filosofia
Attività di pensiero che
attinge ciò che è costante e uniforme al di là del variare dei
fenomeni, con l’ambizione di definire le strutture permanenti della
realtà e di indicare norme universali di comportamento.
1. Definizioni
La f. può definirsi come una forma di sapere che, pur nella grande
varietà delle sue espressioni, presenta quali note pressoché costanti
due vocazioni: una all’universalità e una alla prescrizione di una
saggezza. La prima si manifesta in due modi: la f. si pone come una
forma di sapere perfetta, comunque quale forma di sapere migliore
possibile all’uomo, rispetto ad altre inferiori, o almeno come la forma
di sapere più generale e comprensiva; oppure si pone come un sapere che
trae altre forme di sapere a suo oggetto, per studiarne le
caratteristiche, gli ambiti di validità, i significati impliciti. In
entrambi i casi la f. finisce per riguardare tutte le forme
dell’attività umana, che essa indaga criticamente all’interno degli
ambiti individuati dalle denominazioni correnti delle diverse
discipline filosofiche: logica, etica, metafisica, estetica, f. della
storia, del diritto, della religione, della natura, della scienza, e
così via. La vocazione alla prescrizione di una saggezza si configura
come indicazione di una condotta conforme ai risultati della ricerca
filosofica.
2. La ricerca del principio delle cose
Nelle più antiche manifestazioni della tradizione occidentale la f. si
presenta come una scienza, anzi la scienza per eccellenza, e si occupa
delle origini e della struttura delle cose. Nota comune ai diversi
filosofi è la ricerca del principio della realtà, di un qualcosa che
stia a fondamento della molteplicità dei fenomeni e la renda
intelligibile. Secondo la testimonianza aristotelica, per la maggior
parte dei primi filosofi questo principio è di carattere materiale: in
Talete, per es., è l’acqua il principio comune delle cose.
Ma Anassimandro va oltre questa considerazione di un principio
materiale e ravvisa il ‘principio’ in una realtà non determinabile, che
chiama appunto l’illimitato e in cui vede la causa della nascita e
della dissoluzione degli esseri, il che avviene secondo necessità. Si
profila il motivo della legalità cosmica, del significato unitario
della varia molteplicità dei fenomeni. Questo motivo torna in Eraclito
con la nozione di logos come legge dell’accadere e come regola dei
conflitti di opposti in cui consiste lo scorrere della vita. In
Eraclito troviamo anche la distinzione di un sapere volgare e di un
sapere autentico, il primo proprio dei più, il secondo proprio del
filosofo, cioè del sapiente che, oltre le apparenze, conosce la vera
natura delle cose. Con Parmenide di Elea, si ha una netta distinzione,
anzi contrapposizione, di verità e opinione, correlativa di una
valutazione della realtà, di cui la sostanza autentica e veramente
reale è l’essere, ciò che è contrapposto al mutevole e instabile mondo
del divenire. Con ciò era posto il concetto di una realtà superiore,
transfenomenica, attingibile dalla ragione, in antitesi al mondo
dell’esperienza ordinaria, recepito dai sensi.
3. La f. come ‘scienza prima’
Verso la metà del 5° sec. a.C. l’interesse della ricerca filosofica si
sposta verso i problemi antropologici (conoscenza, moralità).
Protagonisti di questo nuovo indirizzo sono i cosiddetti sofisti, ai
quali si deve anche la critica di una serie di nozioni tradizionali. La
f. diventa critica della tradizione, nei suoi aspetti religiosi, etici,
giuridici, politici. Alla tradizione con le sue certezze subentra la
discussione (onde la centralità della retorica, dell’arte del dire e
del persuadere), con forte accento relativistico. Ma perché la
discussione sia feconda bisogna avere un criterio, dare un significato
ai termini, definirli. Ed è questa l’esigenza avanzata da Socrate,
sofista anche lui in quanto fautore della discussione e della critica,
ma avversario dei sofisti e più radicale di questi in quanto
sostenitore di un discorso corretto e coerente. Da qui il giudizio di
Aristotele, secondo il quale Socrate è l’inventore del ‘concetto’ o
dell’‘universale’. In Platone coesistono diverse caratterizzazioni,
implicite o esplicite, della filosofia. Nel Simposio troviamo
l’accezione etimologica del termine (‘amore della sapienza’, e
ϕιλοσοϕεῖν nel senso di ‘investigare’ e ‘ricercare’). Del filosofo
proteso esclusivamente all’indagine scientifica e incurante di quanto
concerne la vita pratica Platone dà una tipica raffigurazione nel
Teeteto. Il filosofo del Teeteto è anche matematico e astronomo: egli
scopre la struttura stessa dell’essere. E nel Sofista il filosofo è
identificato con il dialettico, essendo la dialettica non soltanto un
metodo di ricerca o un’esercitazione spirituale, ma il nesso oggettivo
che regge i rapporti tra le idee.
