feto
Si definisce feto (dal
latino fetus, formato dalla stessa radice di fecundus e femina) il
prodotto del concepimento dei Mammiferi dalla comparsa dei caratteri
propri della specie al momento del parto. Nella specie umana tali
caratteri compaiono al 3° mese di gestazione, quando termina la fase
embrionale dello sviluppo intrauterino (v. embrione) e inizia il
periodo fetale, nel quale gli abbozzi di tutti gli organi e apparati
formatisi nel periodo embrionale si accrescono e maturano (v. cap. Dal
concepimento alla nascita). Fino a un'epoca abbastanza recente, il feto
era considerato intangibile e l'unica preoccupazione degli ostetrici
era quella di far nascere un bambino in buone condizioni cliniche,
trascurando i fattori che potevano alterarne la funzionalità nell'utero
e comprometterne il normale sviluppo extrauterino. Soltanto
recentemente ci si è resi conto che il feto può essere studiato
direttamente nell'utero, senza che le condizioni di omeostasi vengano
alterate; il feto è però un organismo vulnerabile, la cui vitalità può
essere seriamente compromessa dalle alterazioni delle condizioni di
omeostasi materne e dalle sostanze farmacologiche somministrate alla
madre. Delle funzioni del feto si occupa anche la psicologia,
rintracciando in esse i presupposti dello sviluppo della mente: tali
funzioni possono raggiungere livelli notevoli di affinamento, come
negli atteggiamenti motori o nella cosiddetta memoria corporea, e, con
la nascita, sono destinate a trasformarsi in vere e proprie funzioni
mentali.
sommario: Fisiologia e patologia del feto. 1. Fisiologia. 2.
Valutazione della maturità fetale. 3. Sofferenza fetale. 4. Terapia
fetale medica o chirurgica. Psicologia del feto e del neonato. 1.
L'inizio della vita mentale. 2. Venire al mondo. 3. Il neonato. 4.
Conclusioni. □ Bibliografia.
Fisiologia e patologia del feto di Ermelando V. Cosmi, Juan Piazze,
Erich Cosmi jr.
1. Fisiologia
a) Circolazione fetale. Praticamente tutte le sostanze necessarie al
mantenimento e all'accrescimento arrivano al feto attraverso la
placenta e dalla vena ombelicale, che decorre nel cordone ombelicale e
porta al feto il sangue ossigenato e ricco di sostanze nutritizie. La
circolazione fetale è stata studiata utilizzando varie metodiche
sperimentali, come la cineangiografia, l'emogasanalisi, la misurazione
del flusso ematico con flussimetri elettromagnetici, l'analisi della
distribuzione di microsfere marcate con radioisotopi, la diluizione dei
coloranti e, più recentemente, con velocimetria Doppler; una parte dei
risultati ottenuti tramite tali esperimenti è stata confermata
nell'uomo da studi eseguiti direttamente sul feto umano.
La vena ombelicale entra attraverso l'anello ombelicale e sale lungo la
parete addominale anteriore fino a livello del fegato fetale; quindi si
divide come segue: alcuni rami forniscono sangue alle vene epatiche,
che irrorano principalmente il lobo epatico sinistro; altri rami
riforniscono la circolazione intraepatica; il ramo principale è
rappresentato dal dotto venoso, che cortocircuita il fegato per
gettarsi direttamente nella vena cava inferiore. Nel feto di pecora, in
condizioni fisiologiche, è stato osservato che circa il 53% del flusso
ombelicale raggiunge il dotto venoso. L'esatta funzione del dotto
venoso non è ancora nota; è stato ipotizzato che possa agire come una
derivazione a bassa resistenza, diminuendo le resistenze
ombelicoplacentari al flusso ematico. Sono comunque stati descritti
casi di ridotto sviluppo del dotto venoso senza alcuna alterazione
fetale; inoltre, in alcuni animali, come il cavallo e il maiale, il
dotto venoso perde la sua funzionalità durante l'ultima parte della
gravidanza; pertanto esso giocherebbe un ruolo di scarsa importanza.
Il sangue della vena cava inferiore raggiunge l'atrio destro del cuore
fetale; esso è costituito da una miscela di sangue ossigenato,
proveniente dal dotto venoso, e di sangue meno ossigenato che è
raccolto da alcune vene sovraepatiche a livello sottodiaframmatico. Da
ciò consegue che la quantità di ossigeno presente nel sangue portato
all'atrio destro del cuore fetale dalla vena cava inferiore è minore
rispetto a quella presente nel sangue al momento in cui lascia la
placenta, ma è maggiore di quella presente nella vena cava superiore.
Nell'atrio destro il forame ovale è un condotto che rappresenta una
continuazione della vena cava inferiore e attraverso il quale la
maggior parte del sangue della vena cava inferiore stessa è
direttamente deviato, dalla crista dividens, nell'atrio sinistro. In
condizioni normali, nell'atrio destro passa anche una minima quantità
di sangue meno ossigenato proveniente dalla vena cava superiore. Il
flusso preferenziale, dunque, passa dalla vena cava inferiore,
attraverso il forame ovale, nell'atrio sinistro, cortocircuitando il
ventricolo destro e la circolazione polmonare; al ventricolo sinistro
giunge così una miscela di sangue dal contenuto in ossigeno superiore a
quello che si determinerebbe se il sangue si fosse completamente
mescolato nell'atrio destro. Il sangue con maggiore tasso di ossigeno
che attraversa il forame ovale è quindi spinto dal ventricolo sinistro
per perfondere due organi vitali: il cervello e il cuore. Il sangue
proveniente dalla cava superiore, le cui caratteristiche sono tipiche
del sangue venoso e che è spinto dal ventricolo destro nella
circolazione polmonare, è quindi, per la maggior parte, deviato, con un
meccanismo di shunt, attraverso il dotto arterioso nella porzione
discendente dell'aorta. Soltanto un terzo circa del sangue circola dal
dotto arterioso nei polmoni. Le funzioni del dotto arterioso sono
quelle di convogliare il flusso sanguigno verso la placenta, evitando
in questo modo le alte resistenze del letto vascolare polmonare e,
quindi, riducendo l'entità del lavoro cardiaco, e di stabilire un
equilibrio pressorio tra arteria polmonare e aorta.
Le modificazioni emodinamiche determinate dalla presenza del forame
ovale e del dotto arterioso fanno sì che i due ventricoli funzionino in
parallelo. Circa il 40% della portata cardiaca si distribuisce alla
placenta, il 7% ai polmoni. A causa delle estese comunicazioni
esistenti tra cuore destro e cuore sinistro, contrariamente a quanto
accade in quello dell'adulto, il cuore fetale ha una limitata capacità
di incrementare la portata cardiaca con un aumento del volume di
eiezione ventricolare in accordo con il principio di Frank-Starling
(per il quale, entro certi limiti, la distensione del miocardio da
aumentato riempimento ematico, preload, è seguita da una maggiore forza
di eiezione, afterload, del muscolo cardiaco); l'incremento della
portata cardiaca si realizza principalmente attraverso un aumento della
frequenza: una bradicardia, comunque indotta, determina una riduzione
della portata cardiaca.
Nel corso della gravidanza aumenta la percentuale della gettata
cardiaca fetale destinata al cervello, ai polmoni e al tratto
gastrointestinale, e diminuisce la quota percentuale destinata alla
placenta. Si osserva inoltre un progressivo aumento della pressione
arteriosa sistemica, che raggiunge valori di 75 torr di sistolica e 55
torr di diastolica al termine di gestazione; contemporaneamente si
instaura una diminuzione della frequenza cardiaca da una media di 170
battiti al minuto nel primo trimestre di gravidanza a 140 battiti al
minuto al termine. L'alta gettata cardiaca fetale, che è per unità di
peso tre volte maggiore di quella di un adulto a riposo ed è dovuta
alla tachicardia del feto, potrebbe servire a compensare il basso
contenuto di ossigeno del sangue fetale. Dopo la nascita, i vasi
ombelicali, il dotto arterioso, il forame ovale e il dotto venoso
normalmente si chiudono oppure collabiscono e, di conseguenza, nella
circolazione fetale si verificano profonde modificazioni.
Il sistema cardiovascolare del feto è sottoposto al controllo diretto
del sistema nervoso autonomo per mezzo di chemocettori e barocettori;
la più evidente dimostrazione di tale controllo consiste nella
bradicardia transitoria associata alle contrazioni uterine, che può
essere abolita da somministrazione di atropina alla madre. L'ipossiemia
e l'ipercapnia di grado moderato provocano aumento della pressione
arteriosa e vasocostrizione nei polmoni e nei tessuti periferici. Le
risposte cardiocircolatorie del feto all'asfissia sono caratterizzate
dalla ridistribuzione della circolazione sistemica agli organi vitali e
costituiscono un meccanismo di difesa che tende a conservare l'apporto
di ossigeno a questi organi, mettendoli in grado di tollerare gli
effetti di un accumulo di metaboliti acidi, quali anidride carbonica,
idrogenioni e acido lattico. Il feto umano reagisce in modo analogo ad
altri Mammiferi, tra i quali le balene, quando si immergono
temporaneamente sott'acqua.
È stato suggerito che il dotto arterioso e la circolazione polmonare
svolgano un ruolo importante, durante gli episodi di asfissia fetale,
nella ridistribuzione del sangue agli organi vitali, grazie all'azione
del sistema nervoso autonomo e dei chemocettori aortici e carotidei.
