Giusnaturalismo
Corrente
filosofico-giuridica fondata su due principi: l’esistenza di un diritto
naturale (conforme, cioè, alla natura dell’uomo e quindi
intrinsecamente giusto) e la sua superiorità sul diritto positivo (il
diritto prodotto dagli uomini; ➔ diritto). Il g., durante l’antichità e
il Medioevo, era fondato sull’idea di una legge naturale, alla quale
dovevano conformarsi le leggi positive: tale idea era presente in
Aristotele, venne sviluppata dagli stoici, fissata in modo classico da
Cicerone e ripresa da Tommaso. Nel mondo moderno il g. pone invece
l’accento sull’aspetto soggettivo del diritto naturale, ossia sui
diritti innati degli individui. Oltre ad alcuni giuristi-filosofi (U.
Grozio, S. Pufendorf, C. Thomasius), sono giusnaturalisti alcuni tra i
massimi pensatori politici dell’Età moderna: T. Hobbes, J. Locke, J.-J.
Rousseau, I. Kant. Costoro condividono un ‘modello’ fondato sui
seguenti elementi: stato di natura (la condizione prepolitica in cui
vivono gli individui, liberi ed eguali), il patto o contratto come
strumento per far sorgere lo Stato e lo Stato civile o politico (nel
quale le leggi civili sostituiscono le leggi naturali). Ma ognuno di
essi declina in modo differente tale modello, a seconda della propria
concezione antropologica e politica: Hobbes teorizza uno Stato
assoluto, Locke e Kant uno Stato liberale, Rousseau uno Stato
democratico (ma non liberale). L’idea centrale del g. moderno -
l’esistenza di diritti individuali innati - trovò la propria
consacrazione nel documento più celebre della Rivoluzione francese, la
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789).
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it