Aristotele conferma la concezione platonica della f. come scienza per
eccellenza, superiore per profondità alle altre scienze. Le scienze
studiano gli oggetti nei loro caratteri necessari o più costanti, la f.
invece li studia nella loro essenza più intima, in ciò che hanno di
sostanziale e che li fa essere quel che veramente sono. Dunque la f.
stabilisce i fondamenti delle altre scienze. In questo significato
specifico Aristotele chiama la f. scienza prima o f. prima o anche
teologia, e la pone accanto alle altre scienze da lui chiamate
teoretiche, la matematica e la fisica, ma in posizione di privilegio
rispetto a esse.
4. La f. come pratica di saggezza
Il motivo della f. come ricerca e pratica di saggezza si presenta nella
sua forma più specifica nelle scuole epicurea e stoica, e si ritrova
anche nei cinici, nei cirenaici e negli scettici. Il nuovo accento che
la f. acquista sta nell’assunto che la verità è in funzione dell’io e
che il raggiungimento della felicità (e autosufficienza) individuale è
lo scopo più importante della vita. Queste f. sorgono in concomitanza
con la crisi della città antica ed esprimono la tendenza del singolo a
ritrarsi nella propria pace personale. La f. non si riduce tuttavia con
questo alla sola etica; gli epicurei ne considerano premesse necessarie
la fisica e la canonica (teoria della conoscenza), e anche gli stoici
pongono accanto all’etica una logica e una fisica. Ma il fine rimane
quello della felicità-serenità del singolo.
Su queste forme di saggezza razionale finiranno presto per prevalere
saggezze tipicamente religiose, attinenti cioè non più soltanto alla
felicità, ma alla salvezza individuale. E la f. acquista una coloritura
religiosa e soteriologica: anzi la f. viene identificandosi con la
religione, in quanto la ricerca della verità non si sente esaurita
dall’indagine logico-razionale, ma cerca di realizzarsi in una forma di
conoscenza superiore (γνῶσις) che attinga realtà ineffabili e divine.
Una forte ispirazione religiosa attraversa il neoplatonismo, che vorrà
presentarsi soprattutto come un ritorno a Platone: trascendenza del
divino, divisione di mondo sensibile e mondo intelligibile, ma rapporto
dinamico tra i due nel quadro di una più profonda unità. Nei più tardi
neoplatonici si verrà anche, sempre più nettamente, accentuando
l’assunzione della mitologia pagana e di riti misterici, magici.
5. La f. cristiana
La f. cristiana è intessuta anch’essa di motivi religiosi e teologici:
non può infatti prescindere dalle cosiddette ‘verità rivelate’, e
quindi dalla fede, e ha come suo vero oggetto Dio, nel quale soltanto
il mondo e l’io si comprendono, come la creatura si comprende nel
creatore, il finito nell’infinito. Di qui diverse posizioni sui compiti
e i limiti della f., ma sempre all’interno del presupposto della sua
simbiosi con i contenuti della rivelazione. Agostino parla di un
accordo di fede e ragione e di una loro necessaria complementarità. La
fede è il presupposto dell’indagine razionale: bisogna prima credere
per intendere, anche l’indagine razionale, il conoscere, risponde a un
comando di Dio. In questa prospettiva lo stesso intelligere non è un
semplice esercizio logico-razionale, ma è ricerca della verità resa
possibile da un’assidua assistenza divina che ‘illumina’ la mente
dell’uomo. Di qui la mancanza di distinzione tra f. e riflessione sui
dati della fede: l’intelletto prosegue e approfondisce la prima e
fondamentale esperienza religiosa e tende alla visione beatifica che
sarà piena contemplazione della verità (cioè di Dio).
Secondo questa linea si svolge la speculazione medievale prima della
riscoperta della f. aristotelica, che cambia radicalmente il quadro
della f. medievale. È a questo punto che si vengono a definire una f. e
una ragione naturale per loro natura estranee alla tradizione e alla
ragione cristiana, e nasce il problema dei loro rapporti con la
teologia, cioè con la speculazione cristiana. Tommaso d’Aquino compirà
lo sforzo più notevole e coerente di accogliere la f. di Aristotele
anche all’interno della speculazione teologica, dopo aver distinto
l’una dall’altra. La ragione è autonoma e ha la capacità di ascendere
dalla realtà sensibile alle forme di realtà più elevata, fino
all’esistenza di Dio, che può dimostrare, come può dimostrarne alcuni
attributi. Al di là della ragione stanno alcune verità indimostrabili
come la Trinità, la creazione nel tempo, l’incarnazione, il peccato
originale. Ma il fatto che stiano al di là della ragione non significa
che siano irrazionali: la ragione ha anzi la funzione di preparare
all’accettazione di queste verità, perché esse non contrastano con la
ragione, rispetto alla quale sono anzi probabili (cioè
non-contraddittorie).
