fiaba
La fiaba è un racconto di
avventure in cui domina il meraviglioso, tanto negli episodi come nei
personaggi, e che ha di solito come protagonista un essere umano, nelle
cui vicende intervengono spiriti benefici o malefici, demoni, streghe,
fate. Rispetto alla favola, in cui in genere i protagonisti sono
animali o esseri inanimati e il cui scopo è quello di comunicare una
verità morale o un insegnamento di saggezza pratica, la fiaba ha
carattere decisamente più fantastico ed è di norma priva di un fine
morale. Gli studi d'impostazione psicoanalitica danno una lettura in
chiave simbolica dei temi e delle figure della fiaba, sino a farne dei
veri e propri archetipi.
sommario: 1. Origine, contenuti, luoghi e personaggi. 2.
Interpretazioni psicoanalitiche e simboliche. □ Bibliografia.
1. Origine, contenuti, luoghi e personaggi
Le fiabe presentano alcuni dati comuni e ricorrenti. Non sono collegate
a luoghi geograficamente conosciuti o riconoscibili, ma introducono
piuttosto siti che hanno connotazioni simili in ogni paese, ambienti
naturali, quali boschi, foreste, fiumi, vallate e montagne. Il racconto
prende spesso avvio in un luogo che dovrebbe essere rassicurante e
familiare - la casa, il paese natio -, per poi spostare l'azione in una
zona ostile o almeno ignota all'eroe, ove accadono fatti che non erano
prevedibili all'inizio. Una costante di molte fiabe è dunque il viaggio
(di scoperta, d'iniziazione). Inoltre, il tempo della storia,
grammaticalmente affidato all'indicativo imperfetto, non è mai
determinato. Le fiabe classiche sottolineano infatti la loro voluta
vaghezza temporale e spaziale sin dal demarcatore d'inizio: 'C'era una
volta ...', 'Al tempo in cui gli animali parlavano ...', 'In un paese
lontano lontano ...'. Dati questi elementi comuni di fondo, è facile
comprendere come le fiabe si prestino a varie interpretazioni di ordine
psicologico, ognuna delle quali presenta lati suggestivi. Le ipotesi
più seducenti concernono sia i contenuti dei racconti, sia la loro
stessa origine, sia, naturalmente, i luoghi e i personaggi, le cui
caratteristiche peculiari si adattano bene a essere lette in chiave
simbolica. Per quanto concerne l'origine, gli studiosi della
letteratura favolistica si sono divisi da tempo tra sostenitori della
poligenesi delle fiabe (i testi si somigliano, perché le storie narrate
sono comuni a tutti i popoli e sono nate da esigenze simili) e fautori
di una visione monogenetica, oggi meno accettata, secondo la quale le
fiabe si sarebbero sviluppate di preferenza in certi luoghi, e di qui
trasferite ad altre popolazioni.
La teoria junghiana avvalora la tesi secondo cui le fiabe, come altri
prodotti della mente umana, quali i sogni, i miti, le credenze,
sarebbero parte dell'inconscio collettivo e apparterrebbero all'umanità
intera, in quanto create dalla psiche, al pari di altri archetipi o
immagini primordiali, in un eterno susseguirsi, indipendentemente dai
luoghi e dal tempo.
Si tratterebbe, quindi, di creazioni universali che si ritrovano
dappertutto pur con certe varianti. Inoltre, in ogni fiaba che non sia
letta nella sua forma scritta, qualsiasi narratore tende ad aggiungere
od omettere qualcosa di proprio, contribuendo così a elaborare ogni
volta una nuova, personale narrazione di una storia appartenente a un
lontanissimo passato. Al tempo stesso, si può dire che la fiaba
risponda a un'intima esigenza della psiche: narrare o ascoltare storie
affascina, diverte, stimola la creatività individuale e collettiva. E,
secondo varie scuole di psicologia, può anche avere una funzione
psicoterapeutica. Quest'ultima concezione, per altro, non è
un'invenzione del 20° secolo: già nell'antica medicina indù veniva
praticata una simile forma di 'cura dell'anima'. Le persone con
problemi di ordine psichico si rivolgevano a un guaritore riconosciuto,
e questi sceglieva dal proprio repertorio di fiabe (ricco di centinaia
di storie imparate a memoria) quella che gli pareva più adatta alle
circostanze e ai problemi del richiedente: la meditazione su tale
storia avrebbe aiutato il 'paziente' a superare i propri disturbi e
conflitti emotivi. La stessa fiaba-cardine delle Mille e una notte,
quella della bella Sharazad che per mille e una notte di seguito
racconta una storia al suo re, Shahriyar, sofferente per una grave
depressione, può essere interpretata come un efficace modello di
psicoterapia. Infatti, dopo tre anni circa - mille notti - il sovrano
riacquista l'equilibrio mentale (Bettelheim 1976; Giani Gallino 1987).
