Immanuel Kant
Filosofo (Königsberg 1724 -
ivi 1804). Di genitori pietisti, K. ricevette, specie dalla madre, una
severa educazione etico-religiosa: frequentò il Collegium
Fridericianum, diretto dal pastore F. A. Schultz, dove compì gli studî
medî, e s'iscrisse quindi all'università. Seguace dapprima del
wolffiano Martin Knutzen, critico della dottrina dell'armonia
prestabilita e interessato a problemi scientifici, K. esordisce con lo
scritto Gedanken von der wahren Schätzung der lebendigen Kräfte (1747),
tentando un accordo tra le posizioni della fisica cartesiana e il
dinamismo leibniziano. Fino al 1754 i suoi studî vertono principalmente
su questioni di geofisica ed è del 1755 l'opera maggiore
sull'argomento, la Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels,
in cui è formulata, prima di P. S. Laplace, un'ipotesi analoga
sull'origine del sistema solare (v. oltre). Dello stesso anno è anche
lo scritto minore De igne, sui problemi della combustione e del calore.
Andava intanto svolgendo un'attività didattica intensissima nei campi
più disparati, tenendo corsi di matematica, fisica, logica, morale,
geografia fisica e successivamente di antropologia, pedagogia, ecc. La
sua attività speculativa si traduce in una serie di scritti che
inquadrano il problema metafisico del rapporto tra le sostanze
(Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova dilucidatio, 1755)
e le sue conseguenze per le scienze fisiche (Monadologia physica, 1756;
Neuer Lehrbegriff der Bewegung und Ruhe, 1758). Dopo il 1760, pur
muovendosi ancora nell'ambito del wolffismo, gli spunti critici contro
le teorie di G. W. Leibniz s'infittiscono e i dubbî e le perplessità
aumentano: sia che si cerchi di salvare l'argomento ontologico, pur
negando all'esistenza il carattere di predicato (Der einzig mögliche
Beweisgrund zu einer Demonstration des Daseins Gottes, 1763) o si noti
l'insufficienza della logica tradizionale (Die falsche Spitzfindigkeit
der vier syllogistischen Figuren, 1762) o si tenti di introdurre in
filosofia strumenti di origine matematica (Versuch, den Begriff der
negativen Grössen in die Weltweisheit einzuführen, 1763); sia che si
indaghi sui fondamenti della teologia naturale e della morale,
sottolineando il diverso modo di procedere della filosofia rispetto a
una scienza tradizionalmente certa come la matematica (Untersuchung
über die Deutlichkeit der Grundsätze der natürlichen Theologie und der
Moral, 1764). Lo scetticismo kantiano si rivela infine chiaramente nel
saggio del 1766 Träume eines Geistersehers erläutert durch Träume der
Metaphysik, in cui l'arbitrarietà del visionarismo di Swedenborg viene
paragonata alle fantasticherie senza base dei metafisici contemporanei.
Il breve scritto Vom ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im
Raume (1768) vuole essere una presa di posizione definitiva contro le
teorie leibniziane sullo spazio, aprendo così la via a un'impostazione
completamente nuova del problema.
Nel 1770 K. inaugura il suo ordinariato all'università di Königsberg
con la famosa dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis
forma et principiis, che chiude il cosiddetto periodo precritico. Vi si
trovano infatti espresse alcune delle tesi che verranno successivamente
inglobate nella filosofia critica. Si è a lungo discusso tra
gl'interpreti sui motivi di questa svolta decisiva che spinge K. a
incamminarsi sulla via del criticismo; sembra tuttavia problematico
fornire una singola causa dell'evoluzione di K., data la complessa
interazione dei varî fattori (le dottrine empiriste di J. Locke e, in
special modo, di D. Hume, le posizioni critiche dei filosofi tedeschi
contemporanei nei confronti della tradizione - Ch. A. Crusius, J. H.