Questo meccanismo di difesa ha comunque un'efficacia limitata poiché,
rimanendo pressoché costante la portata cardiaca, l'aumento del volume
di sangue ridistribuito agli organi vitali tende a deviare il flusso
ematico ombelicoplacentare, compromettendo così l'ossigenazione del
feto. Il feto possiede dunque la capacità di modificare il flusso
ematico ai vari organi, ridistribuendolo in risposta a sollecitazioni
diverse, come lo stress e l'ipossia. Questo controllo sembra
esercitarsi sia per via nervosa sia mediante la liberazione di ormoni e
si esplica tempestivamente in risposta alle modificazioni circolatorie
che si realizzano alla nascita.
b) Giunzione neuromuscolare, muscoli scheletrici e riflessi spinali.
L'attività riflessa spinale e le risposte alla stimolazione corticale
dipendono, oltre che dalla maturazione dei centri cerebrali,
dall'adeguato sviluppo dei nervi periferici e dei muscoli. I nervi sono
eccitabili prima che cominci la mielinizzazione delle fibre, ma la loro
velocità di conduzione è inizialmente molto bassa. Nell'uomo la
mielinizzazione si realizza con un ritmo assai lento a partire dalla
12a settimana di gestazione, mentre in altre specie animali essa
avviene più rapidamente. Il normale sviluppo dei muscoli scheletrici
dipende dalla loro innervazione. Dopo la sezione del nervo, i fusi
neuromuscolari non si formano (probabilmente a causa dell'assenza di
fibre nervose sensitive), la placca neuromuscolare non si sviluppa e
l'intera fibra muscolare, invece che le sole giunzioni neuromuscolari,
rimane sensibile all'azione dell'acetilcolina. La differenziazione tra
muscoli lenti e rapidi, con una progressiva riduzione del tempo di
contrazione di questi ultimi, si determina soltanto dopo la nascita.
Negli animali da esperimento, trasferendo reciprocamente le rispettive
innervazioni dei due tipi muscolari, è stato possibile invertire la
loro risposta funzionale. Ciò dimostra che i neuroni motori sono
differenziati prima dei muscoli che li innervano, per cui è
l'organizzazione centrale dei neuroni a determinare la differenza fra i
muscoli scheletrici rapidi e lenti. Questo processo influenza
naturalmente lo sviluppo dei riflessi da stiramento (per es. nel
polmone), della rigidità da decerebrazione dei movimenti coordinati e
dei movimenti fini; come può essere messo in evidenza con registrazioni
intracellulari di neuroni spinali, soltanto all'età di 3 settimane si
realizza un quadro simile all'innervazione dell'adulto.
La comparsa di differenti meccanismi riflessi si correla con la
maturazione dei nervi periferici, in particolare con il progredire
della loro mielinizzazione e delle loro connessioni centrali. La
presenza nei muscoli intercostali di una notevole quantità di fusi
neuromuscolari dimostra l'importanza di queste strutture nella
regolazione del respiro. Il meccanismo γ-efferente controlla, infatti,
la coordinazione dei muscoli intercostali come nei movimenti
respiratori dell'adulto, e l'alterazione della sua maturazione può
avere un significato clinico importante, in particolare nel neonato
pretermine. All'8a settimana di gestazione, l'attività sinaptica è
sufficientemente sviluppata da permettere la flessione del collo e del
tronco. Alla 10ª settimana, stimoli localizzati possono provocare
movimenti dei bulbi oculari, apertura delle labbra, una parziale
chiusura delle dita della mano e flessione delle dita dei piedi. La
capacità di chiudere completamente il pugno viene acquisita al 4° mese.
Sempre al 4° mese di gravidanza si evidenziano i movimenti di
deglutizione e di respirazione; il riflesso della suzione tuttavia non
è presente prima del 6° mese. Lo sviluppo di questi fenomeni è ben
osservabile con l'indagine ecografica bi- e tridimensionale e con
l'impiego della velocimetria Doppler. Nel corso del 3° trimestre di
gravidanza, l'integrazione tra funzione nervosa e muscolare procede
rapidamente, cosicché la maggior parte dei feti nati dopo la 32ª
settimana di gestazione sarebbe in grado di sopravvivere, in quanto
capace di respirare.
Dal 7° mese di gestazione l'occhio è sensibile alla luce, ma la
capacità di percepire le forme e i colori non è completa fino a circa
un anno dopo la nascita. L'orecchio interno, medio ed esterno appaiono
sviluppati a metà della gravidanza. Probabilmente, il feto è in grado
di udire alcuni suoni già a paritre dalla 24ª settimana di gestazione.
Al 3° mese lunare sono istologicamente evidenziabili le papille
gustative; dal 7° mese il feto è sensibile a variazioni di gusto delle
sostanze ingerite.
c) Corteccia cerebrale. Nella prima parte della gravidanza è
particolarmente evidente nel feto l'accrescimento del cervello, che è
più veloce dell'accrescimento corporeo. Il cervello fetale a 10, 12 e
14 settimane pesa rispettivamente lo 0,75, il 4,8 e il 6,9% del peso a
termine, mentre il resto del corpo pesa lo 0,14, l'1,99 e il 3%. È
significativo che in questo periodo si definisca il completamento
neuronale, che è ritenuto un importante determinante delle
caratteristiche funzionali del cervello adulto. Nella seconda metà
della gravidanza, in particolare nelle ultime 10 settimane, sia il
cervello sia il corpo raddoppiano di peso. Questi notevoli gradienti
ponderali non riflettono uniformemente la maturità dei costituenti
cerebrali e corporei.
In molte specie animali il periodo critico per lo sviluppo del cervello
si colloca in fasi avanzate della gravidanza. La differenziazione dei
neuroblasti in neuroni è stata esaminata con particolare dettaglio
nella corteccia cerebrale del feto di cavia. In questo animale il
periodo critico è quello compreso tra il 41° e il 45° giorno di
gravidanza (circa due terzi dell'intera gestazione); in tale periodo
cominciano ad apparire per la prima volta processi extracellulari,
probabilmente dendriti e corpi di Nissl, il nucleo cessa di aumentare
di volume e si realizza un rapido incremento nell'attività di molti
enzimi, come l'adenosintrifosfatasi, la citocromossidasi, la
deidrogenasi succinica (l'attività dell'acetilcolinesterasi inizia ad
aumentare con alcuni giorni di anticipo). Tutte queste modificazioni
citologiche e chimiche sono accompagnate dalle prime manifestazioni di
un'attività elettrica; ciò è documentato dalle risposte muscolari alla
stimolazione corticale e dalla comparsa di potenziali elettrici
spontanei d'origine corticale. Un'attività elettroencefalografica
spontanea appare per la prima volta nel feto di cavia dopo 46 giorni,
ovvero in un periodo corrispondente a circa i due terzi della
gestazione, e diventa continua dopo 55 giorni. Per quanto riguarda
l'uomo, alcuni studi istologici effettuati sulla corteccia sembrano
suggerire che il periodo corrispondente si colloca più precocemente e
può essere compreso tra la 12a e la 16 a settimana di gravidanza.
Nonostante il precoce sviluppo corticale, la funzione cerebrale
dell'uomo si presenta alla nascita notevolmente immatura rispetto a
quella di altre specie animali. In particolare, la comparsa di alcune
risposte motorie riflesse a determinati stimoli avviene nell'arco di
diversi mesi prima e dopo la nascita. Alcuni riflessi sembrano essere
unicamente dipendenti dall'età gestazionale, mentre lo sviluppo di
altri si realizza con l'apprendimento, e quindi soltanto dopo la
nascita. In genere, meno differenziato è il tessuto nervoso, minore
quantità di ossigeno viene consumata e, conseguentemente, il cervello è
meno vulnerabile all'ipossia. Nelle ultime 10 settimane, il notevole
accrescimento del cervello, cui abbiamo accennato precedentemente, la
differenziazione citoarchitettonica e lo sviluppo concorrente delle
funzioni sono fattori che aumentano le richieste di ossigeno e, quindi,
la vulnerabilità all'ipossia. La popolazione cellulare proliferativa
del cervello non ha ancora raggiunto il pieno completamento cellulare,
sebbene la mancata differenziazione suggerisca una minore sensibilità a
un deficit relativo di ossigeno. Le conseguenze dell'ipossia in questo
stadio non possono essere determinate con sicurezza; tuttavia, esse
possono essere responsabili di deficit cognitivi in feti con ritardi di
accrescimento (IUGR; v. oltre).
d) Rene. La funzione escretrice del rene fetale inizia nell'uomo
intorno alla 18a settimana e, verso il termine della gestazione, viene
prodotta una quantità tale di urina da modificare in modo significativo
la composizione del liquido amniotico. Nelle fasi iniziali della
gravidanza la composizione del liquido amniotico può essere comparata a
quella di un ultrafiltrato del plasma fetale, mentre con il progredire
della stessa si riduce la concentrazione degli elettroliti e aumenta
quella dell'urea e della creatinina. Alla fine del primo trimestre, i
nefroni hanno una certa capacità di escrezione grazie alla filtrazione
glomerulare; ma dal punto di vista funzionale i reni sono immaturi per
tutta la vita fetale. La capacità di concentrazione e di modificazioni
del pH urinario sono abbastanza limitate anche nel feto maturo. L'urina
fetale è ipotonica, se paragonata al plasma fetale, per la bassa
concentrazione di elettroliti. Nel feto umano, la frazione della
gettata cardiaca che perfonde i reni è bassa e le resistenze vascolari
renali sono alte, se confrontate con i valori rilevati nella vita
extrauterina. Normalmente si trova una certa quantità di urina anche
nella vescica di feti abbastanza piccoli. La produzione media è di 10
ml/ora alla 30a settimana di gestazione con un aumento al termine a 27
ml/ora o 650 ml/giorno. Diure- tici somministrati alla madre
(furosemide, amino- fillina) incrementano la produzione di urina
fetale. Dopo ostruzione dell'uretra, la vescica, gli ureteri e la pelvi
renale possono dilatarsi notevolmente; la vescica può distendersi a tal
punto da causare difficoltà nel parto. I reni, in queste circostanze,
sembrano capaci di espellere fino a che la pressione a monte finisce
per distruggere il parenchima renale. I reni non sono indispensabili
per la sopravvivenza nella vita intrauterina, ma hanno un ruolo nel
controllo della composizione e del volume del liquido amniotico e nella
secrezione di fosfolipidi tensioattivi polmonari. Le anomalie che
determinano anuria cronica spesso si associano a oligoidramnios. Alla
nascita, la funzione renale del feto non ha ancora raggiunto una
completa maturazione, com'è dimostrato dalla ridotta capacità di
regolare il pH e dalla bassa osmolarità delle urine; è, tuttavia,
generalmente adeguata alla sopravvivenza del neonato, a meno che non
siano presenti gravi anomalie delle vie escretrici.