Questa prospettiva sposta il centro del discorso sui contenuti e sui
personaggi presenti nella fiaba. Già S. Freud aveva rilevato
l'importanza che le fiabe avevano nella vita dei bambini e come,
crescendo, proprio gli avvenimenti in esse narrati venissero a
sostituire nell'adulto certe memorie d'infanzia, assumendo talvolta il
ruolo di ricordi di copertura (Freud 1913a). Freud (1913b) aveva anche
sottolineato che certe fiabe apparentemente semplici nascondevano
motivi simbolici, i quali richiedevano un'adeguata interpretazione
psicologica o psicoanalitica. Anche O. Rank (1909) ha riportato i
contenuti di alcune fiabe, per es. Cappuccetto Rosso, alla sua teoria
del trauma della nascita. Al contrario, la fiaba Hänsel e Gretel,
secondo questo autore, riprendeva piuttosto, da un lato, il motivo
della primitiva madre cattiva (la strega), dall'altro, la simbologia
del ventre materno che accoglie e nutre durante la gravidanza. Infine,
altri racconti in cui compariva la figura del 'principe azzurro'
sembrano a Rank maggiormente connessi a successive fasi di crescita e
di maturazione: quelle dell'adolescenza e della vita amorosa; così la
liberazione della principessa da parte del principe era da intendersi,
per es., come una nuova nascita dell'eroe (Rank 1924).
2. Interpretazioni psicoanalitiche e simboliche
Già si è detto come C.G. Jung abbia interpretato la fiaba quale
prodotto dell'inconscio collettivo e come luogo privilegiato degli
archetipi, per cui nei miti e nelle fiabe, come nel sogno, l'anima
'testimonia di sé stessa' (Jung 1946). Certe figure o personaggi che
s'incontrano nelle fiabe, o anche in un sogno fatto dal protagonista,
sono da intendersi quali personificazioni di determinate cognizioni che
il giovane eroe non possiede ancora. Per es., il 'vecchio saggio',
portatore d'aiuto e consiglio, che compare in un momento di difficoltà
e si offre come guida al protagonista, è un archetipo che rappresenta
sia la saggezza e la prudenza, sia qualità morali come benevolenza e
sollecitudine. Lo stesso si può dire dei contenuti: l'intera trama e
anche solo parti di essa celano significati simbolici, che Jung ha
individuato in varie narrazioni. I suoi studi sugli archetipi presenti
nelle fiabe dei fratelli Grimm, per es. Lo spirito nella bottiglia
(Jung 1954), sono poi stati ulteriormente approfonditi da M.L. von
Franz (1970, 1972). Infine, gli stessi 'luoghi' possono prefigurare
modelli archetipici, come la foresta che trasmette la paura di
perdersi, il castello incantato in cui si può rimanere prigionieri, il
fiume o il ponte che rappresentano simbolicamente un passaggio verso
l'Altrove.
Lo studioso che ha dato i maggiori contributi a un'interpretazione
psicoanalitica della fiaba, e persino a un suo rilancio dopo un periodo
di relativo rifiuto, è stato B. Bettelheim (1976). Secondo questo
autore, il compito più importante che si pone a chi alleva un bambino è
quello di aiutarlo a trovare un significato alla vita, trascendendo i
confini piuttosto angusti di un'esistenza egocentrica. La fiaba
popolare, come pure il racconto di fate, offrono un contributo
essenziale in quest'ambito, a differenza della moderna letteratura
infantile che, sempre a suo parere, manca di stimolare le risorse di
cui un bimbo ha più bisogno per affrontare i suoi difficili problemi
interiori. Le fiabe toccano tutti gli aspetti della personalità in
formazione e, in particolare, offrono nuove dimensioni
all'immaginazione. è importante sottolineare che il contributo di
Bettelheim all'analisi delle fiabe è avvenuto in un periodo in cui si
riteneva che esse non avessero più alcun significato in una moderna
società di massa, e che trasmettessero anzi modelli superati e
negativi. Molti genitori rifiutavano le fiabe in quanto, a loro avviso,
inducevano troppo alla fantasticheria, trascurando le realtà della vita
quotidiana. Oppure temevano che i bambini piccoli fossero spaventati da
certi personaggi, come le streghe, i lupi cattivi, i mostri o i draghi.
Altrettanto inaccettabile appariva l'immagine femminile stereotipa,
convenzionale e sfavorevole alla donna vera, troppo abusata nella
favolistica tradizionale.