6. Umanesimo e Rinascimento
Con l’Umanesimo e il Rinascimento la f. continua a essere una forma di
sapere totalizzante; muta però il suo accento, perché comincia ad
assumere quelle caratteristiche di mondanità a cui generalmente si
pensa quando si parla di pensiero moderno. Si rivolge cioè
essenzialmente al terreno, all’individuale, allo storico, interessi
ovviamente non assenti nella f. e nella cultura medievale, ma
nettamente soverchiati dall’interesse per il trascendente. Né, d’altra
parte, si può dire che la f. dell’Umanesimo e del Rinascimento sia una
f. irreligiosa. Ma l’esigenza religiosa scaturisce dalla dignità stessa
dell’uomo, dalla sua eccellenza di fronte alle altre creature, dalla
sua centralità nell’universo, dal suo esser fatto a immagine di Dio. Il
nuovo atteggiamento si manifesta nella riscoperta dei classici, nella
polemica contro la logica scolastica, nella polemica contro la disputa
teologica. La riscoperta dei classici non è una semplice riscoperta
filologica, ma è soprattutto loro ‘imitazione’ e insieme creazione di
un nuovo ideale di vita, ripreso da quei modelli.
La polemica contro la logica scolastica (e aristotelica) si configura
come polemica contro una disciplina astratta, nel senso di artificiosa
e inutile per la ricerca. La polemica contro la disputa teologica è
anche essa polemica contro problemi insussistenti e gratuite
escogitazioni mentali. A queste forme di ‘astrattezza’ vengono
contrapposti da un lato tentativi di logiche diverse, più vicine ai
concreti processi della mente e alla conoscenza psicologica dell’uomo,
dall’altro la concreta esperienza religiosa così com’è vissuta dal
credente. Si viene affermando per questa via il principio della
tolleranza, desunto dal rilievo dei caratteri comuni alle varie fedi e
dall’inessenzialità degli elementi differenziali e di contrasto.
7. La f. moderna
In Francesco Bacone troviamo, come in tutto il Rinascimento, l’ideale
del regnum hominis, del razionale dominio della natura, scopo del
sapere e dell’organizzazione anche pratica del sapere. Bacone offre
un’enciclopedia delle diverse forme di sapere, una sistemazione
organica delle diverse scienze. Abbiamo una f. intesa come sapere
razionale e comprendente varie discipline, e la f. nel senso più
stretto o f. prima, comprendente le nozioni più generali, cioè gli
assiomi validi per diverse scienze.
La f. moderna dunque si sviluppa in stretta connessione con le scienze,
nei confronti delle quali il suo rapporto è duplice: per un verso la f.
vuole imitarne il rigore metodico e, sotto questo profilo, farsi
scienza essa stessa; per un altro verso pretende di avere un suo
specifico campo d’indagine che stabilisca i fondamenti delle scienze.
Della sua f. R. Descartes dice che è una f. ‘prima’, dedicata cioè alle
nozioni più generali. Da ciò l’immagine del sapere come di un albero,
«di cui le radici sono la metafisica, il tronco è la fisica, e i rami
che sortono da questo tronco sono tutte le scienze».
T. Hobbes, B. Spinoza, G.W. Leibniz concepiscono la f. secondo un
analogo schema razionalistico, cioè come la scienza che studia le
ragioni ultime dei fenomeni, servendosi di un metodo rigoroso, mutuato
dalle matematiche. Ma mentre in Leibniz si ha un recupero teologico, in
Hobbes e Spinoza troviamo una netta separazione di f. e teologia,
perché la teologia concerne nozioni non soggette all’analisi razionale
e perché ha come oggetto la fede, il cui scopo è l’obbedienza e la
pietà, e non la verità, che è l’unico scopo della filosofia.
Con J. Locke la f. assume come suo compito essenziale l’esame della
validità e dei limiti del sapere, diventando così f. critica. Prima di
procedere alla costruzione di edifici metafisici occorre analizzare la
nostra facoltà di conoscere. Il risultato dell’indagine è che
l’esperienza è il fondamento e l’origine di tutte le nostre conoscenze,
e quindi la base metodica della filosofia.