e) Apparato digerente. Già alla 19a settimana di gestazione
nell'intestino tenue sono evidenziabili l'attività peristaltica e la
capacità di trasporto attivo del glucosio. Al 4° mese di gravidanza, il
tratto gastrointestinale è sviluppato al punto di permettere al feto di
deglutire liquido amniotico, di assorbire buona parte dell'acqua in
esso contenuta, di fare avanzare la parte non assorbita fino al tratto
distale del colon. Durante il primo periodo dello sviluppo fetale sono
evidenziabili acido cloridrico e alcuni enzimi digestivi caratteristici
dell'apparato digerente dell'adulto, sebbene in quantità molto basse se
messe a confronto con quelle presenti durante la vita postnatale. Nelle
prime fasi della gravidanza la deglutizione del feto ha un modesto
effetto sul volume del liquido amniotico, dal momento che l'entità
della deglutizione stessa è bassa se paragonata al volume totale di
liquido amniotico presente. Nelle fasi più avanzate della gravidanza
sembra, peraltro, che il volume del liquido amniotico che circonda il
feto sia regolato in maniera significativa dall'attività di
deglutizione fetale: se quest'ultima è inibita, non è infrequente il
polidramnios. L'attività di deglutizione può favorire l'accrescimento e
lo sviluppo del tratto digestivo e risultare una funzione essenziale
per l'alimentazione dopo la nascita; tuttavia, alcuni feti anencefali,
che normalmente presentano un'attività di deglutizione ridotta, hanno
un tratto gastrointestinale che appare, macroscopicamente, normale.
A gravidanza avanzata, la deglutizione serve a rimuovere i detriti
insolubili che normalmente si riversano nel sacco amniotico e, in
taluni casi, vengono in esso escreti in maniera anomala. La quantità di
detriti insolubili deglutiti può essere identificata nel meconio
raccolto alla nascita. Probabilmente la quantità di liquido amniotico
deglutita contribuisce in misura modesta alla richiesta calorica
fetale, ma può fornire sostanze nutritizie essenziali. Il meconio è
costituito non solo da frammenti indigeriti presenti nel liquido
amniotico deglutito, ma anche da vari prodotti di secrezione,
escrezione e desquamazione del tratto gastrointestinale. Il colore
verde scuro è dovuto alla presenza di alcuni pigmenti, in particolare
la biliverdina. In genere un'ipossia marcata determina una scarica di
meconio dal crasso-sigma nel liquido amniotico.
f) Fegato e pancreas. La funzionalità epatica del feto differisce per
alcuni aspetti da quella dell'adulto. Alcuni enzimi sono presenti nel
fegato in quantità considerevolmente ridotte rispetto alla vita
postnatale. Il fegato ha una scarsa capacità di trasformare la
bilirubina libera in bilirubina diglucuronoside. Maggiore è il grado di
immaturità del feto, minore è la capacità di coniugare la bilirubina.
Soltanto una piccola quantità di bilirubina viene coniugata ed escreta
attraverso le vie biliari direttamente nell'intestino, mentre per la
maggior parte è trasformata in biliverdina. La bilirubina non coniugata
è rapidamente rimossa dalla placenta a opera del circolo fetale per
essere coniugata dal fegato della madre ed escreta attraverso le sue
vie biliari. Il trasferimento di bilirubina non coniugata attraverso la
placenta è bidirezionale. Questa considerazione è motivata dai rari
casi di iperbilirubinemia, in conseguenza di alti tassi di bilirubina
non coniugata nella madre e nel feto. Il glicogeno è presente in basse
concentrazioni nel fegato fetale nel secondo trimestre di gravidanza;
in prossimità del parto, però, il suo contenuto subisce un aumento tale
da determinare tassi più elevati di due o tre volte rispetto a quelli
riscontrabili nell'adulto. Dopo il parto il contenuto di glicogeno
decresce in modo molto rapido.
L'attività esocrina del pancreas fetale appare limitata, ma non
assente. Si possono identificare nel pancreas acini contenenti insulina
alla 9ª settimana di gestazione; l'insulina plasmatica è presente alla
12ª settimana. Il pancreas fetale risponde all'iperglicemia aumentando
l'insulina plasmatica. Per quanto il ruolo preciso dell'insulina di
origine fetale non sia chiaro, l'accrescimento del feto è determinato
in notevole misura dalla grande quantità di sostanze nutritizie
fondamentali che giungono dalla madre, grazie all'azione dell'insulina
e all'attività anabolica operata dal feto stesso su queste sostanze. La
quantità di insulina è alta non soltanto nel siero di nati da madre
diabetica, ma anche in nati di dimensioni eccessive per l'età
gestazionale, mentre è bassa in nati piccoli per l'età gestazionale;
anche la placenta è in grado di produrre questa somatomedina. Mancano
attualmente prove che l'insulina di origine fetale contribuisca alle
richieste della madre diabetica. Il glucagone è stato identificato nel
pancreas a 8 settimane di gestazione. Un'ipoglicemia indotta e
l'infusione di alanina aumentano i livelli di glucagone nella scimmia
Macacus rhesus, ma non nel suo feto. La mancanza di risposta delle
cellule α all'ipoglicemia e all'infusione di alanina sono conseguenti
alla carenza di rilascio di glucagone piuttosto che all'inadeguata
produzione dell'ormone.
g) Ghiandole endocrine. L'ipofisi è in grado di sintetizzare e di
immagazzinare ormoni prima della fine del primo trimestre. Nell'ipofisi
di feti umani di 10 settimane di gestazione sono stati identificati GH
(Growth hormone, ormone della crescita), ACTH (Adenocorticotropic
hormone, ormone adrenocorticotropo), prolattina, LH (Luteinizing
hormone, ormone luteinizzante) e FSH (Follicle stimulating hormone,
ormone follicolostimolante). Dalla 12ª settimana i tassi di ACTH sono
elevati nel plasma fetale e rimangono tali fino a gravidanza avanzata,
quando la loro concentrazione plasmatica si riduce sensibilmente.
L'ipofisi fetale produce anche ormoni oppioidi, quali le endorfine, le
encefaline e altri. Con il procedere della gravidanza, la prolattina
aumenta in maniera considerevole nel plasma fetale, tanto da
raggiungere, dalla 35ª alla 42ª settimana, valori medi sei volte
superiori a quelli presenti alla 16ª e alla 19a settimana. Va tuttavia
sottolineato che questi ormoni sono secreti anche dalla placenta. I
livelli di GH dell'ipofisi sono piuttosto elevati nel sangue del
cordone, ma il ruolo di questo ormone nell'accrescimento e nello
sviluppo del feto non è chiaro.
Dal momento che la placenta umana concentra attivamente iodio durante
il secondo e il terzo trimestre, la tiroide fetale concentra iodio con
intensità maggiore rispetto alla tiroide materna. I rischi per il feto
connessi con la somministrazione alla madre di iodio marcato o di
notevoli quantità di iodio normale sono ovvi. Molti fatti indicano che
gli ormoni tiroidei di origine materna passano la placenta in quantità
molto limitata o nulla; la tirotropina, invece, attraversa facilmente
la placenta e viene impiegata per indurre la maturazione del polmone
fetale. Il feto, probabilmente, dipende soprattutto dagli ormoni
prodotti dalla propria tiroide. Il fatto che i figli affetti da
cretinismo tireoprivo abbiano in genere madri eutiroidee può indicare
che un tasso normale di secrezione tiroidea materna non può compensare
completamente una sintesi inefficace da parte delle ghiandole fetali.
Esistono prove convincenti che le paratiroidi fetali elaborano
paratormone a partire dalla fine del primo trimestre e sembrano
rispondere in utero a stimoli regolatori; per es., il neonato da madre
affetta da iperparatiroidismo può soffrire di tetania ipocalcemica.
L'incapacità, da parte del neonato, di concentrare le urine suggerisce
che il feto non produce ormone antidiuretico. Tuttavia, alcuni
ricercatori hanno dimostrato che i livelli di arginina-vasopressina nel
plasma del funicolo sono notevolmente aumentati rispetto ai valori nel
plasma materno. La surrenale di un feto umano è, in rapporto alle sue
dimensioni corporee, superiore a quella dell'adulto; la massa di
tessuto che rende così grande la surrenale è costituita dalla zona
centrale, definita zona fetale della surrenale. Dopo la nascita, la
zona fetale subisce un rapido processo di involuzione. In alcuni rari
casi, quando è assente l'ipofisi del feto, essa può essere molto
ridotta o mancare. Il surrene fetale sintetizza aldosterone. È stato
possibile dimostrare che i tassi di aldosterone nel plasma del cordone
a termine superano quelli nel plasma materno, così come quella della
renina e della prorenina. I tubuli renali del neonato, e probabilmente
del feto, appaiono relativamente insensibili all'aldosterone. Le
catecolamine sono presenti nella midollare surrenale fin da stadi molto
precoci della vita fetale; esse rivestono un ruolo essenziale nella
risposta fetale a situazioni stressanti, all'ipossia e all'asfissia.
