evoluzione come dato di fatto.
È stato a partire dagli anni Quaranta del XX sec. che le posizioni,
precedentemente avversate, dei biologi evolutivi hanno ricevuto un
ampio consenso, confluendo in quella che Julian Huxley ha chiamato la
'sintesi evolutiva', che costituisce ancora oggi il quadro concettuale
della biologia evoluzionista. L'evoluzione, secondo la teoria
sintetica, è provocata dalla produzione incessante di variazione
genetica, attraverso processi casuali, e dal diverso grado di
sopravvivenza e di riproduzione dei nuovi individui, geneticamente
unici, prodotti da questo processo. Il successo riproduttivo
differenziale degli individui è ciò che Darwin ha chiamato 'selezione
naturale'.
Il processo di selezione ha comunque limiti, che derivano soprattutto
dalla precedente storia evolutiva degli organismi. Questi infatti sono,
a ogni livello, dal genotipo al fenotipo, sistemi altamente integrati,
per cui ogni cambiamento si riflette su tutte le parti del sistema.
Cambiamenti drastici sono quindi esclusi dal consueto corso
dell'evoluzione, che sulla normale scala temporale della
microevoluzione sarà lento e graduale.
sommario
1. Aspetti dell'evoluzione biologica. 2. Limiti all'efficacia della
selezione naturale. 3. Estinzione. 4. Selezione sessuale e altruismo.
5. Macroevoluzione. 6. L'origine evolutiva di nuove strutture. 7. Il
futuro della ricerca nel campo dell'evoluzione. □ Bibliografia.
1. Aspetti dell'evoluzione biologica
I due principali problemi dell'evoluzione sono la spiegazione
dell'origine della grande varietà di organismi sulla Terra e la
spiegazione degli adattamenti reciproci fra organismi e
dell'adattamento degli organismi al mondo in cui vivono. Tutti gli
altri aspetti dell'evoluzione rientrano nell'ambito di queste due
problematiche.
Diversità
Prima di Darwin, la grande varietà degli organismi veniva spiegata come
prodotto della creazione divina o come risultato dell'origine
istantanea e spontanea di nuovi tipi. Secondo questa concezione
saltazionista, le specie si moltiplicherebbero attraverso l'improvvisa
comparsa di singoli individui che rappresenterebbero una nuova specie,
un nuovo genere o una nuova categoria superiore.
La spiegazione fornita da Darwin per la moltiplicazione delle specie
era fondamentalmente diversa. Secondo Darwin le specie erano prodotte
attraverso la modificazione graduale di popolazioni. Anche se questo
processo graduale è di gran lunga il più comune processo di
speciazione, notiamo che casi di speciazione istantanea esistono, in
particolare fra le piante, e sono prodotti da duplicazione cromosomica
in specie ibride (allopoliploidia) e da altri processi cromosomici. Il
verificarsi di questa speciazione istantanea, comunque, non sembra
avere un gran significato evolutivo.
Una condizione imprescindibile per comprendere la speciazione è aver
capito la natura delle specie biologiche. Darwin introdusse il concetto
di 'specie di popolazioni', secondo cui le specie sono aggregati di
popolazioni, isolati dal punto di vista riproduttivo da altri aggregati
consimili. L'isolamento riproduttivo è attuato dai cosiddetti
'meccanismi di isolamento' (come le barriere di sterilità o le
incompatibilità comportamentali); tali meccanismi sono responsabili
della discontinuità fra specie che condividono le stesse aree
geografiche. Il problema della speciazione è come possa una tale
discontinuità evolvere gradualmente. Nella maggioranza dei casi, questo
processo si verifica a causa dell'isolamento geografico delle
popolazioni e della loro conseguente divergenza genetica. Questo
processo si chiama 'speciazione geografica' o 'allopatrica' e può
avvenire in due modi. Nel primo caso, le popolazioni che
originariamente vivevano in contatto reciproco vengono separate da una
barriera sorta in un secondo tempo (un braccio di mare o una
discontinuità nella vegetazione). Mutazioni, processi stocastici e
fattori di selezione saranno diversi nei due tronconi separati della
specie originaria (essendo ogni scambio di geni fra di essi impedito
dalla barriera geografica) e a tempo debito le due popolazioni figlie
saranno sufficientemente diverse da comportarsi, l'una nei confronti
dell'altra, come fossero due specie distinte. Nel secondo caso, una
popolazione fondatrice si stabilisce oltre i confini del territorio
originario della specie. Questa nuova popolazione, fondata da una
singola femmina fecondata oppure da pochi individui, conterrà soltanto
poche e spesso insolite combinazioni dei geni della popolazione madre e
sarà esposta a un nuovo insieme di pressioni di selezione. Una tale
popolazione, quindi, viene modificata geneticamente in maniera alquanto
drastica e può speciare rapidamente. Per di più una siffatta
popolazione fondatrice, a causa della sua limitata base genetica e
della drastica ristrutturazione genetica che subisce, risulta
particolarmente adatta a dare origine a nuove linee evolutive.