8. L’Illuminismo e Kant
La lezione di Locke fu una lezione di cautela critica, e in questo
senso la sua f. fu interpretata dall’Illuminismo. «Dopo tanto
sfortunato vagabondare – scrive Voltaire – stanco, estenuato e
vergognoso di aver cercato tante verità e trovato tante chimere,
ritornai, come il figliol prodigo al padre, a Locke; e mi gettai nelle
braccia di un uomo modesto, che non finge mai di sapere quel che non
sa, che non possiede, a dir vero, immense ricchezze, ma i cui fondi
sono sicuri, e che gode senza ostentazione dei più solidi beni».
Analogo elogio si può leggere nel Discorso preliminare
dell’Enciclopedia, scritto da d’Alembert: si può dire che Locke –
afferma d’Alembert – «creò la metafisica, pressappoco come Newton aveva
creato la fisica». E questa metafisica è «ciò che effettivamente deve
essere, la fisica sperimentale dell’anima». Metafisica dunque
‘ragionevole’, ossia non più partecipe dello ‘spirito di sistema’ del
costruzionismo metafisico. Il sapere illuministico è rivolto a fini
pratici (anche questo un motivo baconiano), è un sapere eminentemente
‘utile’. E la f. è considerata (e vissuta) come un fattore essenziale
di demistificazione, di liberazione e di progresso.
La polemica contro le costruzioni metafisiche continua in I. Kant, e in
lui raggiunge la sua forma definitiva. Kant definisce dogmatiche tutte
le metafisiche che non presuppongano una critica della facoltà di
conoscere. Il torto di queste metafisiche è stato quello di essersi
avventurate nel campo del soprasensibile, senza tener conto del fatto
che nessuna conoscenza è possibile senza l’intervento della
sensibilità, che sola può attestare la presenza dell’oggetto
conosciuto. Di fronte a tali costruzioni è inevitabile l’insorgere
dello scetticismo, il quale peraltro si limita a rilevare gli
insuccessi della ragione, ma senza una precedente critica di essa. Kant
fornisce questa critica, nella quale stabilisce i limiti di validità
delle operazioni della mente, oltre a descrivere la struttura della
mente stessa. Il risultato della critica è che essa limita l’ambito
della conoscenza scientifica e della conoscenza in generale al mondo
dei fenomeni, ma lascia aperto il tradizionale (e ineliminabile perché
connaturato all’uomo) campo della metafisica a un diverso uso della
ragione, quello pratico. In questo campo l’uomo si incontra con i
problemi della libertà del volere, dell’immortalità dell’anima,
dell’esistenza di Dio, e li risolve positivamente in base alla
razionalità dei principi morali che regolano (‘devono’ regolare) le
azioni. Non è una soluzione teoretica (una conoscenza), impossibile
dati i risultati della critica, ma una soluzione pratica, una certezza
pratica. Abbiamo così due mondi, il mondo della natura con le sue leggi
scientifiche e il mondo della libertà con la sua fede razionale e il
suo accesso al soprasensibile. La conciliazione tra questi due mondi è
possibile attraverso l’uso della facoltà del giudizio, che riflette sui
fini che incontra nella natura e li pensa secondo il principio di una
causalità intenzionale che agirebbe nella natura stessa. Il finalismo è
però un principio di esposizione e di comprensione, non di spiegazione:
la conciliazione dei due mondi, sensibile e soprasensibile, pur essendo
legittima e in certo modo necessaria all’uomo, resta pur sempre
ipotetica e problematica. Un mondo in armonia con l’azione morale è
concepibile mediante una forma di giudizio diversa da quella dei
giudizi scientifici: tale giudizio non coglie l’essenza delle cose, ma
ipotizza che sia sensata. Questa insistenza sul ‘come se’ da parte di
Kant è dovuta alla preoccupazione di non conferire al valore uno
statuto simile a quello del fatto e con ciò cadere in una forma di
determinismo e quindi di compromettere l’autonomia della ragione e la
libertà dell’uomo.
9. L’idealismo tedesco
Riallacciandosi a Kant, J.G. Fichte pone il primato del valore sul
fatto, del dover/">dover essere sull’essere: il fondamento pratico è
posto alla base del filosofare e la libertà umana, e quindi l’io come
principio della f., è una fede.
Per G.W.F. Hegel il punto di vista dell’assoluto, ossia della scienza,
non si conquista immediatamente, ma presuppone il percorso che la
coscienza umana fa dalle forme più elementari alle più complesse fino a
raggiungere un grado di consapevolezza che le consente di far scienza.