Nel corso della gravidanza, la placenta produce quantità di
progestinici ed estrogeni in concentrazioni progressivamente crescenti.
Questi ormoni hanno effetti importanti, quali la regolazione
dell'accrescimento fetale, dello sviluppo e della differenziazione
sessuale, della crescita e contrattilità uterina, dell'inizio del
travaglio di parto e del flusso ematico uteroplacentare. La produzione
di estrogeni non è il risultato della sola attività della placenta, ma
dell'integrazione tra madre, placenta e feto, che agiscono come una
singola unità, per cui si parla di unità fetomaternoplacentare. Ciò è
dovuto al fatto che nella madre e nel feto sono presenti soltanto
alcuni precursori degli estrogeni e che gli enzimi necessari per la
conversione, quali l'aromatasi e le sulfatasi, si trovano unicamente
nella placenta. La mancanza di tali enzimi determina una scarsa o
assente produzione di estriolo ed è seguita dalla comparsa di una forma
di ittiosi alla nascita che si verifica solo nel bambino di sesso
maschile, per cui si parla di malattia diaginico-oloandrica (trasmessa
dalla madre e che colpisce il feto di sesso maschile).
La sintesi di testosterone dal testicolo fetale a partire dal
progesterone e dal pregnenolone inizia dalla 10ª settimana di
gestazione. La possibilità della steroidogenesi da parte dell'ovaio è
limitata prima dello sviluppo del follicolo primario e del follicolo
del Graaf nella seconda parte della gravidanza. I costituenti del
sistema endocrino fetoplacentare, molto probabilmente, giocano un ruolo
di notevole rilievo nell'inizio del travaglio spontaneo.
h) Il sistema emopoietico. È stato dimostrato che la prima sede di
eritropoiesi è il sacco vitellino dell'embrione in fase iniziale.
Successivamente, le sedi di maggiore importanza diventano il fegato e,
infine, il midollo. I primi globuli rossi formati sono provvisti di
nucleo, ma con il progredire dello sviluppo fetale, un numero via via
crescente di globuli rossi è privo di nucleo. Con l'accrescersi del
feto aumentano sia la volemia sia il numero delle emazie nella
circolazione fetale, e quindi si osserva un considerevole incremento
della concentrazione di emoglobina (Hb). L'emoglobina fetale (HbF)
raggiunge livelli di oltre 17,0 g/dl a metà della gravidanza. È quindi
caratteristica del sangue fetale, presso il termine o a termine della
gravidanza, la presenza di una concentrazione di HbF che appare alta
rispetto ai valori medi dell'HbA materna.
Verso l'8° mese di gestazione compare HbA che raggiunge valori del 20%.
La conta dei reticolociti diminuisce da livelli molto alti, quali sono
quelli che si possono riscontrare nei primi stadi della vita fetale,
fino a 55‰ nel feto a termine. I globuli rossi del feto differiscono,
da un punto di vista metabolico, da quelli di un adulto; per es.,
alcuni enzimi hanno attività apprezzabilmente diversa.
L'HbF (che pure è emoglobina alcaliresistente) contiene una coppia di
catene polipeptidiche α e una coppia di catene γ per molecola, le quali
fanno sì che la curva di dissociazione dell'HbF sia spostata
normalmente a sinistra rispetto a quella materna, anche perché non lega
molecole di 2,3-difosfoglicerato e di ATP. Questo è molto importante
per gli scambi di ossigeno e di anidride carbonica tra madre e feto
(effetti Bohr e Haldane). Alla nascita le concentrazioni di alcuni
fattori della coagulazione sono considerevolmente inferiori rispetto ai
livelli raggiunti alcune settimane dopo il parto. I fattori dei quali
esistono bassi livelli nel sangue del cordone sono: il II, il VII, il
IX, il X, l'XI, il XII, il XIII e il fibrinogeno. Se non viene
utilizzata la vitamina K a scopo profilattico, la maggior parte di
questi fattori della coagulazione diminuisce ancora nei primi giorni
dopo la nascita e può provocare emorragie nel neonato. La conta delle
piastrine nel sangue del cordone risulta entro valori normali, simili a
quelli della donna adulta non gravida, mentre i livelli di fibrinogeno
fetale risultano al di sotto dei valori medi presenti in donne al di
fuori della gravidanza.
2. Valutazione della maturità fetale
La valutazione della maturità fetale è essenziale per conoscere la
possibilità di sopravvivenza del feto al di fuori dell'ambiente
uterino. Essa si fonda sull'esame ecografico (v. cap. Le immagini della
vita intrauterina) e sui test di maturità polmonare del feto, basati
sull'analisi della composizione del liquido amniotico relativa a quei
fattori che riflettono lo stato di maturazione dei polmoni del feto.
Questi sono ripieni di liquido polmonare fetale, che a sua volta
contiene il surfattante prodotto dai pneumociti di tipo II a livello
degli alveoli. L'efflusso di liquido polmonare fetale dal polmone è
episodico ed è regolato dalla laringe fetale che funziona come uno
sfintere. Benché la sintesi e la secrezione dei componenti attivi del
surfattante siano un fenomeno complesso e modificabile a opera di
fattori fisiopatologici o farmacologici, è certo che esiste un
interscambio tra liquido polmonare fetale e liquido amniotico, nel
corso del quale vengono escrete anche le urine fetali contenenti
fosfolipidi tensioattivi, come documentato nei feti di pecora. L. Gluck
e i suoi collaboratori (1973) furono i primi a dimostrare la validità
clinica del rapporto tra concentrazioni di lecitina (L) e sfingomielina
(S) nel liquido amniotico (ipotesi suggerita per la prima volta da E.M.
Scarpelli).
La determinazione del rapporto L/S è il test più utilizzato e lo
standard di riferimento per tutti gli altri. Il test sfrutta il fatto
che la sfingomielina, un fosfolipide della membrana cellulare, la cui
concentrazione nel liquido amniotico non riflette fenomeni maturativi
del polmone fetale, ha una concentrazione per ml di liquido amniotico
che rimane relativamente costante per tutto l'arco della gravidanza,
anche se tende a decrescere a partire dalla 32ª settimana, e pertanto
rappresenta un valore standard interno di riferimento. Al contrario, la
concentrazione della lecitina (fosfatidilcolina), e in particolare
della sua frazione disatura tensioattiva, diventa progressivamente
maggiore a partire dalla 30ª settimana. Il rapporto L/S è minore di 0,5
fino a 20 settimane di gravidanza, aumenta fino a 1,0 a 28-30
settimane; un valore più elevato di 2,0 viene in genere raggiunto dopo
la 34ª settimana di gravidanza. Un valore di L/S superiore a 2,0 è
predittivo di un basso rischio di RDS (Respiratory distress syndrome)
prima della 35ª settimana. Valori minori di 1,0 indicano un rischio
elevatissimo di RDS, valori compresi fra 1,0 e 1,5 un rischio
relativamente elevato, mentre il rischio è modesto per valori
intermedi, compresi fra 1,5 e 2,0. Dal momento che il surfattante
alveolare (surface active) possiede caratteristiche particolari, queste
possono essere utilizzate per documentare la sua presenza nel liquido
amniotico. Le proprietà tensioattive sono concentrazione-dipendenti e
risentono molto della presenza di sostanze interferenti; la loro
funzionalità, e quindi la loro valutazione, tende a essere qualitativa.
Le determinazioni accurate delle proprietà tensioattive del liquido
amniotico richiedono una strumentazione particolare e tecniche lunghe e
laboriose (come l'uso di bilancia di Betlehem, il surfattometro a bolle
pulsanti e altre), per cui non sono di pratica applicazione clinica.
J.A. Clements e i suoi collaboratori, nel 1972, hanno tuttavia
introdotto un test di semplice esecuzione, denominato test alla schiuma
(shake test, bubble stability test, foam test), il cui uso è ormai
invalso nella pratica ostetrica. Esso consiste nel valutare, in
diluizioni seriate di liquido amniotico con etanolo al 95%, dopo
vigorosa agitazione per 15 minuti, l'anello di schiuma che si forma
nella provetta a livello dell'interfaccia aria-liquido. La presenza di
tale schiuma a diluizioni 1:2 o maggiori è indicativa di maturità
polmonare fetale, in quanto espressione dell'attività di un'abbondante
quantità di surfattante presente nel liquido amniotico. Il test è
gravato da un numero elevato di falsi negativi (ovvero di risultati
falsi immaturi). Peraltro, uno shake test positivo esclude virtualmente
la presenza di RDS, mentre un test negativo può verificarsi anche in
presenza di polmoni normali (falso positivo). Il test alla schiuma può
essere quindi considerato uno dei test principali per la valu- tazione
iniziale della maturazione polmonare fetale. Il metodo della
determinazione dei corpi lamellari amniotici si fonda sulla presenza
nel liquido amniotico dei cosiddetti corpi lamellari, particelle
prodotte dai pneumociti di tipo II, e contenenti quasi esclusivamente
fosfolipidi tensioattivi con una composizione che riflette fedelmente
il sistema surfattante alveolare. In altre parole, i corpi lamellari
rappresentano la forma fisica in cui il surfattante polmonare rimane in
sospensione in una soluzione acquosa come il liquido amniotico. Il
diametro di queste particelle è compreso fra 1 e 5 µm e come tale
rientra nei valori del volume delle piastrine circolanti; pertanto, la
presenza di un numero di corpi lamellari superiore a 20.000/µl è
indicativa di maturità polmonare fetale.
3. Sofferenza fetale
Il concetto di sofferenza fetale è legato essenzialmente a un alterato
trasporto di O₂ e di substrati dalla madre al feto, che può essere
causato da molteplici fattori. La perfusione a livello uterino,
infatti, può ridursi in caso di ipotensione, ipertensione, marcata
ipovolemia, aumentata viscosità, iperattività uterina, nonché in
presenza di vasocostrittori, endogeni ed esogeni, e progestinici
sintetici.
