individuo
Ogni singolo ente in quanto distinto da altri della stessa specie; in particolare, l’uomo considerato nella sua singolarità.
DIRITTO
Nel diritto internazionale, il tema della condizione giuridica dell’i.
è discusso soprattutto in relazione alla tutela internazionale dei
diritti umani. Ci si interroga, in particolare, se le norme
consuetudinarie e pattizie in materia abbiano come destinatari, oltre
ai soggetti ‘classici’ (Stati, organizzazioni internazionali), anche
gli individui.
Una parte della dottrina riconosce all’i. una personalità
internazionale, seppure limitata, derivante dalla circostanza che le
convenzioni sui diritti umani lo rendono destinatario delle norme in
esse contenute (per es., i patti dell’ONU sui diritti civili e politici
e sui diritti economici sociali e culturali, o la Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali)
e contemplano il suo potere di azione (diritto di ricorso individuale)
di fronte a organi internazionali (Corte europea dei diritti dell’uomo,
Commissione inter-americana, Comitato sui diritti umani e altri organi
quasi-giurisdizionali).
Altra parte della dottrina continua invece a ritenere che tutte le
norme del diritto internazionale, comprese quelle relative alla
protezione dei diritti umani, possano avere effetto nei confronti degli
i. solo per il tramite della legislazione statale, adottata per
conformare il diritto interno agli obblighi internazionali dello Stato
(Adattamento del diritto interno al diritto internazionale).
La responsabilità degli i. per crimini internazionali. - Il tema della
soggettività internazionale degli i. si intreccia, con quello della
responsabilità penale dell’i.-organo che commette un crimine contro la
pace, contro l’umanità o un crimine di guerra. In alcuni casi, le norme
in tema di crimini internazionali (per esempio, gli statuti dei
tribunali penali internazionali e quello della Corte penale
internazionale) si indirizzano direttamente agli autori di tali
crimini, rafforzando l’opinione circa l’esistenza di una limitata
soggettività internazionale degli i., quali destinatari di alcune norme
del diritto internazionale.
economia
L’individualismo economico è una concezione fondamentale degli
economisti classici secondo la quale la società non è che la somma di
i., guidati ciascuno nel loro agire dalla naturale disposizione a
realizzare la massima soddisfazione o a sopportare il minimo sforzo;
basta quindi indagare l’agire del singolo per dedurre le leggi
economiche e basta lasciare libero l’i. di perseguire il proprio
interesse per assicurare il massimo benessere della collettività.
Razionalismo, giusnaturalismo e utilitarismo confluiscono in questa
concezione, che in realtà i classici intesero meno drasticamente di
quanto sia stato loro attribuito, ma che comunque caratterizzò il loro
pensiero e suscitò successivamente le reazioni del neomisticismo, del
nazionalismo, del socialismo e dello storicismo.
Secondo la dottrina dell’individualismo metodologico ogni fenomeno
economico va spiegato in termini di azioni e preferenze individuali.
Questo principio, formulato originariamente da C. Menger in polemica
con le tesi della scuola storica, è stato poi sostenuto anche da M.
Weber (che lo estese al campo delle scienze sociali), da J.A.
Schumpeter (che coniò l’espressione e distinse l’individualismo
metodologico da quello etico-politico) e da F.A. von Hayek. Influenzato
soprattutto da quest’ultimo, K.R. Popper si è richiamato a questa
dottrina in polemica con il collettivismo e l’olismo dell’economia e
delle teorie politico-sociali marxiste. A partire dagli anni 1950,
soprattutto in seguito alla diffusione delle tesi di Popper, si è
originato un vivace dibattito, nella filosofia della scienza
anglo-americana, sulla legittimità del principio dell’individualismo
metodologico, spesso criticato per l’avvertita impossibilità di ridurre
le proprietà dei collettivi al comportamento degli i., in base al
principio secondo cui la totalità è più della somma delle parti.
FILOSOFIA
Il termine i. ha una corrispondenza etimologica nel termine gr. ἄτομος
(comp. di ἀ- privativo e tema di τέμνω «tagliare», quindi indivisibile)
e con questo etimo è entrata nel linguaggio filosofico dell’antichità
con Leucippo e, soprattutto, con il suo scolaro Democrito, che la
usarono per indicare ciascuno dei componenti ultimi, indivisibili e
inalterabili, del reale, dalla cui aggregazione e separazione dipendono
rispettivamente la generazione e la distruzione. Aristotele notò che
l’atomo democriteo, per quanto piccolo, è pur sempre ulteriormente
divisibile in quanto realtà materiale, estesa, senza un interiore
principio di unità. Il vero i. doveva piuttosto trarre il suo esser
tale da un principio d’intelligibilità, la forma: già Platone aveva
parlato di εἶδος ἄτομον in quanto l’idea, esprimendo la realtà vera
oggetto di pensiero, è un tutto non ulteriormente divisibile;
approfondendo questo concetto nella polemica contro gli atomisti,
Aristotele affermò che l’individualità concreta è il sinolo, veramente
i. non perché inesteso ma perché dotato di un principio intelligibile
d’interiore unità che è la forma. Per Aristotele tutte le sostanze
(sinoli) sono i.: di qui sorse la tradizionale concezione
dell’individualità come carattere essenziale della sostanza,
indipendente nella sua esistenza e non predicabile, bensì soggetto di
predicati.