La teoria della discendenza comune possiede uno straordinario potere
esplicativo ed è quindi stata adottata da botanici e zoologi con grande
entusiasmo. Essa spiega le ragioni dell'esistenza della gerarchia
linneana, le somiglianze anatomiche fra organismi appartenenti allo
stesso tipo morfologico e la natura delle somiglianze fra le strutture
molecolari di organismi più o meno strettamente imparentati. In base a
questa teoria ci si aspetterebbe una completa continuità fra tutti i
taxa di organismi. L'evoluzionista, a dire il vero, è convinto che ci
sia stata una tale continuità, e che le piccole e grandi lacune che ora
si riscontrano fra molti taxa siano dovute al fatto che diverse specie
si sono estinte. Che una tale estinzione abbia effettivamente avuto
luogo è documentato nei più recenti strati geologici, che contengono
probanti reperti fossili. Tuttavia non è sempre possibile trovare
anelli mancanti tra i taxa: l'evoluzione avviene spesso in modo rapido
e su popolazioni piccole e isolate, così che è estremamente difficile
ritrovare tracce fossili del processo. Tuttavia, non ogni filogenesi è
stata divergente. Per esempio, nelle piante l'ibridazione può talvolta
portare a nuove specie e attualmente si dispone di molte prove del
fatto che gli eucarioti abbiano avuto origine da una simbiosi fra linee
di procarioti preesistenti.
Adattamento e selezione naturale
La teoria della selezione naturale di Darwin aveva come obiettivo una
spiegazione in termini naturali dell'adattamento e dell'armonia
complessiva del mondo vivente. Il procedimento logico di Darwin era il
seguente: esiste una grande sovrapproduzione di individui a ogni
generazione, ma, dal momento che le risorse naturali sono limitate,
soltanto una piccolissima percentuale dei membri di ogni generazione
può sopravvivere. In secondo luogo, tutti i nati si distinguono l'uno
dall'altro per quel che riguarda il patrimonio genetico e quindi,
almeno in linea di principio, differiscono per quel che riguarda il
rispettivo adattamento all'ambiente comune e l'abilità di competere con
i propri simili. In terzo luogo, le cause delle differenze nelle
capacità di adattamento sono in parte ereditarie. Ne consegue che gli
individui dotati delle maggiori capacità di adattamento hanno maggiori
possibilità di sopravvivere e di riprodursi. In virtù di questa
sopravvivenza non casuale vi sarà un mutamento continuo nel mondo
vivente, in altre parole vi sarà evoluzione.
La selezione naturale avviene in due stadi: nel primo si verificano i
processi attraverso cui si genera la moltitudine di individui che nel
secondo stadio saranno esposti alla selezione naturale. Dato che ognuno
di questi individui è unico dal punto di vista genetico, si può anche
dire che il primo passo della selezione naturale consiste nella
produzione di variazione genetica, attraverso i diversi meccanismi di
ricombinazione genica casuale che avvengono durante la riproduzione
sessuale. In questo modo la variazione prodotta è pressoché illimitata.
Con la produzione di uno zigote ‒ un uovo fecondato ‒ comincia il
secondo stadio del processo di selezione naturale. Da questo momento in
poi la buona qualità del nuovo individuo è costantemente messa alla
prova, dallo stadio di larva (o di embrione) fino all'età adulta e al
periodo riproduttivo. Solo gli individui più efficienti nel far fronte
alle avversità dell'ambiente e agli scontri con gli altri membri della
stessa specie sopravvivranno fino all'età della riproduzione e si
riprodurranno con successo, in relazione al patrimonio genetico di ogni
individuo.