Questa descrizione è oggetto della Fenomenologia, che percorre una
serie di esperienze, attraverso le quali l’uomo conquista la
consapevolezza della sua libertà, ossia si libera dell’oggetto come di
qualcosa di estraneo e misterioso e si sente uomo di questo mondo e
sente questo mondo come suo. Giunto a questa consapevolezza egli
ripensa il cammino ed enuclea da esso i concetti maturati attraverso
quelle esperienze. La logica e le f. della natura e dello spirito sono
appunto il risultato di queste elaborazioni. Ed è questo che dà luogo
al sapere assoluto, un sapere cioè che ha in sé soltanto la sua
misura/">misura, e che è un sapere storico, bene ancorato al tempo.
Esso scopre che il cammino percorso dall’umanità è un cammino sensato,
che ha realizzato la progressiva presa di coscienza della libertà umana
ed è perciò razionale. I concetti della f. sono l’espressione di questa
razionalità, che non è dunque il risultato di un atto della mente, ma è
razionalità oggettiva, realizzata, che il pensiero rispecchia.
Naturalmente questo non significa che tutto ciò che esiste è razionale:
il razionale è ciò che nella realtà è più significativo, è portatore di
senso. E il senso è appunto dato da quel processo onde l’uomo ha
acquistato coscienza della sua libertà. Da questo punto di vista la f.
hegeliana è una interpretazione del corso storico. Fare f. è dunque
comprendere ciò che è stato: «la filosofia è il proprio tempo appreso
col pensiero».
10. F. e scienza nel positivismo
Per A. Comte la f. è in primo luogo riflessione sul sapere e quindi
analisi delle tendenze e delle tecniche delle varie scienze,
classificate secondo un ordine di decrescente generalità; non solo, ma
di esse sono qualche volta prescritti criteri da seguire, come quelli
che meglio rispondono alla loro logica interna, cioè all’attuazione
della loro ‘positività’. Positività significa superamento delle due
fasi antecedenti dello sviluppo dell’intelletto (teologia, metafisica);
una scienza è positiva quando rinuncia radicalmente alla ricerca di
cause, e stabilisce leggi, cioè relazioni costanti tra fenomeni, fa
delle previsioni, è socialmente utile. In H. Spencer la f. è la forma
più generale del sapere, unificatrice delle scienze e attinente alle
nozioni dal più esteso contenuto.
11. La reazione al positivismo
Per H. Bergson invece la f. non è una scienza generalizzatrice, né una
riflessione sulle scienze, ma è un’operazione mentale che ci pone in un
rapporto con le cose diverso rispetto a quello in cui ci pongono le
scienze. F. e scienza non rivaleggiano nel cogliere la realtà, ma,
semmai, collaborano perché si riferiscono a due aspetti fondamentali
della realtà stessa. Alla scienza e alla metafisica – dice Bergson –
spettano oggetti differenti: «alla scienza la materia e alla metafisica
lo spirito». Ma scienza e metafisica hanno in comune l’intuizione, che
coglie la realtà nella sua pienezza: infatti in ciò che hanno di
essenziale, cioè nelle loro autentiche scoperte, esse hanno proceduto
per intuizione. È l’atmosfera della reazione al positivismo, reazione
che rivendica alla f. una sua autonomia e ricerca un modo di
approssimarsi alla realtà che non sia quello generalizzante della legge
e del tipo. Anche per W. Windelband la f. ha un suo ambito di autonomia
in quanto scienza critica dei valori universalmente validi.
In E. Husserl si riaffaccia l’idea della f. come scienza rigorosa: le
essenze, che secondo il suo metodo vengono intuite, non sono fatti né
astrazioni tratte dai fatti, ma hanno la caratteristica della purezza,
paragonabile alle nozioni matematiche. Dunque forte accento
antirelativistico, e tuttavia forte accento antioggettivista:
l’oggettivismo delle scienze ha qualcosa di dogmatico se pretende di
esaurire l’oggetto compreso. Prima dell’oggettivazione c’è un processo
fluido, c’è il mondo della vita, che è il presupposto
dell’oggettivazione.