Nel linguaggio della scolastica si disse principium individuationis il
principio determinante dell’individualità. Poiché nella concezione
aristotelica l’individualità risultava dal confluire della materia e
della forma, nella controversia circa il principio d’individuazione si
discusse se tale fosse la materia, in quanto determinatrice
dell’universalità della forma, o la forma, in quanto determinatrice
dell’indefinitezza della materia. La seconda tesi fu sostenuta da
Giovanni Duns Scoto, la prima da Tommaso d’Aquino. Queste due tesi
divennero le tipiche soluzioni date al problema dagli ordini domenicano
e francescano, e dettero luogo a interminabili discussioni. Delle
soluzioni moderne del problema meritano un particolare rilievo quella
cartesiana, che pone l’individuazione nel pensiero (se penso, sono), e
quella rosminiana, che la pone nel sentimento fondamentale.
Con significato più generale, individualismo è ogni dottrina che
accentui l’autonomia e la differenziazione delle realtà singole, in
contrasto con la loro inserzione in un quadro totalizzante. In senso
più specifico, si dice individualismo ogni dottrina che rivendichi i
diritti della singola persona contro la sua subordinazione a un sistema
che lo trascenda. Questa rivendicazione ha informato soprattutto il
pensiero politico e quello economico. Dottrine politiche ispirate
all’individualismo sono quelle secondo le quali le leggi, lo Stato e la
società debbono in ultima analisi servire al benessere degli i.,
traendo da ciò ogni giustificazione; l’individualismo così concepito è
alla base di varie forme di contrattualismo e di liberalismo. Nelle
teorie economiche l’individualismo ha avuto la sua manifestazione più
importante nella dottrina del liberismo, che insiste sulla libertà del
mercato, cioè sulla libera iniziativa economica dei singoli non
soggetta a interferenze da parte dello Stato, come principale fattore
di progresso. Oltre che in questi significati, il termine è stato
frequentemente utilizzato anche per indicare l’affermazione
dell’individualità egoistica o anarchica.
PEDAGOGIA
Metodi d’individualizzazione sono quelli volti a promuovere lo
svolgimento dell’attività scolastica adattandola all’individualità del
singolo scolaro, cioè alla sua struttura psicologica, alle sue
attitudini, alle sue vocazioni.
PSICOLOGIA
Nella psicologia di C.G. Jung, l’individuazione è il processo che
conduce il soggetto alla maturità psichica, creando un suo nuovo
rapporto con la psiche collettiva e conciliando in lui le opposizioni
primordiali (maschio-femmina, cosciente-incosciente ecc.) prima solo
antitetiche e non complementari. Il fallimento lungo tale processo
sarebbe espresso dalle nevrosi.
A. Adler nel 1911 chiamò psicologia individuale la sua dottrina, per
distinguerla dalla psicanalisi di S. Freud. La parola intendeva
sottolineare la considerazione dell’i. come unità inscindibile sia in
sé sia nei rapporti con la società. Particolare rilievo assume in
questa prospettiva il ruolo dei meccanismi compensatori, attivati nel
soggetto sia da fattori ereditari (per es., inferiorità organiche) sia
da pressioni ambientali. L’insieme di tali meccanismi determina quello
che Adler chiama lo stile di vita dell’i. (concetto che sottolinea il
finalismo, cosciente o incosciente, degli atti psichici, compresi i
processi psiconevrotici). Nel corso dello sviluppo psichico normale la
loro azione permette un processo di compensazione che porta al
superamento dei sentimenti d’inferiorità originatisi in età infantile.
Un esito negativo di questo processo ha invece come risultato lo
stabilirsi di quel complesso di inferiorità che, soffocando le capacità
di autorealizzazione dell’i. e inibendone le possibilità creative,
costituisce un fattore primario nell’insorgere dei disturbi nevrotici.
L’i. è così impossibilitato ad abbandonare la posizione egocentrica per
passare allo stadio più maturo della cooperazione con gli altri (amore,
lavoro, società) e in questo consiste essenzialmente la nevrosi. Sul
piano terapeutico scopo precipuo è quindi quello di effettuare una
correzione delle erronee impostazioni derivanti nell’i. da uno stile di
vita inadeguato. L’indirizzo adleriano, che si configura,
contrariamente alla psicanalisi freudiana, come direttivo-educativo, ha
esercitato un certo influsso sulla pedagogia.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it