Una compressione della vena cava inferiore e dell'aorta da parte
dell'utero gravido (compressione aortocavale) si verifica nel 15% delle
gestanti in decubito supino, a partire dalla 28ª settimana fino al
termine della gestazione. Durante la compressione della vena cava
inferiore la perfusione uterina, e quindi l'ossigenazione fetale,
possono decrescere sostanzialmente come risultato di un ridotto ritorno
venoso al cuore materno. In presenza di una compressione dei vasi
aortoiliaci materni la pressione brachiale può rimanere normale, ma la
perfusione nel distretto uterino è molto diminuita. Studi su animali
hanno dimostrato che la perfusione uterina può ridursi
approssimativamente della metà rispetto ai valori normali prima che si
verifichino ipossiemia e acidosi fetale gravi. Tuttavia, la tolleranza
a tali episodi di ridotta perfusione diminuisce nel caso in cui le
condizioni del feto siano compromesse, come per es. in presenza di
ipossiemia. La vasocostrizione generalizzata, in risposta a emorragia
materna o a ipovolemia, coinvolge la perfusione uterina, determinandone
una riduzione come esito sia di un decremento della perfusione
sistemica sia di una vasocostrizione. Il benessere fetale risulta
dunque compromesso in presenza di un'emorragia materna, a seguito di
una ridotta capacità del trasporto di ossigeno da parte del sangue
della madre.
Causa di diminuita ossigenazione fetale possono essere l'anemia fetale
(come nell'eritroblastosi) ed emoglobinopatie materne o fetali. La
capacità materna di trasporto di ossigeno può variare in presenza sia
di anemia sia di policitemia. Nel primo caso, si verifica, infatti,
un'alterazione dell'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno, poiché la
concentrazione intraeritrocitaria del 2,3-difosfoglicerato varia in
maniera inversa rispetto alla concentrazione dell'HbA. Nel secondo
caso, la circolazione uterina può ridursi come conseguenza di un
incremento della viscosità ematica; l'ipertensione materna altera la
perfusione uterina a seguito di un aumento delle resistenze vascolari e
della viscosità ematica, dovuto a modificazioni della membrana
eritrocitaria (aumento del rapporto colesterolo/fosfolipidi); anche la
funzione placentare risulta compromessa in presenza di ipovolemia
materna, ipoproteinemia, anemia relativa e a causa di alterazioni
ultrastrutturali della placenta.
La compressione del cordone ombelicale, e più precisamente dell'arteria
ombelicale, può determinare un aumento della pressione a livello
dell'arco aortico; tale evenienza può causare una bradicardia fetale
riflessa per stimolazione dei barocettori e, quindi, una riduzione
della circolazione placentare. Anche il verificarsi di un'anomala
inserzione del cordone ombelicale può direttamente alterare la
circolazione ombelicale e pregiudicare seriamente l'ossigenazione
fetale. Altre situazioni cliniche nelle quali si presenta
un'alterazione dell'ossigenazione fetale risultano essere il distacco
intempestivo di placenta e il prolasso di funicolo.
L'impatto dell'ipossia materna sull'ossigenazione fetale dipende dal
grado, dalla durata e dal meccanismo d'azione, nonché dalle condizioni
fetali e dai meccanismi di compenso; è stato calcolato che
l'ossigenazione fetale è normalmente ridotta a livelli di pO₂ arteriosa
materna di 50 torr o meno. I fattori in grado di determinare una
riduzione del trasporto di ossigeno al feto in presenza di ipossia
materna sono due: il primo è la diminuzione del contenuto e della
tensione parziale dell'ossigeno nel sangue materno; il secondo è la
riduzione del flusso ematico nel distretto uteroplacentofetale.
Un'altra causa, spesso sottovalutata, della riduzione della
circolazione uterina e dell'ossigenazione fetale è l'iperventilazione
materna forzata durante l'anestesia generale: essa presenta diversi
effetti negativi sulla circolazione fetale, che si manifestano
nell'ostacolato ritorno venoso al cuore e nello spostamento della curva
di dissociazione dell'HbA a sinistra. L'apporto di ossigeno al feto è
gravemente alterato in caso di intossicazione da monossido di carbonio
(CO), o metaemoglobinemia. Gli effetti avversi del CO derivano dalla
riduzione nel rilascio dell'ossigeno al feto e ai tessuti, poiché
l'affinità dell'emoglobina adulta per il CO è 230 volte maggiore
dell'affinità per l'O₂, e perché la curva di dissociazione dell'HbA si
sposta a sinistra. Il CO si combina anche con la mioglobina, la
pseudoemoglobina di Barkans e con i citocromi.
L'intossicazione da CO interessa le donne in gravidanza esposte
all'inquinamento atmosferico e le forti fumatrici. La paO₂ fetale si
riduce proporzionalmente alla concentrazione di carbossiemoglobina nel
sangue materno e in quello fetale, così da procurare ipossia e anossia
fetale. Il CO e la metaemoglobina riducono anche la capacità del
trasporto dell'ossigeno nel sangue e determinano così un ridotto
rilascio dell'ossigeno ai tessuti, a causa dello spostamento a sinistra
della curva di dissociazione dell'Hb materna. Quest'alterazione
potrebbe essere ereditaria, indotta da un deficit della citocromo b5
riduttasi, oppure potrebbe essere causata dall'azione di un anestetico
locale, la prilocaina. Diversi studi indicano che con l'incremento
della concentrazione materna dell'O₂ inspirato si verifica un
progressivo, ma non proporzionale, aumento della paO₂ fetale, che
migliorerebbe le condizioni del neonato alla nascita. Peraltro è stato
dimostrato, in vari studi, che con l'incremento della paO₂ arteriosa
materna da 100 torr a 600 torr si verifica un aumento della
concentrazione di paO₂ di 1,5 ml/dl/min, da 16 a 17 ml/dl/min. La
somministrazione di elevate concentrazioni di O₂ alla madre, per
garantirne l'apporto al feto, non dovrebbe essere tuttavia considerata
una panacea per il trattamento dell'ipossiemia fetale; le opinioni
riguardo tale pratica sono infatti discordanti, essendo stato osservato
che la paO₂ fetale aumenta, ma non in maniera proporzionale rispetto a
quella materna. Ciò nonostante, la somministrazione di elevate
concentrazioni di O₂ alla madre potrebbe rappresentare una temporanea
misura di supporto per il trattamento dell'ipossiemia fetale.
Altre condizioni patologiche, quali il diabete gestazionale, la
preeclampsia, le infezioni intrauterine, l'oligoidramnios,
l'alloimmunizzazione Rh, possono determinare alterazioni strutturali a
livello placentare, producendo uno stato di insufficienza placentare.
Alcune di queste condizioni rappresentano un fattore di rischio per un
ritardo di crescita intrauterino del feto (IUGR; v. oltre).
a) Diabete gestazionale. È una complicazione che interessa circa il 3%
delle gestanti. Queste presentano un test di tolleranza al glucosio
anormale, ma non richiedono il trattamento con insulina. Nelle
gravidanze complicate da diabete gestazionale la mortalità perinatale
risulta duplicata e la morbosità neonatale è notevolmente accresciuta.
Poiché il glucosio attraversa rapidamente la placenta, ogni aumento
della glicemia materna comporta un aumento della glicemia fetale, al
quale il pancreas del feto risponde con un incremento della produzione
e del rilascio di insulina; l'iperinsulinemia stimola la crescita
fetale, causando macrosomia (approssimativamente la metà dei neonati di
donne con diabete gestazionale ha un peso che si situa intorno al 75°
percentile); inoltre, risulta anche responsabile di una ipoglicemia
neonatale e probabilmente di un incremento dell'incidenza della RDS. Il
feto macrosoma può andare incontro a un parto difficoltoso e in alcuni
casi può richiedere un taglio cesareo.
b) Preeclampsia. L'ipertensione complica dal 7 al 10% delle gravidanze;
di queste il 30% è dovuto a un'ipertensione essenziale cronica e il 70%
a preeclampsia. La preeclampsia raramente si sviluppa prima della 20ª
settimana; in epoche precoci insorge soltanto nelle gestanti affette da
malattia renale. L'eziologia di questa patologia, che viene normalmente
identificata in presenza della triade sintomatologica ipertensione,
proteinuria ed edema, non è ancora chiarita. Le alterazioni
fisiopatologiche includono un'inadeguata risposta vascolare materna
alla placentazione, a disfunzioni endoteliali, vasospasmo
generalizzato, attivazione piastrinica e anomalie nell'emostasi. Queste
alterazioni interessano i vasi periferici e il circolo uteroplacentare,
così come tutti gli organi e i sistemi quali il rene, i polmoni, il
fegato e il sistema nervoso centrale. Le conseguenze materno-fetali
della preeclampsia possono essere molto gravi e addirittura mortali;
nella madre possono verificarsi convulsioni (il cosiddetto attacco
eclamptico, che può evolvere in coma) e complicazioni della
coagulazione fino a un quadro conclamato di coagulazione intravascolare
disseminata. Per il feto, l'ipertensione materna può comportare gravi
conseguenze, come il distacco di placenta, il ritardo di crescita
intrauterino e la morte intrauterina.
c) Infezioni intrauterine. Con il termine amnionite si definisce la
presenza di un processo infettivo delle membrane fetali, associato a
una o più manifestazioni cliniche: febbre (38 °C), tachicardia materna
(oltre 100 battiti al minuto), tachicardia fetale (oltre 160 battiti al
minuto), dolorabilità uterina, leucocitosi (maggiore di 18.000 globuli
bianchi) e perdite vaginali di odore sui generis. Tuttavia, nella
maggior parte dei casi, l'infezione intrauterina non mostra alcun segno
o sintomo clinico (infezione occulta). I batteri più comunemente
coinvolti sono quelli presenti nella normale flora vaginale
(Escherichia coli, Bacteroides fragilis, diverse specie di
streptococchi e lattobacilli ecc.). Poiché dipende dal tipo e grado di
infezione e dall'epoca gestazionale in cui compare, l'amnionite può
condurre a diverse complicazioni, quali l'aborto spontaneo, il parto
pretermine, la sepsi e lo shock. Più frequentemente la mortalità
perinatale è determinata dal parto pretermine, che in più della metà
dei casi si verifica a seguito della rottura prematura delle membrane.