12. Dall’esistenzialismo all’ermeneutica
Non meno e anzi più vigorosamente di Husserl, M. Heidegger polemizza
con il pensiero oggettivante e calcolatore. In Essere e tempo egli
mostra come le astrazioni concettuali presuppongono le esperienze
vissute, di cui quelle astrazioni sono i derivati non più vivi. Anche
la seconda fase della sua f. è caratterizzata dalla polemica contro il
pensiero oggettivante (la metafisica e lo spirito scientifico). Al
centro della sua riflessione non è più quel particolare ente che è
l’uomo, bensì l’Essere. Ora tale Essere è ben lungi dall’identificarsi
con l’essere realissimo, perché è fluidità e temporalizzazione,
manifestazione e nascondimento: è l’Essere possibile, le sue infinite
possibilità, che si sono manifestate, che non si sono manifestate, o
che potranno manifestarsi, ed è dunque per eminenza non mai totalmente
presente, non mai circoscrivibile. Il possibile è perciò più alto del
reale e lo ricomprende. In entrambe le fasi del suo pensiero abbiamo
dunque una posizione rigorosamente finitista, onde l’uomo tende verso
l’Essere, o, inautenticamente, si allontana da lui, e un rigoroso
antirazionalismo: il pensiero discorsivo non ci avvicina ma ci
allontana dall’Essere, verso il quale semmai tendono i poeti, o meglio
alcuni poeti, e la sapienza riposta in certe parole ‘originarie’.
L’impostazione finitista è anche alla base della f. ermeneutica (H.G.
Gadamer), di evidente e confessata ispirazione heideggeriana. Essa
prima di comprendere riflette sulla comprensione, sulle condizioni del
comprendere, e trova che comprendere è interpretare, è quindi
condizionato dalla situazione di chi interpreta. Ma se tutto è
interpretazione nulla è indiscutibile, tutto è soggetto a revisione.
L’intento della f. ermeneutica è, ancora una volta, antioggettivista:
essa nega le assolute trasparenze. L’umile ascolto e non il superbo
vedere è l’appropriata metafora del pensare.
13. La f. come chiarificazione e analisi
L’antica idea della f. come analisi e come liberatrice da fattori di
confusione concettuale si ritrova nella filosofia analitica. Tale idea
viene per es. espressa da B. Russell quando afferma che solo attraverso
rigorosi metodi di analisi è possibile purificare e trasformare, e con
ciò rendere corrette e feconde, nozioni altrimenti vaghe e
approssimative e fonti di errori come intelletto, materia, coscienza,
conoscenza, esperienza, causalità, volontà, tempo.
Da parte sua L. Wittgenstein afferma nel Tractatus: «fine della
filosofia è la chiarificazione logica del pensiero. La filosofia non è
dottrina, ma attività. Un’opera filosofica consiste essenzialmente in
elucidazioni. Frutto della filosofia non sono delle proposizioni
filosofiche, bensì il chiarificarsi delle proposizioni». Nella seconda
fase del suo pensiero Wittgenstein parla di una pluralità di linguaggi,
correlativi di altrettante ‘forme di vita’, ossia contesti culturali
entro i quali quei linguaggi sono intelligibili (e con ciò sembra
affiorare una movenza hegeliana, oltre che ermeneutica).
R. Carnap osserva che i problemi metafisici sono pseudoproblemi e le
proposizioni correlative pseudoproposizioni; bisogna dunque operare una
purificazione che elimini dalla f. gli elementi non scientifici, e con
ciò la logica della scienza prenderà il posto «di quell’inestricabile
groviglio di problemi che è noto sotto il nome di filosofia». A.J. Ayer
dice egualmente che il filosofo non deve ricercare principi primi, né
enunciare giudizi a priori intorno alla validità delle nostre credenze
empiriche, ma limitarsi a lavori di chiarificazione e di analisi.
14. Il dibattito attuale
Un rinnovato modo di intendere l’attività conoscitiva (scienza inclusa)
in rapporto con la storia e con una dimensione interpretativa
alternativa ai tradizionali tentativi di fondazione/">fondazione
normativa ha interessato trasversalmente entrambe le aree filosofiche
in cui si è soliti ormai distinguere la riflessione filosofica, quella
analitica e quella continentale, intendendo con la prima etichetta
l’insieme della produzione filosofica angloamericana, tradizionalmente
caratterizzata da un approccio linguistico ai temi filosofici, con la
seconda la produzione europea che, in larga misura, si riconosce nella
f. ermeneutica. Il riconoscimento dell’impossibilità di mantenere
ancora salda una concezione della verità come acquisizione di un sapere
oggettivo, indipendente da presupposizioni culturali, dai contesti
sociali e dai mutamenti storici ha segnato, direttamente o
indirettamente, gran parte del dibattito filosofico. Si è assistito a
una vasta convergenza, pur nel rispetto dei diversi approcci ispirati
alle diverse tradizioni filosofiche, sull’impossibilità di conseguire,
in ambito sia scientifico sia etico o estetico, certezze definitive,
immutabili e indipendenti dalla storia. Ciò ha avuto ampie e profonde
ripercussioni sull’identità stessa della filosofia.
