Abbazia di Santa Maria di Farfa



Cenni storici

Le origini dell’Abbazia di Farfa si fanno risalire all’ultimo ventennio del VII secolo e in particolare a Tommaso di Morienne che, secondo una leggenda, venne esortato dalla Vergine a recarsi in Sabina a cercare le tracce di una basilica a Lei dedicata. Giunto nel luogo indicato Tommaso rinvenne le rovine di una precedente abbazia fatta costruire nel VI secolo da Lorenzo Siro, vescovo di Forum Novum (l’attuale Vescovio), nei pressi di un tempio pagano forse dedicato alla dea Vacuna e ai resti di una villa di probabile età tardo imperiale, distrutta dai Longobardi alla fine del VII secolo. Scavi archeologici diretti da David Whitehouse agli inizi degli anni ’80, hanno confermato l’esistenza di strutture romane al di sotto dell’attuale complesso, nonché di resti di epoche successive risalenti, probabilmente, alla prima struttura abbaziale di VI secolo. Rifondata la comunità Tommasso di Morienna si prodigò per ridare splendore all’opera iniziata dal vescovo Siro tanto che la nuova abbazia divenne, nell’arco di pochi decenni, una delle realtà più prospere e prestigiose a livello europeo. Protetta dal duca di Spoleto Faroaldo II, così come riporta sia la Constructio monasterii Farfensis della metà del IX secolo, sia il Chronicon Farfense composto all'inizio del XII secolo da Gregorio di Catino, Farfa entra a far parte di un circuito protettivo concepito dal duca Faroaldo, nel quale viene coinvolta la chiesa di Roma con inviti pressanti a prendere sotto la propria protezione l’abbazia tanto da far pensare ad una stretta collaborazione tra il ducato di Spoleto e il Papato. Grazie alle protezioni godute perpetrate anche sotto la fase carolingia, l’abbazia di Farfa diventa uno dei centri religiosi ed economici più fiorenti della penisola italiana tanto da ospitare Carlo Magno poche settimane prima di recarsi a Roma per essere incoronato imperatore. A questa fase appartiene l’ampliamento più consistente del complesso abbaziale che si manifesta con profonde trasformazioni della chiesa principale dedicata alla Vergine, con l’aggiunta di una nuova abside dedicata al Salvatore, e con preziosi reperti che arricchiscono il tesoro dell’abbazia. La nuova abside viene impreziosita da un ciborio composto da una struttura centrale affiancata da due torri, mentre il tesoro si arricchisce di una croce in oro con pietre preziose incastonate, di quattordici calici in argento, di altre due croci con reliquie della Vera Croce, di quattro sigilli in oro e, soprattutto, di un cofanetto, sempre in oro, dono di Carlo Magno. La crisi dell’abbazia di Farfa coincide con quella dell’impero carolingio le cui vicende, nel bene e nel male, sono strettamente connesse. L’abbazia venne abbandonata subito dopo che l’abate Pietro I divise i beni di Farfa in tre parti e, nell’898, venne assalita ed incendiata dai saraceni condividendo la stessa sorte di altre abbazie come San Vincenzo al Voltuno e Montecassino. Per circa mezzo secolo nulla restò dell’antico splendore dell’abbazia se non consistenti ruderi a testimonianza sia del grande splendore del passato, ma anche della furia devastatrice dei saraceni. Con Raffredo, abate dal 913, Farfa, faticosamente, tenta di risollevarsi dall’oblio in cui era caduta e non poche opere vennero intraprese in quegli anni tra cui la ristrutturazione della chiesa principale. L’antico splendore dell’abbazia, però, restò solo un lontano ricordo in quanto le vicende terrene del complesso monastico, cosi strettamente legate al potere imperiale carolingio, si incrociarono con gli avidi appetiti di alcune potenti famiglie romane sui possedimenti dell’abbazia. I Crescenzi-Ottaviani e i Stefaniani di fatto, occuparono le terre dell’abbazia provocando una profonda crisi interna che si manifestò, a un certo punto, con la convivenza di ben tre abati. La rinascita di Farfa prende avvio, faticosamente, tra il 930 e il 936 e raggiunse il suo apice con l’opera dell’abate Ugo I (997-1038) che si prodigò per introdurre la riforma cluniacense. In quegli anni, infatti, venne riordinata l’amministrazione del patrimonio, fortificata la comunità monastica e dato notevole impulso alla biblioteca e alla produzione di codici; fu sede di un famoso scriptorium nel quale vennero prodotti numerosi codici redatti con una minuscola romana che prese il nome di farfense. Gregorio di Catino, uno dei più insigni esponenti della rinascita di Farfa, fu trascrittore di codici e custode della biblioteca e dell’archivio che si arricchirono di numerosi e importanti testi. Le sorti dell’abbazia, però, per una seconda volta, sono intrecciate alle vicende imperiali e in particolar modo all’interesse mostrato dagli Ottoni per le sorti di Farfa. Con Berardo I, abate dal 1047 al 1089, Farfa vede riconosciuto il suo ruolo di abbazia imperiale e, nonostante alterne fortune legate alla scelta di appoggiare l’imperatore Enrico IV contro il papato, conosce un ulteriore fase di grande sviluppo soprattutto di carattere economico. Vasti possedimenti sono documentati in quegli anni che vanno dall’Umbria alle Marche passando dall’Abruzzo e dalla Tuscia per giungere fino al porto di Civitavecchia. Nel 1097 sembra aleggiare su Farfa il ricordo dei momenti bui dei secoli passati; per motivi di sicurezza, infatti, l’abbazia viene abbandonata e i monaci si trasferiscono nei pressi del vicino Monte Acuziano dove avviano l’edificazione di un nuovo complesso monastico abbandonato prima di portarlo a termine. Oggi sono visibili le rovine di quel grandioso progetto. La decadenza definitiva di Farfa coincide col trasferimento del potere sull’abbazia da parte del Papato di Roma così come deciso nel concordato di Worms del 1122. La crisi economica e i rapporti non sempre idilliaci tra monaci e autorità papali contribuiscono prima alla scomunica dell’abate del tempo per mancato pagamento delle decime dovute a Roma e, all’inizio del XV secolo, all’isituzione del regime di Commenda con Carbone Tomacelli, nipote di Bonifacio VIII, prima abate commendatario dell’abbazia. Le famiglie romane più importanti dell’epoca tra cui gli Orsini e i Barberini presero a cuore le sorti dell’abbazia contribuendo all’edificazione dell’attuale chiesa risalente al 1496 e alla ristrutturazione del borgo che venne ampliato con le strutture oggi visibili. Nei secoli successivi Farfa condivise il destino di molti complessi monastici venendo saccheggiato dai francesi nel 1798 e, soprattutto, subendo la confisca dello Stato in seguito all’Unità d’Italia del 1861. Oggi il complesso monastico afferisce alla comunità benedettina di San Paolo fuori le Mura a Roma.