Lambert, J. N. Tetens; la consapevolezza delle antinomie in cui si era
impigliato fino allora il suo pensiero, ecc.). Secondo la Dissertatio
spazio e tempo rappresentano gli unici due principî del mondo
sensibile, e vanno considerati non come dati reali, ma come intuizioni
pure, modi soggettivi d'intuizione. Essi costituiscono al tempo stesso
condizioni universali e necessarie, dunque a priori, della nostra
esperienza sensibile. Qualsiasi esperienza quindi, in quanto possibile,
dovrà disporsi in un contesto spazio-temporale; le sue caratteristiche
formali saranno cioè predeterminate. Questo significa l'abbandono della
tesi di Hume secondo la quale una conoscenza, per essere valida, deve
essere fondata sull'esperienza e non può quindi in nessun caso
rivestire carattere di necessità, carattere che discenderebbe
esclusivamente da principî normativi che l'esperienza stessa non ci
fornisce. Sulla base di questa concezione kantiana, appare
immediatamente possibile la giustificazione della geometria come
scienza pura; non altrettanto agevole si presenta invece la
fondazione/">fondazione d'una scienza fisica. Se spazio e tempo
infatti sono le condizioni a priori del nostro modo di "ricevere" gli
oggetti, e in questo senso li condizionano, è problematico ammettere
che anche il nostro modo di pensarli, che non è certo una creazione
degli oggetti stessi, possa analogamente condizionarli. Viene così
introdotta, con estrema nettezza, quella separazione, che sarà poi
definitivamente sancita nella Kritik der reinen Vernunft (1781), tra
una facoltà recettiva, dunque passiva (la sensibilità), e una facoltà
spontanea e attiva (l'intelletto). Affiora inoltre un'altra
fondamentale posizione del pensiero kantiano: la distinzione cioè tra
ciò che è oggetto della nostra esperienza (fenomeno) e ciò che è per
sé, indipendentemente da essa (cosa in sé), distinzione che giocherà un
ruolo determinante nel sistema di K. e che può essere considerata una
caratteristica ineliminabile del kantismo. L'indagine del "mondo
intelligibile" si avvolge dunque in gravi difficoltà. L'uso "reale"
dell'intelletto che K. sostiene, conduce infatti a elencare una serie
di concetti con cui pensiamo i rapporti tra oggetti: possibilità,
esistenza, necessità, sostanza, causa. Ma questi concetti non ci
consentono di affermare nulla sull'effettiva esistenza degli oggetti;
"pensiero" qui non equivale a "conoscenza" e spazio e tempo sono
soltanto principî soggettivi. Nella chiusa della Dissertatio pare
ritornare come unica soluzione il concetto, così discusso, di armonia
prestabilita. Il problema della fondazione della fisica rimaneva in
effetti irrisolto. Il decennio successivo, fino alla pubblicazione
della prima edizione della prima Kritik, vede K. impegnato in questa
direzione. È un decennio in cui compaiono pochissimi scritti, ma
gl'inediti (Duisburger Nachlas e Lose Blätter) attestano un continuo,
travagliatissimo lavorio di riflessione. Scompare il concetto di unità
del mondo su cui K. si era soffermato nella Dissertatio e s'impone al
suo posto la questione di un'unità dell'oggetto. I concetti puri già
emersi in quest'opera diventano il punto di partenza per approntare
quella tavola delle categorie (derivata da manuali di logica e di
psicologia dell'epoca), come funzioni di unificazione dell'intelletto,
che sarà a base della nuova logica trascendentale (v. oltre). Il
problema gnoseologico, dopo varî tentativi e oscillazioni, assume la
sua forma definitiva e rigorosamente logica: "come sono possibili
giudizî sintetici a priori?".
La Kritik der reinen Vernunft introduce questo nuovo concetto,
accantonando la tradizionale opposizione di analitico e sintetico. Il
piano su cui si muove l'indagine critica è quello trascendentale, cioè
quello dell'indagine non sull'oggetto ma sul nostro modo di conoscerlo.
