la nevrosi del linguaggio



Nel primo capitolo di Psicologia alchemica Hillman spiega le ragioni della sua attenzione all'alchimia. E spiega perché egli ne utilizzi i termini per descrivere le forme che la nostra anima va assumendo nei diversi momenti della nostra vita.

Vorrei soffermarmi su una di queste ragioni, quella del linguaggio psicologico.

Nel corso della propria formazione uno psicoterapeuta è chiamato a studiare testi che fanno uso di un lessico psicologico preciso. Questi testi ricorrono a termini come libido, transfert, negazione, difesa, rimozione, identificazione e tantissimi altri. Queste parole-concetto sono delle convenzioni utili a capirsi e a trasmettere un certo sapere. Ma l'insistenza con la quale vengono proposti, l'abitudine e una certa tendenza alla semplificazione ne hanno fatto termini dotati essi stessi di essenza.

Il linguaggio psicologico ha perduto la distinzione tra concetto e euristica finendo per credere che l'euristica stia nella parola-concetto e che la parola in sé sia esplicativa e rappresentativa. La psicologia non considera la realtà psichica da un lato e le parole dall'altra, come meri strumenti atti a descriverla e comunicarla, ma ha appiattito l'esperienza fino a ridurre le parole a parole-esperienza. E' in questo passaggio che si insinua la nevrosi del linguaggio psicologico. La parola ha cessato di essere metafora, di aprire al "come se", di rinviare a un'altra realtà che è quella vera e l'unica che conta. La parola è divenuta il concetto e il concetto la cosa. La lettera è stata letteralizzata. Gli psicologi ormai parlano per concetti. E dimenticano che la parola è solo una ipotesi.

La società che usa un linguaggio così solidificato non solo usa un linguaggio nevrotico ma è nevrotica essa stessa.

Date queste premesse, il discorso intorno all'alchimia permette una uscita da questo vicolo cieco. L'alchimia, come arte della metallurgia, della conciatura, della tintura, della cottura degli alimenti, della preparazione dei farmaci ecc. è sempre stata concreta. L'alchimia non ha mai dovuto far ricorso in modo così unilaterale al linguaggio perché era nella forma della lavorazione delle cose che essa trovava la propria esperienza. La parola in alchimia non è mai divenuta essenza del fenomeno. L'essenza era nell'arte, nei colori e negli odori, nelle trasformazioni. La parola, solo faticosamente, cercava di rinviare a quel complesso mondo in cui uomo e cosa, operatore e opera erano inscindibilmente legati.

La psicologia alchemica non confonde la cosa con la parola usata per rappresentarla.

L'anima non si esprime per concetti ma per immagini, per esperienze concrete, per sogni aventi sempre volti, azioni, parole precise. L'anima non si anima di concetti ma di allusioni, di riferimenti chirissimi. Nei sogni con compare la parola depressione ma l'immagine della notte, del silenzio, del precipizio da una scogliera, di un mare che inghiotte ecc. E' a queste parole-immagini, parole-gesti, parole-cose che la psicologia deve tornare se vuole curare innanzi tutto la propria nevrosi, prima di avvicinarsi alla nevrosi dei pazienti.