La differenza fondamentale fra il primo e il secondo stadio della
selezione naturale dovrebbe ora essere chiara: nel primo, quello della
produzione di variazione genetica, ogni evento è casuale; nel secondo,
quello della sopravvivenza e della riproduzione differenziali, il caso
svolge un ruolo di gran lunga minore e il successo dell'individuo è in
larga misura determinato dalle sue caratteristiche genetiche. Ciò rende
anche evidente come il bersaglio della selezione sia l'individuo. È
l'individuo che sopravvive o meno, che si riproduce con successo oppure
no. Può darsi che un singolo gene sia responsabile della superiorità o
dell'inferiorità di un individuo, ma ciò non toglie che sia l'individuo
nel suo insieme, o, più correttamente, il suo fenotipo, il bersaglio
effettivo della selezione.
Evidentemente nessun individuo può contribuire al pool genetico della
generazione successiva se non sopravvive fino all'età della
riproduzione; il tasso di mortalità fra il momento della fecondazione
dello zigote e l'età riproduttiva è molto alto. Dato che ogni
individuo, nelle specie che si riproducono sessualmente, è diverso da
tutti gli altri membri della popolazione cui appartiene, in media
differirà dagli altri per numerose proprietà. Gran parte della
mortalità fra il momento della fecondazione e l'età adulta è dovuta
all'eliminazione di individui (zigoti) che difettano dell'una o
dell'altra capacità adattativa o le posseggono in misura non adeguata.
Non tutta la selezione è di questo tipo negativo: la selezione naturale
non solo colpisce genotipi inferiori, ma favorisce anche la
sopravvivenza e la riproduzione di genotipi superiori. Poiché questi
individui favoriti sono il risultato di una ricombinazione genica che
si verifica durante la meiosi, la selezione naturale è un processo
creativo che dà come risultato l'adattabilità degli individui.
L'adattamento non è un fatto accidentale, ma il risultato di un
processo di selezione che ha ulteriormente perfezionato le primitive
versioni dei tratti adattativi presenti nell'organismo attualmente
vivente. Dal momento che il bersaglio della selezione è l'individuo nel
suo complesso, esso è considerato ben adattato se riesce ad affermarsi
nel corso del processo di selezione. Ciascuna componente del fenotipo
non viene sottoposta alla selezione separatamente, ma solo in quanto
parte dell'intero fenotipo; per questo motivo non è necessario che
singoli aspetti del fenotipo siano perfetti, fintantoché il fenotipo
nel suo insieme risulti ben adattato.
Gli eventi evolutivi più importanti che intervengono nel processo di
adattamento sono gli spostamenti di certi organismi in nuove nicchie o
in nuove zone adattative. Quando gli antenati dei primi Anfibi emersero
dall'acqua, non erano affatto perfettamente adattati alla vita sulla
terraferma, ma possedevano certe strutture, come i polmoni, uno
scheletro interno, estremità che consentivano loro di camminare ecc.,
che costituivano preadattamenti alla vita sulla terraferma. Ciò
dimostra che alcune strutture o altre caratteristiche di un organismo,
oltre a costituire adattamenti al particolare ambiente in cui
l'organismo vive in quel momento, possono anche assumere il ruolo di
preadattamenti quando l'organismo in questione si sposta in una zona
adattativa diversa.
Malgrado la casualità del processo di selezione naturale, gli organismi
che vivono in un ambiente più o meno stabile sono, in genere,
ragionevolmente ben adattati. Quando l'evoluzionista studia un
organismo, cerca di ricostruire le forze selettive che hanno portato
alla formazione delle sue diverse caratteristiche. Questa strategia di
ricerca ha conseguito straordinari successi e ha permesso di capire
molte caratteristiche che prima non si riuscivano a spiegare. Tuttavia,
dal momento che il bersaglio della selezione è l'organismo nel suo
insieme, sarebbe un errore insistere sul fatto che ogni singola
caratteristica di un organismo debba possedere un proprio valore
adattativo.
Di fronte alla varietà possibile degli adattamenti, come definirne con
certezza il valore in termini di selezione? Il contributo relativo
dell'individuo (in termini di prole) alla generazione successiva
fornisce in molti casi una misura adeguata, ma esistono eventi casuali
(un fulmine che colpisce un individuo e non il fratello) che nulla
hanno a che fare con l'adattamento. L'adattamento è stato quindi
ridefinito in termini di 'tendenza' a sopravvivere e a riprodursi con
successo. È la 'speranza' (intesa in senso statistico) in questo
successo, fatti salvi tutti gli incidenti e le evenienze improbabili,
che misura il grado di adattamento.