L'Estetica trascendentale svolge la teoria delle forme pure
dell'intuizione, già sistematizzata nello scritto del 1770: la parte
originale è peraltro la Logica trascendentale, suddivisa a sua volta in
Analitica e Dialettica. Nella prima parte dell'Analitica si delinea la
struttura dell'intelletto, prendendo come base la logica tradizionale e
la sua classificazione dei giudizî; il collegamento necessario
istituito tra tavola dei giudizî (fondata sulla logica tradizionale) e
tavola delle categorie permette a K. di elencare in maniera esaustiva
le forme con cui l'intelletto unifica il materiale sensibile offerto
nell'intuizione spazio-temporale. Esiste un unico "filo conduttore" di
ogni possibile forma di giudizio; l'unione della copula e del predicato
effettuata nel giudizio corrisponde infatti alla funzione di
unificazione rappresentata dalla categoria; è proprio questa
corrispondenza che permette il passaggio tra le due tavole. Le
categorie, secondo questa impostazione, possono essere soltanto le
dodici seguenti, suddivise in quattro gruppi; quantità: unità,
pluralità, totalità; qualità: realtà, negazione, limitazione;
relazione: sostanza-accidente, causa-effetto, azione reciproca;
modalità: possibilità, esistenza, necessità. Questa struttura
dell'intelletto, stabilita una volta per tutte, sarà il fondamento di
quella metafisica "immanente" cui K. ha continuamente aspirato. Questa
metafisica dovrebbe, nelle intenzioni di K., soddisfare a due esigenze
basilari: essere al tempo stesso una scienza, contrapponendosi
all'arbitrio delle sistemazioni tradizionali, e fondare quella fisica
newtoniana che per K. è il paradigma della scientificità e il punto di
riferimento costante dei suoi interessi scientifici (alcuni studiosi
hanno visto peraltro nella tavola delle categorie una chiara
attestazione della circolarità del procedimento kantiano, inteso a
modellare la struttura dell'intelletto secondo le esigenze di
fondazione della fisica newtoniana). La metafisica dovrebbe porsi cioè
come una scienza dell'intelletto e del suo necessario correlato, una
natura possibile in generale (per il tentativo compiuto da K. di
giungere a una sistematica in tal senso si vedano i Metaphysische
Anfangsgründe der Naturwissenschaft, 1786). Rimane peraltro da
risolvere, una volta fissata la tavola delle categorie, il problema
della Dissertatio. In che senso la struttura dell'intelletto sarà anche
la struttura della natura? È il punto centrale della cosiddetta
deduzione trascendentale, su cui K. si arrovellò a lungo e che risulta
cronologicamente l'ultima parte della Kritik (nella 2ª ed., pubblicata
nel 1787, K. rimaneggiò ampiamente la deduzione, sopprimendone tutti
quegli aspetti che potessero indurre a confondere la dimensione
oggettiva del suo discorso sull'intelletto con quella psicologica). Il
materiale offertoci dai sensi non può essere unificato in una unità
meramente psicologica, puro accostamento di rappresentazioni (per
associazione); quest'unità di tipo empirico avrebbe infatti una
semplice validità soggettiva. Ma l'oggetto, inteso come oggetto di
conoscenza in senso rigoroso, non può certo coincidere con un materiale
oggettivamente strutturato. L'unificazione dunque deve avvenire secondo
le categorie, funzioni dell'intelletto, elementi d'una struttura
universalmente e oggettivamente valida. Ma la funzione unificatrice
delle varie categorie si fonda a sua volta sull'attività unificatrice o
sintetica dell'intelletto. Se l'esperienza dunque deve, in quanto tale,
essere esperienza per una coscienza, è necessario che essa si adegui a
quella forma pura (perché assolutamente priva di contenuto) che rende
possibile la coscienza o meglio la sua unità trascendentale. L'unità
dell'oggetto rimanda quindi a quest'attività originaria dell'intelletto
("io penso", o "unità sintetica originaria dell'appercezione"). Resta
da determinare quali aspetti assuma il processo di unificazione in
relazione alle varie categorie. Le unificazioni avvengono secondo
regole che l'intelletto stesso determina (l'immaginazione, introdotta
dapprima nella 1ª ed. come una terza facoltà accanto alla sensibilità e
all'intelletto, svolge ora un ruolo subordinato). S'introduce qui la
nozione di schema trascendentale: esso è una regola per cui il senso
interno (il tempo) viene a determinarsi a seconda delle categorie. Se
le categorie si applicano direttamente al tempo, esse si applicheranno
dunque indirettamente a tutta l'esperienza, proprio perché l'esperienza
tutta non può non porsi nella forma del senso interno (anche le
impressioni sensibili, che vengono condizionate dal senso esterno e
collocate spazialmente, sono poi colte nella forma del senso interno).