 

Descrizione

L’edificio principale del complesso di Farfa è la chiesa principale dedicata alla Vergine prospiciente un cortile al quale si accede tramite un portale del XIV secolo. Esternamente la chiesa presenta un dipinto murale datato alle metà del ‘400 entro una lunetta disposta sopra il portale d’ingresso mentre tracce di sarcofaghi paleocristiani sono visibili sulla muratura. L’interno, a tre navate divise da file di colonne con capitelli jonici, concluso da tre absidi, presenta dipinti murali con Storie della Vergine e Storie bibliche datati dal XVI al XVII secolo. Nella controfacciata troviamo un grande Giudizio Universale dipinto nel 1561 dal pittore fiammingo Henrik van der Broek. Tracce dell’epoca carolingia sono state individuate presso l’ingresso principale, il transetto e l’abside centrale e in particolare un altare e resti di dipinti murali con una figura, forse di abate, individuato come Lorenzo Siro di cui diremmo meglio in seguito. Tra il 1597 e il 1599 operò a Farfa il maestro Orazio Gentileschi che insieme ad alcuni collaboratori e allievi della sua bottega, realizzò la Madonna con Bambino, il dipinto raffigurante Sant’Orsola e una Crocifissione di San Pietro, mentre le lunette delle cappelle sono attribuite ai collaboratori e allievi del Gentileschi tra cui il pittore sabino Marzio Ganassini, l’allievo Simone de Magistris e lo stuccatore Angelo Landi. Di grande interesse è il soffitto con grottesche e stemma degli Orsini che decora il transetto e il coro riconducibili alla scuola degli Zuccari. Sempre nel transetto sono visibili tracce della pavimentazione di IX secolo. Delle fasi medievali, oltre le tracce presenti all’interno della chiesa, ben poco si è conservato soprattutto in alzato; Nella prima metà del 1900 grazie ai lavori di recupero e agli scavi archeologici effettuati da Schuster nel 1921, da Markthaler nel 1928 e da Croquison nel 1938, è stato possibile individuare alcune parti superstiti delle prime fasi di costruzione del complesso abbaziale tra cui il campanile, riconducibile all’XI secolo, e il cosiddetto Torrione. Della chiesa abbaziale altomedievale, ad unica navata larga circa 10 metri, si conserva la cripta semianulare costruita, secondo la Constructio monasterii Farfensis, per ospitare le reliquie dei Santi martiri Valentiniano, Ilario e Alessandro. la chiesa altomedievale venne integrata con due corpi architettonici contrapposti: un coro tripartito a oriente con un avancorpo fiancheggiato da due torri e, a occidente, un transetto absidato al di sotto del quale trovava posto la cripta semianulare. La presenza delle due torri affiancate a fatto pensare ad uno degli esempi più significativi di westwerk carolingio nell’Italia centrale sebbene sano assenti alcune caratteristiche tipologiche come, ad esempio, la loggia sopraelevata all0ingresso della chiesa da dove i sovrani assistevano alle funzioni liturgiche. Tracce di pittura medievali sono state rinvenute nella cripta e in particolare un finto velario al di sopra del quale si spiegavano scene narrative entro fasce policrome oggi irrimediabilmente danneggiate. La datazione è incerta ed è ricondotta tra VIII e IX secolo per analogie con i modi ellenizzanti dell’epoca di Giovanni VII (705-707) oppure, secondo l’ipotesi di Bertelli, a causa della presenza di una enclave carolingia vicina alla scuola di Reims il cui testo pittorico di riferimento più prossimo geograficamente è quello di San Giovanni Argentella a Palombara Sabina sebbene studi recenti lo posticipino di circa tre secoli. Una seconda fase pittorica medievale individuato nella chiesa dietro un altare barocco, costituita sempre da un velario, si fa risalire all’XI-XII secolo per un più accentuato cromatismo rispetto a quello della cripta, mentre la figura di abate, riconosciuto da Whitehouse tramite un iscrizione, come Lorenzo Siro e da considerarsi, invece, secondo considerazioni storiche oltre che stilistiche, nel franco Atperto abate del monastero tra il 786 e il 790. Un terzo nucleo di pitture murali con storie dell’antico e del nuovo testamento inquadrate da architetture dipinte, al centro di un acceso dibattito, è stato individuato alla base della torre campanaria. Strati sovrapposti di pitture murali sono stati individuati nel coro tra cui spicca un motivo a meandri prospettici databile all’XI secolo e un Giudizio Universale del secolo successivo.

Bibliografia

da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it