2. Limiti all'efficacia della selezione naturale
Esistono limiti severi all'efficacia della selezione, che le
impediscono di produrre adattamenti 'perfetti'. Le ragioni di questa
limitazione sono diverse. La prima è il potenziale del genotipo, cioè
le possibilità concesse dall'effettiva organizzazione genetica di un
organismo. Per esempio, nei Mammiferi le dimensioni non possono
scendere al di sotto di un certo limite e la selezione, per quanto
forte, non è riuscita a produrre Mammiferi più piccoli del toporagno
nano. Si verificano poi alcuni processi casuali da cui dipende gran
parte della sopravvivenza e della riproduzione differenziali in una
popolazione. Le combinazioni genetiche casuali prodotte nei processi
riproduttivi, anche se potenzialmente favorevoli, sono spesso distrutte
da forze ambientali che agiscono indiscriminatamente, come alluvioni,
terremoti, eruzioni vulcaniche, senza che la selezione naturale abbia
l'opportunità di favorire questi genotipi.
La selezione, inoltre, non può agire frequentemente sulle diverse
risposte che gli organismi possono dare ai problemi posti
dall'ambiente, perché è l'effettiva struttura dell'organismo che spesso
determina la soluzione adottata. Ogni evoluzione rappresenta un diverso
compromesso fra i requisiti necessari per la sopravvivenza e la
struttura preesistente, che restringe notevolmente le possibilità di
evoluzione futura. Se l'evoluzione ha prodotto un organismo molto
flessibile nei comportamenti fenotipici (come l'uomo, capace di
adattamenti fisiologici a diversi ambienti), ciò riduce la forza di una
pressione selettiva avversa. La selezione naturale, ovviamente,
interviene anche in questo fenomeno, dal momento che la capacità di
adattamento non genetico è sotto stretto controllo genetico. Può anche
succedere che una popolazione che si sposti in un nuovo ambiente con
caratteristiche specifiche acquisisca, con la selezione, geni che
rinforzano e alla fine rimpiazzano in larga misura la capacità di
adattamento non genetico.
La selezione è inoltre vincolata alle interazioni tra le diverse
componenti del morfotipo, le quali non sono indipendenti l'una
dall'altra. In particolare, il processo di sviluppo individuale è
limitato da queste interazioni e gli organismi rappresentano
compromessi fra richieste contrastanti. Ogni cambiamento di zona
adattativa lascia un residuo di caratteristiche morfologiche che
costituiscono, in effetti, un impedimento. Per questo il processo di
sviluppo sembra tortuoso e non ottimale: l'alta integrazione del
sistema non permette scorciatoie. Anche l'organizzazione del genoma
costituisce un limite al potere della selezione. Esistono infatti
diverse classi funzionali di geni, e molti di essi sono organizzati in
sistemi funzionali, che per molti versi agiscono all'unisono. Tuttavia,
questo è forse il settore più controverso della biologia evolutiva,
poiché sussiste ancora incertezza a proposito dell'effettiva
organizzazione del genotipo. Tutto ciò che si apprenderà sulla
struttura del genotipo darà informazioni fondamentali sul modo in cui
opera l'evoluzione; nessun altro tipo di ricerca può fare altrettanto.
3. Estinzione
Alla moltiplicazione delle specie (speciazione) si contrappone
l'estinzione. I problemi più importanti riguardo a questo fenomeno
concernono in primo luogo le sue cause; in secondo luogo, ci si
interroga se l'estinzione sia un processo continuo o se invece si
verifichi in brevi periodi caratterizzati da eventi catastrofici.
Rispetto alla seconda questione, sappiamo che l'estinzione si registra
in tutte le epoche, a causa della competizione fra specie diverse e dei
lenti cambiamenti nelle faune e nelle flore, cui alcune specie sono
incapaci di far fronte. Ci sono stati però alcuni periodi di estinzione
catastrofici, il meglio documentato tra questi è il periodo di
transizione dal Cretaceo al Terziario, circa 75 milioni di anni fa.
Possediamo validi indizi del fatto che la Terra, in quell'epoca, fu
colpita da un asteroide, che probabilmente produsse una nuvola di
polvere così densa da dar luogo a un temporaneo oscuramento
dell'atmosfera e a un letale raffreddamento della superficie terrestre.
Molti gruppi di organismi, come, per esempio, i dinosauri,
soccombettero a questo evento, mentre altri, come i Mammiferi,
sopravvissero e, per un certo periodo, furono sottoposti a una notevole
quantità di radiazioni nel nuovo ambiente.
4. Selezione sessuale e altruismo
La selezione potrebbe portare a una maggiore probabilità di
sopravvivenza, determinata dal migliore adattamento all'ambiente.