L'esperienza si costituisce quindi indirettamente con modalità
determinate dalla struttura dell'intelletto che assume in conseguenza
una funzione di legislatore ("legislatore della natura"). K. passa ora
a individuare le varie schematizzazioni delle categorie. Quantità e
qualità si schematizzano nel numero e nel grado, mentre le categorie di
relazione si schematizzano distintamente nella permanenza, successione
e simultaneità; a quelle modali corrispondono gli schemi delle
rappresentazioni della cosa in qualsiasi tempo, in un determinato
tempo, in ogni tempo. Gli schemi mediano quindi tra intuizioni e
categorie, permettendone l'applicazione all'esperienza; ne deriva la
possibilità di stabilire alcuni "principî sintetici dell'intelletto
puro" che sono rispettivamente gli assiomi dell'intuizione, le
anticipazioni della percezione, le analogie dell'esperienza e i
postulati del pensiero empirico in generale. Le analogie
dell'esperienza, derivate dalla schematizzazione della categoria di
relazione, enunciano i principî di permanenza della sostanza, di
causalità e di eguaglianza tra azione e reazione, che sono i concetti
base della scienza fisica del tempo. Nella Dialettica trascendentale K.
si propone di giustificare il continuo riproporsi dell'esigenza
metafisica e di esaminare la legittimità della metafisica stessa
(intesa nel senso tradizionale, cioè come metafisica trascendente) in
quanto fonte di conoscenza. Il fatto che le categorie valgano come
strumenti conoscitivi nell'ambito di qualsiasi esperienza (che siano
cioè applicabili alle intuizioni, sia pure, sia sensibili) ingenera
inevitabilmente l'illusione che la loro sfera di applicazione possa
indefinitamente estendersi, anche al di là dell'esperienza. Ne consegue
l'affermarsi di discipline come la psicologia razionale, la cosmologia
razionale e la teologia razionale. Proprio partendo dalle antinomie cui
dà luogo la cosmologia razionale K. era dapprima approdato alla
filosofia critica. Ora egli dimostra l'infondatezza delle pretese di
queste discipline (pretese di dimostrare rispettivamente la
sostanzialità, la semplicità, la personalità e l'immortalità
dell'anima; di dimostrare proposizioni intorno all'universo come
totalità; di dimostrare l'esistenza di Dio). La ragione, come
produttrice di idee, cioè di concetti cui non corrisponde
un'intuizione, fallisce nei suoi scopi conoscitivi, ma se non può darsi
un uso costitutivo d'esse (che serva cioè a far conoscere l'oggetto),
si darà peraltro un uso "regolativo". Le idee della ragione serviranno
cioè per indirizzare l'intelletto nelle sue conoscenze, ampliando
sempre più l'ambito dei fenomeni sottoposti alla sua indagine.
La Kritik der reinen Vernunft, nel suo complesso, aveva affrontato e
impostato in una prospettiva radicalmente nuova il problema
gnoseologico. Alcune conclusioni della Dialettica trascendentale
risultavano però di fondamentale importanza anche per quelle questioni
morali di cui K. si era andato occupando già nel periodo precritico (si
vedano le Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen,
1764, e la scoperta della morale del sentimento di J.-J. Rousseau e dei
pensatori inglesi). Nella Grundlegung zur Metaphysik der Sitten (1785)
K. delinea uno dei concetti base della sua etica, distinguendo tra due
tipi di imperativi, l'imperativo categorico e l'imperativo ipotetico.
