l'importanza del setting



Nel gioco del calcio il setting sono le regole del gioco, l'orario della partita, la presenza dell'arbitro e dei guardalinee.

Dal punto di vista concreto costituiscono il setting in psicoterapia tutti gli accorgimenti che rendono possibile lo svolgimento di un colloquio: l'orario, la riservatezza, la stanza coi suoi requisiti, il compenso e la fattura, il rispetto degli orari da entrambe le parti, un preciso accordo di lavoro ecc.

Questi accorgimenti, ovviamente, non sono solo pratici, essi sono studiati per creare le condizioni migliori affinché il paziente possa lavorare su se stesso. Il setting è innanzitutto un fattore interno e psicologico nel paziente e nel terapeuta. Le regole non sono solo regole, sono il contesto che permette alla psiche di lavorare e di essere lavorata. L'esperienza maturata in tanti decenni ha permesso agli psicoterapeuti di ogni orientamento di rendersi conto dell'importanza del rispetto su alcune semplici e fondamentali norme.

Una di questa è, a mio avviso, la riservatezza del terapeuta e il fatto che il paziente non deve essere messo a corrente di nessuna cosa che lo riguardi: età, se è sposato o divorziato o single, se ha figli, dove vive, se ha un secondo lavoro, cosa ama fare nel tempo libero ecc.Ma anche, e soprattutto, che non vi siano conoscenti o parenti in comune tra terapeuta e paziente.

Non si tratta di regole ferree che non contemplano mai nessun tipo di contravvenzione ma credo che ogni terapeuta farebbe bene a mantenere una certa distanza e una certa neutralità nello svolgimento del proprio lavoro. E proverò a spiegare perché. 

Questo aspetto così delicato del setting serve a rendere il terapeuta al contempo reale e irreale. Egli è, con tutta evidenza, un appartenente alla specie umana e in quanto tale ha le esigenze, le fragilità, le necessità di ogni altro essere umano. Questo il paziente lo sa e lo percepisce in ogni colloquio. Si rende conto di avere a che fare con una persona in carne ed ossa, viva, partecipe del suo tempo, intelligente, ma anche con tutti i limiti propri degli uomini ecc. Ma il fatto che non lo conosca e che non abbia conoscenti e amici in comune con lui lo rende diafano, distante, neutro e quindi, in un certo senso, irreale.

E' proprio questa quota di irrealtà del terapeuta a rappresentare un grande vantaggio in tante terapie. Il fatto che il terapeuta sia una persona di questo mondo ma non una persona del mondo delle relazioni del paziente aiuta quest'ultimo ad aprirsi, a fare confidenze, a confessare passati difficili, se non traumatici, della propria esistenza. La neutralità del terapeuta aiuta il paziente a un primo contatto con la propria sofferenza. Egli si rende conto che ciò che afferma in seduta non giungerà mai alle orecchie delle persone che ha intorno in famiglia o al lavoro a meno che non sia lo stesso paziente a volerlo. Ciò che il paziente confida al terapeuta, grazie a un setting rigoroso, sarà al contempo detto e non detto, pubblico e privato, confessato solo a se stesso e detto anche a un altro essere umano. Detto in altri termini: il paziente, in prima battuta, confiderà il suo segreto a una parte riservata di sé, per poterla accostare ed elaborare senza troppi rischi prima di "disinnescarla" e poterla portare nel mondo.

Il setting crea quindi uno spazio intermedio tra interiorità e realtà che è utilissimo, soprattutto in certe terapie (e non si sa mai all'inizio quali possano essere), in cui un trauma giace sotto la cenere.