Si ritiene che circa il 15-20% delle nascite pretermine sia dovuto a
infezioni intrauterine.
d) Oligoidramnios. Un adeguato volume di liquido amniotico risulta
necessario per uno sviluppo fetale ottimale. Un oligoidramnios
(anomalia caratterizzata dalla presenza di poco liquido amniotico) di
lunga durata può compromettere lo sviluppo polmonare e promuovere la
comparsa di difetti di postura degli arti. Nelle gravidanze a termine e
post-termine, l'oligoidramnios è spesso associato con liquido amniotico
fortemente tinto di meconio, accelerazioni nel tracciato
cardiotocografico e IUGR (v. oltre). Si osserva un incremento di 13
volte della mortalità perinatale quando il volume di liquido amniotico
risulta ecograficamente marginale, e un incremento di 47 volte se è
presente un oligoidramnios in forma grave. Se il liquido amniotico è
assente (anidramnios), la gravidanza ha un'evoluzione negativa nell'88%
dei casi. Il metodo migliore per una valutazione del volume del liquido
amniotico e i criteri attraverso i quali definire una condizione di
ridotta quantità di liquido amniotico non sono ancora chiaramente
stabiliti. Tra le tecniche utilizzate, l'indice di liquido amniotico,
calcolato sommando la tasca verticale più lunga in ognuno dei quattro
quadranti dell'utero, permette una valutazione quantitativa che risulta
proporzionale all'effettivo volume e maggiormente predittiva rispetto
agli altri metodi.
e) Alloimmunizzazione Rh. L'eritroblastosi fetale può determinare una
serie di rischi per il feto e per il neonato. La madre va incontro a
un'alloimmunizzazione al fattore Rh degli eritrociti fetali attraverso
il passaggio transplacentare di globuli rossi verificatosi durante la
gravidanza in corso o in quella precedente, a seguito di un aborto o
per una gravidanza extrauterina; risulta invece rara l'eventualità che
l'immunizzazione si verifichi in conseguenza di una trasfusione di
sangue incompatibile. Le immunoglobuline G (IgG) materne attraversano
liberamente la placenta e attaccano gli eritrociti fetali Rh-positivi.
Mentre l'alloimmunizzazione Rh normalmente non si manifesta dal punto
di vista sintomatologico nella madre, la malattia nel feto può
determinare un'anemia emolitica fino anche a idrope e morte fetale.
Nelle pazienti che sviluppano anticorpi il feto è dunque a rischio: il
riscontro degli anticorpi circolanti materni indirizza a un'iniziale
diagnosi ed è poi necessario quantificarne la presenza per la
valutazione delle condizioni fetali. In alcuni casi, l'anemia fetale è
così grave da rendere necessaria una trasfusione fetale (v. oltre),
mentre il trattamento del neonato include la correzione dell'anemia e
dell'iperbilirubinemia con exsanguinotrasfusione. Un'attenzione
speciale viene rivolta ai problemi della prematurità nel caso in cui
risulti necessario il parto pretermine.
f) Ritardo di crescita intrauterino del feto (IUGR, Intrauterine growth
retardation). Una percentuale compresa fra il 3% e il 7% di tutte le
gravidanze risulta complicata da un ritardo di crescita intrauterino,
corrispondente a un peso alla nascita inferiore al 10° percentile. Il
ritardo di crescita determina una mortalità perinatale 8 volte maggiore
e aumenta il rischio di asfissia perinatale di 5 volte. I neonati con
ritardo di crescita sono soggetti a fenomeni di ipotermia e
ipoglicemia, poiché risultano inadeguate le riserve di trigliceridi nel
tessuto sottocutaneo e di glicogeno a livello epatico. Attraverso una
diagnosi tempestiva e un adeguato trattamento, tramite un incremento
dell'apporto ematico nel distretto uterino e l'espletamento del parto
al momento opportuno, si possono prevenire alcune complicazioni. Circa
il 75% delle pazienti che partoriscono un neonato con ritardo di
crescita intrauterino presenta già fattori di rischio, tra i quali si
includono una precedente esperienza di gravidanza con ritardo di
crescita fetale, situazioni che rendono difficile la gravidanza, come
ipertensione cronica, preeclampsia grave, diabete in stato avanzato,
fumo di sigaretta, infezioni virali (citomegalovirus, parvovirus).
4. Terapia fetale medica o chirurgica
L'applicazione di terapie mediche direttamente sul feto, in presenza di
alcune patologie fetali che necessitino di sostanze non in grado di
attraversare la placenta, è stata principalmente utilizzata come
terapia sostitutiva, soprattutto nella patologia ematologica. In
particolare, le trasfusioni di emazie concentrate direttamente nella
circolazione fetale rappresentano lo standard terapeutico per il
trattamento dell'anemia fetale secondaria ad alloimmunizzazione da
fattore Rh o ad altre cause (per es. infezioni). Gli schemi terapeutici
sono ormai standardizzati e le possibilità di sopravvivenza fetale
superano l'80% nel caso di alloimmunizzazione Rh. Il trattamento
perinatale della madre e del feto coinvolge molti specialisti, tra cui
il perinatologo, l'ecografista, il neonatologo, il chirurgo. L'indagine
prenatale e lo studio ecografico sequenziale del feto con lesioni
anatomiche permettono di definirne la storia naturale. I feti con
malformazioni gravi spesso muoiono nell'utero o subito dopo la nascita,
prima ancora che sia possibile porre una diagnosi accurata.
Pertanto, un'alterazione riscontrata nel periodo prenatale può avere
una prognosi peggiore rispetto a una condizione analoga diagnosticata
dopo il parto. Per le alterazioni prenatali diagnosticate nell'utero
sono stati tentati vari trattamenti. Il primo applicato con successo è
stato quello di alcuni deficit fetali; un esempio è rappresentato dal
trattamento dell'ipotiroidismo congenito con l'uso intramniotico
dell'ormone tiroideo. Inoltre, altri deficit a carico delle cellule
staminali emopoietiche o di enzimi epatici possono essere trattati con
il trapianto in utero di cellule staminali midollari e di epatociti,
che rendono possibile sostituire linee cellulari patologiche con
cellule normali; per es. nel trattamento delle immunodeficienze
acquisite si utilizza il trapianto di cellule staminali emopoietiche,
nella sostituzione di un deficit enzimatico o di un fattore deficitario
si ricorre al trapianto di cellule normali o modificate geneticamente,
nel trattamento di deficit congeniti del metabolismo si ricorre al
trapianto di cellule staminali del sistema nervoso centrale, infine nei
casi di emofilia si attua il trapianto di cellule epatiche fetali. Il
fatto che esista una tolleranza immunologica del feto facilita il
trapianto di queste cellule. In caso di immaturità del polmone o di
parto pretermine imminente o di ipoplasia polmonare può essere
somministrato surfattante naturale nel liquido amniotico, dopo aver
indotto movimenti respiratori fetali con la somministrazione alla madre
di aminofillina. Nei restanti casi il trattamento più usato è la
somministrazione di corticosteroidi alla madre per almeno 2 giorni.
La chirurgia fetale ha esordito intorno alla metà degli anni Sessanta
del 20° secolo. All'inizio veniva attuata con isterotomia ed
esposizione parziale del feto, principalmente per eseguire
l'exanguinotrasfusione endouterina al feto colpito da grave
alloimmunizzazione Rh o per correggere un'ernia diaframmatica. L'alta
invasività di questa procedura ne limitò la diffusione, specialmente
perché, in mancanza di farmaci uteroinibitori, l'intervento chirurgico
veniva complicato dal parto pretermine. Attualmente l'importanza della
chirurgia fetale risiede nella prevenzione di un danno degli organi che
potrebbe evolvere verso un esito fatale o debilitante dopo la nascita.
Alcune malformazioni anatomiche, diagnosticate nel periodo prenatale
con ecografia tridimensionale, vengono trattate tramite apposizione di
un drenaggio in utero in grado di decomprimere accumuli di liquido in
organi come i reni, gli ureteri, la vescica, che si dilatano in seguito
a ostruzione completa o parziale delle basse vie urinarie. La
possibilità di intervento sul feto rappresen-ta, tuttavia, una
soluzione soltanto in alcuni casi; infat- ti questo approccio è
giustificabile unicamente se la storia naturale e la fisiopatologia
della malattia sono ben conosciuti, se la correzione in utero si è
rivelata efficace nei modelli animali e se il rischio materno è
risultato sufficientemente basso.
Recentemente si è investigata la possibilità d'intervento in utero per
alcune anomalie fetali, quali malformazioni di tipo cistico, sequestro
polmonare, chilotorace, mielomeningocele, trasfusione gemello-gemello.