L'imperativo categorico ha incondizionata validità di comando e si
distingue proprio per questo da un normale imperativo ipotetico, che
acquista efficacia solo a certe condizioni (se cioè colui che vi si
assoggetta è intenzionato a perseguire certi scopi). Si pone ora il
problema di una fondazione dell'imperativo categorico; come tale
l'imperativo categorico non rimanda peraltro ad alcun precedente
fondamento da cui ricavi la sua validità. Esso costituisce per noi un
dato immediato, anche se non si tratta in questo caso di un dato della
sensibilità; esso è un "fatto della ragione". Qualsiasi morale che
tenti di fondare l'imperativo su una caratteristica particolare della
natura umana non potrà quindi che ricadere nell'ambito dell'etica
tradizionale, senza attingere mai un imperativo incondizionatamente
valido. È necessario ora determinare le condizioni in cui la volontà
individuale si assoggetta alla legge morale; il presupposto essenziale
è la libertà di questa volontà, libertà che le permette di non
sottostare necessariamente a quelle inclinazioni sensibili che la
natura umana comporta e di sottrarsi quindi a quelle leggi che valgono
nell'ambito di una esperienza concepita da un punto di vista
esclusivamente teoretico. Se la volontà deve determinarsi secondo un
imperativo categorico, cadrà la possibilità di fare riferimento a
qualsivoglia contenuto come fonte di determinazione e rimarrà dunque da
prendere in considerazione solo la forma della legge nella sua
universalità, cioè nella sua incondizionata validità per qualunque
soggetto. La volontà morale dovrà quindi essere pienamente autonoma,
perseguendo il bene di per sé, prescindendo da qualsiasi sollecitazione
contenutistica; è l'intenzione buona che qualifica l'agire morale, non
il fine che esso realizza. L'unico valore morale diventa dunque il
"dovere per il dovere". Se l'imperativo morale, in quanto puramente
formale, non prescrive contenuti specifici all'azione, ciò non toglie
che determinati fini non risultino compatibili con una legge morale che
pretende ad universale validità. Nella Metaphysik der Sitten (1797) K.
cercherà d'individuare quei fini che il soggetto deve volere perché in
accordo con la forma della legge morale. Si tratta sostanzialmente di
quei fini che riguardano la propria perfezione e nello stesso tempo la
felicità degli altri. Nel mondo dell'esperienza, dove vige il
determinismo, il merito spesso non corrisponde alla felicità; da
un'azione morale, cioè, e come tale meritoria, può di fatto non
derivare alcuna felicità. Se la legge morale deve peraltro valere, è
necessaria un'adeguazione tra merito e felicità; ne segue la
postulazione dell'esistenza di un essere onnipotente (Dio), che possa,
proprio perché non sottoposto a limitazioni, effettuare questa
adeguazione; ne segue inoltre, come ulteriore postulato, al fine di
consentire un'indefinita perfettibilità, l'immortalità dell'anima. Sono
questi i cosiddetti postulati della ragion pratica già articolatamente
trattati da K. nella sua seconda critica (Kritik der praktischen
Vernunft, 1786). È proprio infatti della natura finita dell'uomo il
dover/">dover continuamente ostacolare le inclinazioni sensibili per
permettere l'affermazione della volontà morale; compiere spontaneamente
il bene non è possibile per nessuna volontà finita (impossibilitata
quindi a raggiungere quella santità che è propria solo della divinità).
Quei concetti della metafisica tradizionale che K. aveva bandito sul
piano teoretico (libertà, immortalità dell'anima, esistenza di Dio)
vengono recuperati sul piano della ragione pratica. L'esistenza di Dio
può essere provata dunque solo moralmente. In stretta connessione con
le sue concezioni etiche K. ha successivamente svolto una filosofia
della storia (Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerlicher
Ansicht, 1784; Was heisst Aufklärung, 1784; Zum ewigen Frieden, 1795),
dove si assume come presupposto interpretativo la possibilità di un
progresso che abbia come sua caratteristica principale il massimo
potenziamento della libertà individuale; una pedagogia (Über Pädagogik,
a cura di F. Th. Rink, 1803) e un'antropologia (Anthropologie in
pragmatischer Hinsicht, 1798). Che la sua dottrina morale sussuma
qualunque esigenza religiosa appare chiaro dalle tesi sostenute da K.
nella celebre opera, dapprima vietata sotto Federico Guglielmo II, Die
Religion innerhalb der grenzen der blossen Vernunft (1793); la
religione diviene semplice strumento per il raggiungimento dei principî
morali e il culto è svalutato come inadeguato a quella religiosità
strettamente razionale che K. assume come ideale.