Questo miglior adattamento comprenderebbe tutti gli aspetti di una
maggiore efficienza fisiologica, come la capacità di affrontare con
successo predatori e rivali o una particolare flessibilità
comportamentale in situazioni di emergenza. Tuttavia non sempre la
selezione porta a un miglior adattamento: può darsi che un individuo
fornisca un maggior contributo di geni alla generazione successiva
semplicemente perché ha più successo nel riprodursi. Darwin chiamò
questo tipo di selezione 'selezione sessuale': qualsiasi carattere
maschile che porti a un maggior successo riproduttivo, per esempio la
capacità di fecondare più femmine, sarà automaticamente favorito dalla
selezione, a meno che non sia contrastato da un qualche attributo
avverso. Certi caratteri sessuali secondari maschili, come le penne
degli uccelli del paradiso (Paradisea raggiana), sono esempi di fattori
di selezione sessuale, ma anche molti aspetti del comportamento
riproduttivo, in particolar modo dei maschi, rientrano in questa
categoria. Al processo di selezione sessuale contribuisce la tendenza
delle femmine a non accettare indiscriminatamente qualsiasi maschio
come partner sessuale e mostrare ben definite preferenze.
Nel caso del comportamento sessuale è particolarmente facile constatare
che la selezione è egoista, il che rappresenta una necessità quasi
inevitabile, considerato che il bersaglio della selezione è
l'individuo. Si pone dunque la questione della spiegazione dei
comportamenti altruistici alla luce della selezione naturale: perché un
individuo dovrebbe fare dei sacrifici o correre dei rischi per
procurare un vantaggio riproduttivo a un altro? È stato mostrato che
l'aiuto a parenti stretti è in effetti favorito dalla selezione
naturale, perché gli individui strettamente imparentati hanno, in
parte, lo stesso genotipo: se un individuo contribuisce alla
sopravvivenza dei propri congiunti, in effetti egli favorisce la
sopravvivenza del proprio genotipo ('selezione di parentela'). Che un
tale altruismo fra parenti esista risulta evidente dal comportamento di
molti individui nei confronti dei coniugi e dei figli; spesso però
anche nei confronti di parenti più lontani viene adottato un
comportamento altruista, per esempio emettendo segnali d'allarme. Ancor
più interessanti sono i casi di altruismo reciproco, come quelli
osservati, per esempio, fra i babbuini: un individuo ne aiuta un altro,
il quale, a sua volta, ricambia il favore in una diversa occasione. Il
progresso fondamentale nell'etica umana deve essersi verificato quando,
per la prima volta, un individuo ha dimostrato altruismo nei confronti
di persone non legate a lui da vincoli di parentela.
Alcuni autori hanno anche sostenuto che esista una 'selezione di
specie', quando le specie appartenenti a una linea filetica speciano
più rapidamente di quelle di un'altra linea. Di fronte all'estinzione
la linea più ricca di specie avrebbe una maggiore probabilità di
sopravvivere dell'altra linea. In media questo può, effettivamente,
essere vero, anche se per indicare questo processo potrebbe essere più
adatta l'espressione 'selezione di speciazione'; inoltre, tutte le
caratteristiche che favoriscono una rapida speciazione (capacità di
diffusione e di colonizzazione, tendenza all'acquisizione di meccanismi
di isolamento, ecc.) sono basate sulle proprietà genetiche degli
individui. Pertanto anche questo tipo di selezione di specie si fonda
sulla selezione individuale.
5. Macroevoluzione
I fenomeni evolutivi possono essere divisi in due categorie: la
microevoluzione e la macroevoluzione. La microevoluzione concerne la
variazione nelle popolazioni e la speciazione: in breve tutti i
fenomeni e i processi che avvengono al livello e al di sotto del
livello della specie. La macroevoluzione riguarda i processi che si
verificano al di sopra del livello della specie, in particolare
l'origine di nuovi taxa superiori, l'invasione di nuove zone adattative
e l'acquisizione di nuove caratteristiche evolutive.