L'avvento di strumenti endoscopici flessibili e di piccolo calibro,
abbinato all'affinamento delle tecniche chirurgiche (per es., utilizzo
del laser e di nuovi sistemi di legatura vasale), ha permesso di
impiegare queste metodiche nella diagnostica e nella terapia di alcune
patologie fetali. I dati in letteratura si riferiscono ancora a
casistiche limitate, che rendono difficile una definizione esatta delle
problematiche. Le potenzialità di questi nuovi approcci sono comunque
in aumento; accanto agli interventi già eseguiti (per es., coagulazione
con laser di un vaso anastomotico in caso di trasfusione
gemello-gemello o legatura dei vasi ombelicali nella gravidanza
gemellare complicata da gemello acardico) si può facilmente prevedere
un continuo ampliamento delle indicazioni di chirurgia fetale.
Psicologia del feto e del neonato di Renata Gaddini De Benedetti
1. L'inizio della vita mentale
In nessun'altra fase del suo sviluppo l'individuo conosce una spinta
alla crescita e alla maturazione simile a quella che si verifica nel
periodo embriofetale. Ancor più della crescita, sono rilevanti nel feto
il suo sviluppo e la rapida evoluzione degli organi e apparati
sensoriali. Non è ancora del tutto chiaro in quale misura la vita
intrauterina e lo stesso concepimento siano condizionati dallo stato
psichico della madre, o di entrambi i componenti della coppia
genitoriale, e se questa eventuale influenza abbia analogie con quanto
si può osservare dopo la nascita. Generalmente accettati sono, invece,
dati recenti che mostrano come i primi movimenti fetali influenzino
particolarmente il passaggio dalla nozione di avere dentro di sé un
bambino a quella di avere un figlio o una figlia, così come l'intero
stato psichico della madre. Allora il feto diviene oggetto di quella
che è stata indicata da D.W. Winnicott (1956) come la 'preoccupazione
materna primaria', ovvero uno stato molto particolare della madre che
si sviluppa a poco a poco, amplificandosi durante la gravidanza,
specialmente verso la fine; esso perdura alcune settimane dopo la
nascita del bambino e, se non vi fosse la condizione di gravidanza e di
puerperio, potrebbe far pensare a uno stato di ritiro, di
dissociazione, a una fuga e, a volte, anche a un disturbo più profondo.
Il sentimento materno, che ha accompagnato il feto fin dai suoi primi
segni di vita, si traduce, dopo la nascita, in funzioni e cure verso il
bambino neonato, estendendosi in un modo che può essere paragonato al
succedersi di cerchi nell'acqua di uno stagno in cui sia stata gettata
una pietra. L'immagine della successione di cerchi concentrici riesce a
esprimere bene l'idea di continuità che sottende il processo di
crescita, dal concepimento in poi.
Quanto del sentimento di assoluta priorità che la madre
'sufficientemente buona' attribuisce al feto (Winnicott 1948) sia da
questo registrato e trasferito nella vita affettiva futura e quali
siano le reali capacità mentali del feto stesso è tuttora oggetto di
ricerca e i punti di vista degli studiosi non concordano del tutto.
Alcuni autori (Milani Comparetti 1981) tendono a individuare tracce di
pensiero nel feto fin dai primi segni della sua esistenza, mentre
altri, più cauti, sono alla ricerca di criteri più definiti per
riconoscergli la capacità di pensare, nonché di svolgere funzioni
mentali vere e proprie.
Secondo E. Gaddini (1984), durante la vita fetale non esiste memoria,
se non in una forma biologica o fisiologica; i feedback, che
continuamente mettono in opera l'apparato sensomotorio, si verificano
in virtù di una sorta di memoria biologica che porta ai centri
sensazioni periferiche e alla periferia impulsi dai centri. In tal modo
viene consentita all'organismo in crescita l'acquisizione di quei
comportamenti che oggi si possono seguire molto bene con l'ecografia e
che ci danno della vita fetale un'idea più precisa di quanto non sia
stato possibile in passato. Le tecniche di cui si dispone attualmente
sembrano confermare soprattutto il fatto che un organismo in crescita
ha bisogno di avere funzioni mentali, in quanto esso è già un tutto
organizzato.
La memoria del feto è difficile da concepire. Ci sono molte cose che
anche dopo la nascita e nella vita adulta si vivono senza che di esse
resti necessariamente memoria. Questa interviene nel momento in cui si
pensa a quello che si vive, e non abbiamo prove che il feto sia portato
a fare ciò. È a partire dal momento della nascita che si può cominciare
a pensare a ciò che manca, piuttosto che a ciò che c'era; fino a quando
tutto c'è, pensare non è necessario. La mente entra in funzione non
appena qualcosa di importante, di essenziale, muta; con uno scopo,
quindi, che può essere definito di sopravvivenza. Questa spinta alla
sopravvivenza è certamente la forza più potente che mette in moto
l'attività mentale: è come se la mente dovesse far fronte a un rischio
che riguarda l'organismo intero.
L'idea della vita mentale che diventa attuale alla nascita trova
analogie in numerosi altri funzionamenti fisiologici, anch'essi
potenziali prima della nascita. Si pensi alla respirazione e alla
circolazione cuore-polmoni, tutte funzioni differenziate inattive
finché il feto è nell'utero, ma che sono messe in opera al momento
stesso della nascita. Questo periodo della vita cessa improvvisamente,
in maniera abbastanza sconvolgente, non appena il bambino comincia a
percepire, e non soltanto a sentire, qualcosa, quando passa, cioè,
dalla sensazione, che rende tutto uguale a sé, alla percezione, che
riguarda invece qualcosa al di là di sé, che non fa parte di sé, che è
non-sé.
Nella vita postnatale, durante i mesi che precedono la separazione, la
memoria va segnando tappe abbastanza importanti. Le sensazioni parziali
di sé, corrispondenti a funzioni importantissime e ritmiche (come, per
es., l'alimentazione), erano andate organizzandosi in quelli che sono
stati indicati come 'frammenti' (Gaddini 1984); ciascuno di tali
frammenti, mentre viene vissuto e ripetuto, corrisponde a un senso
mentale di 'totalità di sé': la mente non sa, allora, cosa sia un
'frammento' e cosa sia un 'tutto'. Ogni frammento può essere
rappresentativo del tutto e, a sua volta, il tutto può essere
rappresentativo di un frammento. Per quanto riguarda la memoria, la
riattivazione mnemonica delle sensazioni legate a un certo
funzionamento corporeo (per mantenere l'esempio centrale, quello
dell'alimentazione) viene vissuta nella mente come un produrre da sé,
di nuovo, quell'esperienza. Quando qualche cosa è nella mente, essa è
vera, è reale; non c'è distinzione tra fantasia e realtà, e quindi non
c'è distinzione tra la memoria di un vissuto e il vissuto reale. Poiché
allora la memoria esiste nel senso che la mente infantile può
riattivare in termini di fantasia ciò che ha vissuto, dobbiamo
concludere che questa memoria non ha ancora una funzione temporale, non
produce un ricordo in questo senso, ma è una memoria che serve ad
attualizzare il senso di sé connesso a determinati vissuti corporei e
che interviene allorquando questa presenza del senso di sé, per qualche
ragione, viene a mancare.
A. Milani Comparetti (1982) tende invece a far risalire la
differenziazione mente-corpo a tempi più precoci della vita
intrauterina, fin da quando i modelli motori funzionali cedono agli
automatismi primari. Attraverso lo studio dei movimenti fetali mediante
l'ecografia, Milani Comparetti ha costruito il suo modello teorico
dello sviluppo intrauterino con una procedura, per così dire,
retrograda che partendo dal primo anno del bambino arriva al feto. Per
Milani Comparetti già intorno alla 20ª settimana o anche prima si
potrebbe cominciare a parlare per il feto di memoria fisiologica,
basata cioè su modelli di apprendimento fisiologico o funzionale.
Concordano con questa opinione M. Mancia (1981, 1989) e A. Piontelli
(1992): secondo questi autori i primi modelli paralleli di un
apprendimento mentale basato sulla memoria possono essere fondati, in
questo periodo intrauterino, sui modelli di un preesistente
apprendimento fisiologico e di una conseguente memoria fisiologica.
Alla memoria spetterebbe la funzione essenziale di mediatore nel
passaggio iniziale dal biologico al fisiologico. Il processo della
nascita attiverebbe poi in maniera decisiva la funzione della memoria e
la orienterebbe in senso mentale.
Vi è tra i ricercatori un accordo maggiore sulle modalità con le quali
la memoria si attiva alla nascita. La mancanza del continuum
intrauterino - mancanza intervenuta in maniera massiva e improvvisa, in
particolar modo se il parto è stato rapido e violento - è determinante
in questo senso: essa urge sul feto, fino allora contenuto nell'utero
in maniera stabile e coesa, e lo spinge nel suo cammino verso il
mentale. Con la nascita la memoria fisiologica (funzionale) del feto si
trasforma, mano a mano che le strutture neurofisiologiche maturano, in
memoria mentale, che all'inizio è ancora in parte sensoriale e
costituisce per il bambino che viene al mondo una sorta di secondo
utero, ma che presto diventa funzione psichica. In certo modo i
comportamenti funzionali prenatali, compresa la memoria fisiologica,
possono essere visti come organizzatori biologici, presupposti o
prodromi della funzione mentale che si svilupperà, per gradi, dopo la
nascita.
È probabile che il concetto di Sé, introdotto negli ultimi decenni del
20° secolo dalla teoria psicoanalitica, in quanto rivolto da una parte
alla vita prenatale, dalla quale attinge istinti e potenziali innati, e
dall'altra al mentale, che si innesterà su questi ultimi soltanto nei
primi mesi di vita, costituisca l'elemento che ha la funzione di
tramite tra lo psichismo fetale e quello dei mesi successivi. Si tratta
comunque di un processo che richiede mesi, nel corso dei quali nel
bambino si attua gradualmente il passaggio dalle sensazioni alle
percezioni, e dalle percezioni agli affetti e al pensiero.