14.1 LA PROSPETTIVA ANTIFONDAZIONISTANell’ambito della f. della
scienza, T.S. Kuhn è stato tra i primi, negli anni 1960, a porre in
evidenza il fallimento dei criteri metodologici metastorici escogitati
dall’epistemologia per il conseguimento di un sapere oggettivo. Che
questo radicale punto di vista, il quale comprensibilmente ha
alimentato il dibattito epistemologico per più di un trentennio
sconfinando inoltre in aree anche distanti dalla f. della scienza,
finisse per ridimensionare non soltanto un’influente concezione
epistemologica (quella di K.R. Popper, basata proprio sull’idea della
verità quale fine ultimo delle teorie scientifiche), ma anche un modo
di intendere la stessa indagine filosofica, fu ben presto avvertito. Le
accuse di relativismo e irrazionalismo nei confronti di Kuhn e della
sua teoria dei paradigmi incommensurabili (ossia insiemi di metodi,
presupposizioni e ontologie validi in certe epoche e non in altre)
erano in effetti la manifestazione di un disagio nei confronti di un
approccio filosofico che finiva per negare i diritti alla ‘fondazione’,
per secoli riconosciuti alla filosofia. Del resto, lo stesso Popper,
pur considerando la verità come scopo finale (e forse mai
raggiungibile) della ricerca scientifica, aveva comunque insistito,
soprattutto nell’ultima fase dalla sua riflessione, sull’impossibilità
di fornire un qualche tipo di fondazione o giustificazione a garanzia
della verità delle asserzioni scientifiche e d’altro tipo; l’unico
atteggiamento possibile era per Popper non quello che mira a conseguire
improbabili giustificazioni delle nostre asserzioni e teorie, ma quello
della critica razionale, che cerca i punti deboli di tali asserzioni e
teorie per modificarle o sostituirle con altre più plausibili, in un
processo virtualmente infinito. Se da ciò Popper traeva comunque una
teoria della razionalità, quanti, invece, si sono riconosciuti
nell’approccio kuhniano hanno accentuato piuttosto l’aspetto
caratteristicamente interpretativo della conoscenza e dei metodi
scientifici, conoscenza e metodi soggetti a mutamento storico non meno
di qualsiasi altro tipo di interpretazione, arrivando a equiparare il
compito del filosofo della scienza a quello di un antropologo che studi
il comportamento dei membri di un particolare tipo di comunità, quelle
scientifiche.
N. Goodman, uno dei più autorevoli esponenti della f. statunitense
sorta dalla commistione tra pragmatismo ed empirismo logico, era
pervenuto a elaborare una teoria generale dei sistemi simbolici il cui
compito non è quello di conferire a tali sistemi (linguaggio, scienza,
arte) improbabili fondazioni, ma di enuclearne le peculiari
caratteristiche di ‘costruzione’ (piuttosto che di descrizione) del
mondo, quest’ultimo non essendo un insieme di dati, oggetti o fatti
indipendenti dal modo in cui vengono rappresentati. Il compito della f.
consiste più precisamente nell’individuare la varietà delle forme di
costruzione simbolica elaborate nei diversi ambiti in cui si esplica
l’attività umana, senza pretendere di poterle ricondurre a un’unità o
strutturarle secondo una gerarchia di conformità a una realtà già data.
Più che di verità, Goodman preferisce parlare di correttezza e c’è una
correttezza delle asserzioni scientifiche come c’è una correttezza
delle raffigurazioni artistiche. Un ruolo di rilievo viene da lui
attribuito alla «tradizione in evoluzione» entro cui giudichiamo, per
es., i gradi di realismo di una raffigurazione pittorica,
l’accettabilità di un’asserzione scientifica o la correttezza di una
categorizzazione.
Quella di tradizione costituisce la nozione centrale anche
dell’ermeneutica. Che il soggetto conoscente sia sempre inserito in una
tradizione, che l’esperienza umana sia costitutivamente radicata nel
linguaggio da quella tramandato, attraverso cui soltanto può aversi un
accesso all’‘essere’, sono i temi filosofici fondamentali
dell’ermeneutica gadameriana. Il fatto che l’ermeneutica consideri la
conoscenza come una questione di interpretazione mediata dal linguaggio
e dalla tradizione a cui l’interprete stesso appartiene, e che, in tale
prospettiva, la stessa verità non possa più essere pensata come il
risultato incontrovertibile dell’applicazione di metodi oggettivi, ma
sia essa stessa condizionata storicamente e quindi soggetta a mutare e
ad arricchirsi nel corso dell’evoluzione storica, tutto ciò ha avuto,
ancora una volta, l’esito di depotenziare un concetto di f. come
ricerca di principi trascendentali e di un metodo come fondazione
assoluta del sapere e della conoscenza. Di qui alcune conseguenze che
hanno in larga misura condotto l’ermeneutica a incontrarsi con gli
altri indirizzi che pure hanno teorizzato l’impossibilità di
individuare criteri assoluti, metastorici, atti a garantire e
giustificare la conoscenza. La ricezione dell’ermeneutica è andata
infatti ben oltre la cultura accademica europea, e autori appartenenti
all’area analitica, prevalentemente influenzati dalla f. dell’ultimo
Wittgenstein (per es., S. Cavell, J. Margolis, H. Dreyfus, R. Rorty),
ne hanno variamente sottoscritto e sviluppato le istanze, contribuendo
a instaurare un dialogo tra le due aree che in tempi passati sarebbe
apparso impensabile.