L'interpretazione di Bettelheim ha condotto invece a comprendere come,
anche se è importante raccontare ai fanciulli storie realistiche e
contemporanee, non debbano essere trascurate le fiabe, le quali
contengono messaggi nascosti che parlano all'inconscio del bambino e
contribuiscono a fargli superare i problemi di crescita: il bisogno di
essere amati o la paura di non essere considerati, l'amore della vita e
la paura inconscia della morte, o quei conflitti profondi che traggono
origine dai nostri impulsi primitivi e da violente emozioni interiori.
Tutte sensazioni presenti, ma difficilmente esprimibili, che agiscono
in noi a nostra stessa insaputa e creano angosce di cui non si conosce
la genesi. È comunque opportuno rilevare che il riferimento esplicito e
ripetuto ai bambini non deve far ritenere che l'importanza delle fiabe
riguardi soltanto il periodo infantile. Nell'ottica psicologica,
l'infanzia è attualmente considerata la fase di gran lunga più
importante per la formazione della personalità umana e per ogni
successivo sviluppo cognitivo, creativo e socioemotivo. Le carenze o
gli errori psicologici, come le esperienze negative riguardanti i primi
anni di vita, saranno molto difficili da compensare o rimediare
nell'età adulta. Per questo motivo, nella visione di Bettelheim,
condivisa peraltro nelle sue linee essenziali da vari studiosi, la
conoscenza delle fiabe (avvenuta o mancata) in età infantile avrà
ripercussioni importanti nel successivo arco di vita. Mentre ascolta la
fiaba il bambino, cioè l'individuo in sviluppo, acquisisce delle idee
sul modo in cui dare un ordine a quel caos primigenio che è il suo
mondo interiore, arriva a comprendere certi universali che fanno parte
dell'ambiente esterno, ad accettarne i principi di fondo e a stabilire
priorità e categorie. Naturalmente, per ottenere simili risultati non
sarà sufficiente una sola fiaba, ma bisognerà conoscerne molte, anche
se ognuno potrà poi identificarsi, in particolare, in un certo
personaggio, in una situazione, presenti in una determinata e singola
storia. In quest'ottica, personaggi, luoghi e situazioni fiabesche
possono persino essere utilizzati come test proiettivi (Giani Gallino
1981).
Più recentemente, con il crescere della sensibilità per gli aspetti
psicologici e l'estendersi dell'interpretazione simbolica, certe fiabe
sono state lette come metafore di particolari comportamenti, condizioni
di vita, malattie della psiche. Così, per es., una fiaba della raccolta
dei fratelli Grimm (1812-22), Pierino Porcospino (o Gian Porcospino),
può essere ricondotta emblematicamente al problema del bambino che
nasce con un handicap o malformazione fisica, che lui e la sua famiglia
dovranno affrontare. Cappuccetto Rosso e Pelle d'asino, che si
ritrovano già nei Racconti di Mamma Oca di Ch. Perrault (1697), ci
riportano al grave problema dell'abuso dei minori, della violenza
sessuale sui bambini e dell'incesto. Mentre altre fiabe
conosciutissime, come per es. Hänsel e Gretel o La Bella Addormentata
nel bosco, oppure altre storie nelle quali il cibo o il rifiuto del
cibo (o il venir meno dell'alimentazione) rivestono una certa
importanza, sono state collegate da più autori alla problematica molto
attuale dell'anoressia mentale e della bulimia.
A tale proposito, occorre sottolineare che nelle fiabe di magia il
corpo assume spesso un suo ruolo specifico. E anche questo è un
elemento da interpretare in chiave psicologica, soprattutto in rapporto
all'infanzia e alla preadolescenza. Si tratta infatti di due fasi della
vita durante le quali non solo il corpo subisce profonde e rapide
trasformazioni, ma si desidera uscire presto da una condizione di
'piccolezza', intesa anche come inferiorità e dipendenza dagli adulti,
per diventare 'grandi' e avere più potere, su sé stessi e sugli altri.
Non a caso, questi aspetti si ritrovano comunemente nelle fiabe e,
ancora una volta, possono essere letti in termini simbolici. Si pensi,
per es., al rilievo che assumono le 'trasformazioni per incantesimo' o
per magia nei racconti di fate, e che trovano la loro lontana origine
nel romanzo 'iniziatico' di Apuleio (2° secolo d.C.), l'Asino d'oro e,
ancora prima, nei miti greci. Così, a causa di un sortilegio, il bel
principe può essere trasformato in un ranocchio, o in un animale
mostruoso e ripugnante; oppure i corpi dei protagonisti possono
ingrandirsi a dismisura, o divenire piccoli piccoli; in altri casi
ancora, un corpo può venire inghiottito, o scomparire per ricomparire
altrove. L'immaginario e il meraviglioso non hanno limiti, né psichici
né fisici.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it