2. Venire al mondo
L'aspetto che più attrae l'attenzione di chi osserva un bambino che
viene al mondo è il suo 'cercare qualcosa da poter toccare'. Le mani
del neonato sembrano annaspare nell'aria alla ricerca di qualcosa che
non trovano più, e che verosimilmente gli valeva in precedenza come
confine naturale di sé. "...Ciò che viene a mancare, nel nascere, è
proprio il limite di sé, e non quello di un ambiente intorno a sé,
perché il neonato non ha nessun senso dei propri effettivi limiti
corporei; il suo confine è il confine che tocca [...]. Per quello che
sappiamo della prima mentalizzazione, il toccare rappresenta una
modalità di rapporto con l'ambiente circostante che persiste a lungo ed
è indispensabile finché la mente non sia in grado di raggiungere una
esatta conoscenza dei confini di sé, della propria pelle, per così dire
(cosa che accade tra i cinque e i sette mesi di vita). Il contatto è
quindi, per sua natura, all'origine del senso di sé, in quanto dà il
senso del confine di sé; e poiché viene [dal neonato] immediatamente
associato alla funzione alimentare, accade che si fonda e confonda con
le sensazioni prodotte dal vissuto con il seno" (Gaddini 1984, p. 593).
Nel momento in cui alla nascita cominciano queste vicende, come
l'associazione del 'contatto' con la funzione alimentare e con il
nutrimento, si può affermare che inizia a funzionare la memoria. Molti
tendono infatti a individuare nel periodo perinatale il passaggio
dall'equilibrio instabile di pura fisicità all'iniziale organizzazione
del pensiero che si realizzerà in seguito.
Per nove mesi un individuo in fieri ha diviso la propria vita con
quella della madre, partecipando al suo tipo di vita e alle sue
esperienze, non solo materiali ma anche emozionali. Se, per es., la
madre è una persona attiva e forse anche agitata, è probabile che il
bambino si sarà abituato a questo modus vivendi durante i nove mesi che
ha passato dentro di lei e, una volta nato, forse si aspetti di essere
di continuo 'bamboleggiato' e fatto passeggiare o fatto saltare sulle
ginocchia. Se la madre è invece una persona quieta e serena, forse egli
è preparato a vivere in un ambiente tranquillo, e si aspetta di essere
tenuto in un grembo accogliente e fermo e di giacere in una carrozzella
non in movimento. In un certo senso si può dire che, fino al momento
della nascita, il bambino sa più cose sulla propria madre di quante ne
sappia la madre su di lui; si può dire che egli conosca la propria
madre meglio di sé stesso. La nascita costituisce probabilmente il
primo evento traumatico che il bambino esperimenti in proprio. O. Rank
(1924) e altri studiosi, appartenenti soprattutto alla scuola
psicoanalitica, hanno attribuito all'angoscia che caratterizza la
separazione fisica del bambino dalla madre all'atto della nascita il
valore di prototipo dell'angoscia che accompagna la vita di ciascun
individuo. Il pianto del neonato sarebbe, secondo tale visione,
l'espressione di questa prima desolazione. Altri autori, e tra questi
anche Winnicott, non sembrano invece attribuire altrettanta importanza
alla separazione che avviene tra madre e bambino, alla recisione del
cordone ombelicale, per il fatto che, a loro avviso, all'atto della
nascita non si verifica una vera separazione: l'unità madre e figlio si
converte soltanto in dualità, in maniera tale che, dal punto di vista
fisiologico, vengono a esistere due individui invece di uno.
3. Il neonato
Il termine neonato è usato per definire il bambino di età compresa tra
zero e trenta giorni. Per esprimere il vincolo 'bipersonale'
madre-figlio neonato, si può mutuare dalla lingua greca il concetto di
duale, estraneo alla nostra, che rappresenta una categoria intermedia
tra l'unità e il plurale, una tappa tra l'individuo singolo e la
collettività. Si tratta di una pluralità che in un certo senso è ancora
unità: la coppia madre-figlio è, nella sua fase iniziale, un'unità
psicologica da cui il neonato andrà distinguendosi solo per
identificarsi ancora con la madre.
Nel primo mese il neonato vive ancora prevalentemente di sensazioni,
non diversamente dal feto negli ultimi mesi di vita intrauterina, ma,
secondo alcuni ricercatori, compaiono in questa fase attimi di
consapevolezza che vanno a integrarsi con le sue competenze. La
dipendenza del neonato dalla madre è comunque totale. Si parla anche di
fusione bambino-madre, ma si deve riconoscere che la differenza tra
madre e neonato è notevole, dal momento che la madre, quando è
adeguata, ha la capacità di identificarsi totalmente con il proprio
figlio e pertanto di adattarsi attivamente ai suoi bisogni, mentre il
neonato non è in grado di identificarsi con la madre, trattandosi di un
processo complesso non applicabile ai primi tempi della vita. A
proposito di questo primitivo stadio di sviluppo, Winnicott ha
osservato, in alcuni suoi studi, che il lattante di poche settimane
gioca con il seno materno, oltre a succhiarlo per nutrirsi, al fine di
scoprire la madre e comunicare con lei in maniera da predisporla ad
agire positivamente nei suoi confronti. Senza l'occasione del gioco,
madre e bambino rimarrebbero estranei l'uno all'altro. È probabile che
la transizione da essere dentro a essere fuori del corpo materno sia
per il bambino graduale: sensazioni di essere in un ambiente di acqua
sembrano protrarsi nelle prime esperienze del mondo esterno. È merito
della psicologia dinamica avere promosso lo studio del rapporto
interpersonale e delle relazioni reciproche tra individuo e ambiente.
S. Freud non condivise l'opinione di Rank, secondo la quale il distacco
alla nascita sarebbe la matrice di tutte le angosce. Le cure materne
costituiscono per Freud il tramite tra vita prenatale e ingresso nel
mondo e conducono al processo di identificazione e alla costruzione del
senso di sè.
Se è vero dunque, come ammette anche la psicologia tradizionale, che
alla base di qualsiasi relazione umana vi è la comunicazione, è
evidente che per sopravvivere il neonato deve inserirsi in un sistema
di comunicazioni che implica anzitutto la possibilità di
identificazione con altri. Il tipo di comunicazione che si stabilisce
tra madre e neonato, come pure le reazioni che il neonato suscita nella
madre, sono in gran parte determinanti riguardo ai sistemi di
comunicazione in seguito utilizzati dal bambino. A ogni stimolo del
bambino si verifica una reazione che alimenta il circuito che si va
stabilendo tra bambino e madre, e grazie al quale al bambino è
consentito conoscere l'effetto del messaggio da lui trasmesso: si
incidono così le prime risposte fondamentali e si formano le matrici su
cui si plasmerà il suo comportamento futuro. Abbiamo visto che il
neonato viene al mondo in stato di 'grande sensibilità', per via del
cambiamento di ambiente, ed è molto probabile che quest'ansia possa
essere alleviata da un'adeguata assistenza affettiva e psichica, se si
permettono i primi contatti fisici tra madre e bambino (Harlow 1962).
Negli ultimi decenni del Novecento numerose osservazioni sono state
raccolte sugli stati neonatali, ma pochi sono i dati che permettono una
comprensione soddisfacente dell'integrazione madre-bambino, tale da
fornire elementi utili per trattare bambino e ambiente come un unico
sistema psicobiologico. L'osservazione clinica consente di rilevare che
il bambino appena nato succhia possibilmente dal seno o altrimenti
succhia il proprio pollice o altri sostituti che gli vengano propinati.
È attraverso la sensazione del succhiare e dell'essere 'tutt'uno-con'
che egli ricrea la situazione di unità che è venuta a mancare. Le
fantasie inconsce precoci - dapprima fantasie nel corpo e in seguito
processi intrapsichici - attingono ai sensi del vissuto delle prime
cure e svolgono una parte fondamentale nel modellare la natura e il
destino dei legami originari.
4. Conclusioni
Riassumendo brevemente ciò che è stato sin qui argomentato, emerge
quanto segue. Funzioni mentali vere e proprie cominciano con la
nascita. Sembra accertato che una determinata mancanza, improvvisa e
massiva, sia l'elemento decisivo per l'inizio dell'organizzazione
mentale. Tale mancanza riguarda la perdita del confine definito,
stabile e coeso, nel cui ambito il feto si è venuto formando, in cui ha
vissuto per mesi e dove hanno avuto inizio espressioni vitali, quali
quelle del muoversi e dell'orientarsi. La separazione alla nascita,
intesa come rottura di un limite continuo che dà al feto stabilità e
coesione, è quindi l'evento per eccellenza. In natura, d'altra parte,
tale separazione è subito lenita dalla successiva riunione con la
madre, dove si ritrovano le sensazioni di base che entrano
nell'organizzazione del mentale (per es., i ritmi e la cenestesi
materna). In questo ambito familiare hanno luogo, in modo facilitato, i
processi primari della psiche e la sua organizzazione di base, che
vanno emergendo in contesti non integrati in cui il primato delle
diverse funzioni corporee è via via privilegiato. Tra i concetti
relativi ai meccanismi dello sviluppo nei primi stadi devono essere
considerati, in particolare, quelli di mancanza, di memoria e di tempo.
La mancanza, che si viene a determinare nel feto con la nascita, e la
relativa perdita dell'ambiente protetto nel quale aveva vissuto per
mesi, sono elementi essenziali della formazione di una mente che pensa,
in quanto appaiono decisive nel promuovere lo sviluppo della memoria,
punto cardine di ogni funzionamento mentale. Quando la condizione di
protezione totale che il feto aveva in utero viene meno e, con essa,
vengono a mancare anche i vissuti corporei che preludono alla
formazione del senso di sé, allora la memoria di quei vissuti ha
inizio, e con la memoria il pensiero. Non a caso Hegel parla
dell'immane potenza del negativo.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it