14.2 LA ‘FINE’ DELLA FILOSOFIASe più di un orientamento ha decretato il
ridimensionamento della f. (o, quanto meno, delle sue ambizioni
sistematiche), non manca peraltro chi ne ha decretato addirittura la
fine. È il caso, per es., di Rorty, autore formatosi nella tradizione
della f. analitica, ma successivamente allontanatosene per proporre una
propria visione ‘antifilosofica’ in cui confluiscono motivi del
pragmatismo e della f. ermeneutica. Sostenitore di un radicale
antifondazionalismo epistemologico e di uno storicismo incline al
relativismo, Rorty si richiama all’ultimo Wittgenstein, a J. Dewey, a
Kuhn e all’ermeneutica di Heidegger e Gadamer per sottolineare la
contingenza e la caducità delle sistematizzazioni filosofiche e il loro
ridursi a mere ipostatizzazioni di pratiche sociali storicamente
mutevoli. La verità, di conseguenza, non è altro che ciò che viene
accettato da una comunità sulla base di regole e criteri largamente
(ancorché provvisoriamente) condivisi. Nel contestare l’immagine
professionale e scientifica che della f. hanno contribuito a dare le
principali correnti del Novecento (il neokantismo, la fenomenologia, il
neopositivismo e la f. analitica), Rorty ha auspicato il diffondersi di
una ‘cultura postfilosofica’ volta non a fornire certezze o fondazioni,
ma a mantenere viva la ‘conversazione’ sugli aspetti più vari della
convivenza umana e sui modi in cui gli esseri umani si sono
autodescritti. Se considerazioni del genere tendono ad avallare
l’immagine di una riflessione filosofica sempre meno sicura del suo
ruolo, è indubbio, d’altra parte, che le cosiddette tendenze
postmoderne (come vengono ormai di consueto definiti gli orientamenti
antifondazionalisti, relativisti e sociologizzanti) non esauriscono il
panorama filosofico contemporaneo.
Le più radicali forme di relativismo e scetticismo che tendono a vedere
nella razionalità umana e, talvolta, negli stessi principi logici
niente più che pratiche socialmente apprese e storicamente
circoscritte, sono state spesso duramente attaccate, oltre che dal già
citato Popper, da autori come D. Davidson, H. Putnam e T. Nagel, i
quali hanno in qualche modo rivendicato per la f. il ruolo autonomo di
individuare gli aspetti oggettivi e universali, comuni agli esseri
umani in quanto persone, di un insieme di principi logici,
argomentativi ed epistemici. Inoltre, se sembra essersi esaurita la f.
come indagine sui fondamenti, non si può dire altrettanto della f. come
indagine sugli aspetti più problematici delle scienze. Ne è esempio
rilevante la perdurante attualità della concezione di f. difesa da W.V.
Quine: benché sia stato tra i primi a guardare con sospetto l’idea di
una ‘f. prima’ il cui oggetto precipuo sia la teoria della conoscenza,
Quine considerava la f. in continuità con la scienza, una sorta di
riflessione critica sulla scienza che opera dall’interno, in quanto
appartiene al medesimo ‘schema concettuale’: suo scopo sarebbe
soprattutto rendere esplicito ciò che è implicito, portare alla luce e
risolvere paradossi, segnalare le entità ontologicamente problematiche.
Se, da un lato, una tale immagine della f. non comporta alcun tipo di
ricerca fondazionale, dall’altro essa presenta sicuramente un aspetto
‘professionale’. F. sempre più specializzate, con obiettivi locali e
circoscritti, sono attive nell’ambito della scienza cognitiva,
nell’ambito delle scienze fisiche e biologiche, nella metodologia delle
scienze umane e sociali, ciascuna analizzando i problemi sollevati
dalle rispettive discipline.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it