La relazione fra micro- e macroevoluzione è stata oggetto di notevoli
discussioni e controversie. Le incertezze al riguardo possono essere in
buona misura chiarite tenendo presente il fatto che tutti gli eventi
macroevolutivi hanno luogo all'interno di popolazioni e nel genotipo di
singoli individui e quindi sono sempre, contemporaneamente, processi
microevolutivi. Tuttavia, esiste una netta differenza fra macro- e
microevoluzione a livello fenotipico e quindi i fenomeni macroevolutivi
richiedono ipotesi e modelli specifici. Gli eventi macroevolutivi non
possono essere semplicemente ricondotti nell'ambito della
microevoluzione e sono state elaborate valide generalizzazioni
riguardanti la macroevoluzione, senza dover analizzare mutamenti
correlati nelle frequenze geniche. Questo atteggiamento è coerente con
la definizione moderna di evoluzione, secondo cui essa consiste in un
mutamento di caratteristiche adattative e in una diversificazione,
piuttosto che in un mutamento di frequenze geniche.
La macroevoluzione è un campo di ricerca autonomo nell'ambito degli
studi sull'evoluzione, frutto del lavoro dei paleontologi e dei
tassonomisti. Le ricerche dei genetisti, effettuate all'interno delle
popolazioni, consentono solo deboli inferenze circa i processi
macroevolutivi, o per lo meno così è stato finora. Si spera che le
analisi della struttura del DNA del genotipo, fatte dai biologi
molecolari, portino verso una comprensione della macroevoluzione più
approfondita di quella raggiunta attraverso gli studi dei paleontologi
e dei tassonomisti.
6. L'origine evolutiva di nuove strutture
Una delle obiezioni principali alla teoria darwiniana riguarda
l'acquisizione di nuove caratteristiche evolutive attraverso un
processo graduale. Negli stadi iniziali, infatti, le nuove strutture
(come per es., le ali degli Uccelli) non danno alcun vantaggio
selettivo. Darwin faceva notare che l'acquisizione di nuove
caratteristiche evolutive poteva dipendere da due distinti processi. Il
primo consiste in una 'intensificazione di funzione', come nel caso
della trasformazione delle estremità anteriori dei Mammiferi in ali
(pipistrelli), pale (talpe), pinne (Cetacei), zampe (antilopi) o
braccia (Primati). L'altro processo in cui possono avere origine nuove
strutture evolutive è attraverso un mutamento di funzione. In base a
questo principio un tale percorso per l'acquisizione di una nuova
caratteristica evolutiva è disponibile quando un organo o una struttura
possono svolgere simultaneamente due funzioni. Ciò è vero per quel che
riguarda le estremità anteriori dell'antenato degli Uccelli, che
servivano sia per la locomozione sia per planare, o per quel che
riguarda le antenne dei Crostacei Cladoceri, che funzionano sia come
organi sensori sia come 'pagaie'. Nel caso di un mutamento di funzione
di questo tipo, una struttura già completamente formata può mettersi al
servizio di una nuova funzione.
7. Il futuro della ricerca nel campo dell'evoluzione
Malgrado le conoscenze raggiunte a partire da Darwin in poi, sarebbe
prematuro pensare che ogni aspetto dell'evoluzione sia stato chiarito.
Benché l'impalcatura teorica fondamentale del darwinismo sia
ragionevolmente sicura, permangono enormi vuoti nella comprensione di
singoli fenomeni: non sappiamo ancora quanto siano importanti alcune
forme di speciazione diverse da quella geografica (allopatrica) e da
quella per poliploidia; gli esatti dettagli riguardo all'origine della
vita restano inspiegati; le affinità tra alcuni importanti gruppi
principali di animali e piante non sono stati a oggi identificati; le
ragioni della stasi evolutiva di tante specie continuano a costituire
un problema.
L'aspetto di gran lunga meno compreso del processo evolutivo è il ruolo
svolto dalla struttura del genotipo: quale funzione svolgono i
mutamenti del genotipo durante la speciazione peripatrica rapida? Qual
è il corrispettivo genotipico dei vincoli nello sviluppo? Qual è
l'esatta natura dei cosiddetti 'geni regolatori' e quanti tipi ne
esistono? In che modo il comportamento agisce come forza selettiva?
Quale relazione esiste fra speciazione e struttura di una popolazione,
in particolare per quel che riguarda la tendenza a diffondersi? Questa
è solo una piccola parte dei numerosi problemi non ancora risolti.
L'impostazione in termini evolutivi ha arricchito molto tutte le
branche della biologia, dato che nessuna struttura, nessun
comportamento, nessuna forma di adattamento, nessun tipo di
distribuzione si possono pienamente comprendere finché la relativa
storia evolutiva non sia stata chiarita. È questo stato di cose che
sancisce la validità dell'affermazione di Theodosius G. Dobzhansky:
nulla ha senso in biologia se non alla luce dell'evoluzione.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it