Rimanevano esclusi dalla considerazione "critica" di K. una serie di
problemi che la terza e ultima critica, la Kritik der Urteilskraft
(1790), si propone di affrontare (opera, per i suoi temi speculativi,
particolarmente cara ai romantici). Una "natura possibile in generale"
era il necessario correlato di quella struttura dell'intelletto che K.
aveva indagato nell'Analitica trascendentale; risultava peraltro
difficoltoso individuare i rapporti di singole scienze, nelle loro
caratteristiche particolari e nel loro specifico modo di operare, con
quella scienza tutta a priori che K. era andato delineando (si
trattava, in altre parole, del problema della "lacuna" tra metafisica e
fisica: v. anche oltre). L'unità dell'organismo appariva, nell'ambito
dei corpi organici, un principio reale di strutturazione, contrapposto
a quei principî formali con cui l'intelletto pretenderebbe di
organizzare il dato. Analogamente nel caso dell'opera d'arte, il suo
configurarsi unitario sembrava dovuto a un principio immanente
piuttosto che a un'operazione intellettuale, apparentemente estrinseca.
K. cerca di risolvere i peculiari problemi relativi alla natura e
all'arte introducendo la distinzione tra giudizio determinante e
giudizio riflettente. Nel primo caso è data esplicitamente una regola
mediante la quale il particolare viene sussunto sotto l'universale; nel
secondo, l'assenza di una regola esplicita permette invece la
"riflessione" sul particolare. Non esiste, per esempio, criterio
alcuno, intersoggettivamente valido, che valga a distinguere il bello
dal brutto. Il giudizio estetico non rimane tuttavia puramente
soggettivo, dato che può essere fondato sul senso di piacere o
dispiacere che deriva dall'oggetto (piacere o dispiacere particolare,
provato cioè in presenza non di una qualsiasi sollecitazione di origine
empirica, ma in presenza della forma sensibile dell'oggetto, adeguata
alle esigenze a priori dell'intelletto). In questi casi l'oggetto dovrà
piacere, e il giudizio pretenderà quindi a una sua universalità e
necessità, pur non obbedendo l'opera d'arte ad alcuna finalità
prestabilita. La facoltà del giudizio così qualificato è il gusto,
mentre la facoltà di produrre oggetti conformi alle esigenze del
giudizio estetico è il genio. Al sentimento del bello ("bello" come
esibizione di un "concetto indefinito dell'intelletto") è connesso il
sentimento del sublime ("sublime" come "concetto indefinito della
ragione"), che rimanda alla sfera morale, di cui, d'altra parte, anche
la bellezza è un simbolo. Per quanto riguarda l'organismo, K.
sottolinea l'esigenza di una considerazione finalistica dell'oggetto,
per cui ogni elemento è reciprocamente scopo e mezzo e il tutto non
equivale a una semplice somma delle parti, ma, al contrario, ne
determina l'esistenza secondo una finalità interna (contrapposta a
quella finalità presupposta o esterna che caratterizza una struttura
meccanica). K. aveva così tentato di riportare alle leggi
dell'intelletto anche quelle leggi particolari che non venivano
direttamente determinate dalle leggi generali della natura, oggetto di
considerazione nell'ambito della problematica della prima critica. La
fondazione risultava ora peraltro nient'affatto oggettiva, pur
spiegando l'esigenza insopprimibile, ma soggettiva, di ridurre la
natura a unità. L'esistenza di una prima "Introduzione" alla Kritik der
Urteilskraft, poi sostituita, fa da spia sulle difficoltà del problema.
K. si adoperò negli ultimi anni della sua vita a tentarne la soluzione,
come risulta dai fascicoli dell'Opus postumum (pubblicato in edizione
definitiva soltanto nel 1938); assumendo come principio direttivo
l'idea di un'unità dell'esperienza, K. pretende di classificare a
priori anche quelle forze che si possono cogliere solo empiricamente,
costruendo così, in anticipo sull'esperienza, anche la fisica vera e
propria. Gli ultimi risultati della speculazione kantiana
(individuazione dell'etere come supporto delle forze motrici della
fisica, inquadramento dei costrutti che non sono suscettibili di
sperimentazione diretta come "fenomeno del fenomeno" o "fenomeno di
secondo rango") sono stati prevalentemente interpretati come prova che
K. si andava ineluttabilmente avvicinando alle posizioni dell'idealismo
assoluto, in special modo a quella che Fichte andava allora esponendo.
Altri studiosi (per es., H. J. De Vleeschauwer) hanno peraltro
considerato le tesi dell'Opus postumum come uno sbocco coerente del
pensiero di K., giungendo a ritenerlo addirittura una terza edizione
della prima critica. Negli ultimi anni della vita di K. uscirono, oltre
alla già citata Über Pädagogik, anche altre opere tratte dalle sue
lezioni (Logik, a cura di G. B. Jäsche, 1800; Physische Geographie, a
cura di F. Th. Rink, 1801-05). Postume uscirono la Philosophische
Religionslehre e le Vorlesungen über die Metaphysik (a cura di K. H. L.
Pölitz, rispettivamente nel 1817 e nel 1821).
Superato un periodo di violenti contrasti (si veda la recensione
sfavorevole di Ch. Garve alla 1ª ed. della Kritik: K. ritenne
necessario chiarire gli equivoci che l'opera aveva suscitato nello
scritto Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik, die als
Wissenschaft wird auftreten können, 1783) il pensiero di K. si era
andato decisamente imponendo nell'ambiente filosofico tedesco. Se
tuttavia gli riuscì abbastanza agevole difendersi dai sempre reiterati
attacchi dei pensatori ancorati alla tradizione (v. la polemica col
wolffiano J. A. Eberhard, Über eine Entdeckung nach der alle neue
Kritik der reinen Vernunft durch eine altere entbehrlich gemacht werden
soll, 1790), più difficile riuscì a K. fronteggiare con uguale successo
le numerose critiche che assumevano come punto di partenza il suo
stesso sistema. Già la polemica di F. H. Jacobi contro il concetto di
cosa in sé apriva le porte alle tesi idealistiche, colpendo il sistema
in un punto vitale; e i tentativi dei varî filosofi post-kantiani (per
es., di K. L. Reinhold, J. S. Beck, G. E. Schulze, S. Maimon, ecc.) di
riesporlo coerentemente o di riformularlo non riuscivano che a
individuarne ancor più chiaramente le difficoltà o ad aprire nuove
prospettive teoriche. La filosofia di K., a parte gli esiti
idealistici, fu comunque il punto di riferimento costante dei pensatori
successivi (J. F. Herbart, A. Schopenhauer, J. F. Fries, F. E. Beneke,
ecc.) e le sue implicazioni epistemologiche influenzarono pesantemente
gli ambienti scientifici tedeschi (cfr. le suggestioni "kantiane"
dell'epistemologia di H. L. F. Helmholtz). In sede filosofica, nella
seconda metà dell'800 l'esigenza di un deciso ritorno a K., al di là
delle unilaterali interpretazioni idealistiche, si faceva più viva,
fino a sboccare nell'affermazione di quella corrente di pensiero, detta
appunto neokantismo, che ebbe i suoi maggiori esponenti in H. Cohen, P.
Natorp e E. Cassirer (ma subì nettamente l'influenza di K. anche la
"filosofia dei valori" di W. Windelband e H. Rickert). Parallelamente a
questi esiti teoretico-speculativi si sviluppò in Germania una
tradizione di studî kantiani, che tendeva a fornire una spiegazione
critica del testo; sorgeva una vera e propria Kantsphilologie (i cui
principali rappresentanti furono B. Erdmann, E. Adickes e H. Vaihinger
e il cui organo fu la rivista Kantstudien, fondata nel 1896) e si
moltiplicavano anche all'estero (Gran Bretagna, Francia, Italia) i
saggi e i contributi, a riprova di un crescente interesse storico e
teorico-storico.Ipotesi cosmogonica di KantNel citato trattatello
Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels, K. tentò di
spiegare per mezzo della legge di gravitazione i successivi stadî di
evoluzione dell'intero universo, e in particolare del sistema solare,
supponendolo derivato da una grande massa caotica di gas e polvere
cosmica priva di moto, nella quale le parti più condensate dovettero
pian piano attrarre le particelle meno dense e cagionare con ciò un
primo movimento. Questi moti in direzioni diversissime avrebbero
originato frequenti collisioni, le quali avrebbero causato moti
rotatorî dei centri più condensati. Dal centro di attrazione - già in
moto sufficientemente rapido - si sarebbero staccate alcune masse di
gas (i pianeti), e da queste, ancora allo stato gassoso, alcune masse
che avrebbero dato origine ai satelliti. Di tale meccanismo fu
formulata una teoria matematica ad opera di P.-S. Laplace, onde
l'ipotesi anzidetta è anche nota come ipotesi di K.-Laplace.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it