logica
FILOSOFIA
Disciplina che studia le condizioni di validità delle argomentazioni
deduttive.
1. La l. antica
I vocaboli ἡ λογική (τέχνη), τὰ λογικά si stabilizzarono nel
significato di «teoria del giudizio e della conoscenza» nell’ambiente
protostoico, pur conservando λογικός per tutta la grecità il valore più
antico e non tecnico di «relativo al λόγος» (nelle molteplici accezioni
di questa parola chiave del greco classico). Con tali termini si
designarono così tanto la gnoseologia, quanto la dottrina delle forme
nelle quali si muove, ragionando, il pensiero. Tale dottrina era stata,
allora, grandiosamente elaborata da Aristotele; ma come questi non le
aveva dato propriamente il nome di ‘l.’ (che adottarono invece più
tardi i peripatetici suoi seguaci) e aveva preferito chiamarla
‘analitica’, così i problemi a cui essa rispondeva non avevano la loro
genesi soltanto nel sistema aristotelico, bensì si erano venuti
formando durante l’evoluzione del precedente pensiero greco.
Il primo tentativo di sistemazione in forma scientifica delle
conoscenze logiche della filosofia greca nei suoi vari sviluppi
(dottrina del λόγος di Eraclito, eleatismo di Zenone, dottrine
eristiche dei sofisti e dialettica platonica, con la sua teoria della
divisione) si ha soltanto con Aristotele. Degli scritti logici
aristotelici raccolti nel cosiddetto Organon, sono rimasti: Categoriae,
De interpretatione, Analytica priora, Analytica posteriora, Topica, De
sophisticis elenchis. Nei Topica Aristotele tratta del ragionamento
probabile, definito come quel particolare tipo di ragionamento che si
basa su premesse verosimili accolte a livello di senso comune, non tali
da permettere conclusioni scientificamente valide. Lo studio dei τόποι
(«luoghi» della disputa) dovrebbe servire a porre ordine in un campo
tradizionalmente considerato dominio dei retori e dei sofisti, soggetto
spesso all’arbitrio dei disputanti. La trattazione viene completata dal
De sophisticis elenchis, talvolta considerato come ultimo libro dei
Topica, nel quale si classificano le aporie del ragionamento e vengono
conseguentemente fornite indicazioni per la loro soluzione. Nelle
Categoriae, dedicate peraltro più a problemi attinenti al discorso
metafisico e ontologico che a quello logico in particolare, si ha un
primo elenco dei diversi tipi di nomi (univoci, equivoci, denominativi)
e una distinzione delle espressioni secondo un criterio di unità
proporzionale (complete e incomplete): si ritrovano poi accenni a
tematiche approfondite nel De interpretatione e negli Analytica
(rapporto soggetto-predicato e teoria dell’inerenza).
L’interesse del De interpretatione sta essenzialmente nella teoria
della proposizione, che risulta così strutturata: essa si compone di
nome e di verbo e può essere universale o particolare dal punto di
vista della quantità, affermativa o negativa dal punto di vista della
qualità. Se ne può inoltre affermare (della proposizione globalmente
considerata e non quindi dei singoli termini che la compongono) la
verità o la falsità. In questo scritto s’introduce poi anche
l’importante coppia di concetti contraddittorio-contrario, che viene
così precisata: si dicono contraddittorie quelle proposizioni che, pur
risultando degli stessi termini, hanno diversa quantità e diversa
qualità («Tutti gli uomini sono dotti»; «Qualche uomo non è dotto»),
contrarie invece quelle proposizioni in cui è diversa soltanto la
qualità («Tutti gli uomini sono dotti»; «Nessun uomo è dotto»). Da
quanto finora esposto si desume che la coppia vero-falso è esaustiva
riguardo ai valori che può assumere la proposizione; il che equivale a
dire che, data una proposizione, se essa è vera, la sua contraddittoria
sarà falsa (e viceversa). Questa enunciazione sul piano logico del
principio fondamentale del terzo escluso è rimessa peraltro in
discussione a proposito degli enunciati che trattano di eventi futuri
non necessari (i cosiddetti futuri contingenti). La parte finale del De
interpretatione è dedicata poi all’esame delle proposizioni modali; si
tratta di proposizioni semplici (o categoriche) in cui il rapporto
soggetto-predicato è ‘modificato’ da uno dei seguenti termini (modi):
necessario, contingente, possibile, impossibile.
La dottrina del sillogismo trova negli Analytica priora la sua più
rigorosa esposizione (nel I libro s’inserisce anche una prima
trattazione del sillogismo modale). Nell’esposizione di tale dottrina
Aristotele impiega lettere alfabetiche al posto di termini (in
terminologia moderna, si serve cioè di variabili), determinando così
l’emergere di strutture o forme logiche rigorosamente svincolate da
qualsiasi riferimento al piano del significato. Negli Analytica
posteriora, infine, riferendosi a questa struttura sillogistica, egli
prospetta un concetto di scienza deduttiva, che è rimasto poi il punto
di riferimento obbligatorio di tutta la cultura occidentale fino al 16°
secolo. In base a questa concezione, sarà oggetto di scienza soltanto
ciò che può essere ottenuto, conformemente alle regole del sillogismo,
da principi propri di ciascuna scienza o di scienze logicamente
sovraordinate a quella in questione.
L’indirizzo logico aristotelico è proseguito da Teofrasto e da Eudemo,
suoi scolari; essi arricchirono la trattazione sillogistica,
introducendo, oltre ai sillogismi già noti ad Aristotele, anche quelli
ipotetici e disgiuntivi. Punto di arrivo di una tradizione logica non
integralmente confluita nell’opera di Aristotele è la logica megarica
(Eubulide, Diodoro Crono, Filone), ripresa, ampliata e definitivamente
sistemata dagli stoici, che portano a compimento tra l’altro le idee
dei successori di Aristotele. La logica stoica è una logica delle
proposizioni, mentre la logica aristotelica è una logica dei predicati
(o delle classi, non vuote), il che significa che mentre Aristotele si
serve di strutture logiche in cui compaiono termini (classi) e nelle
quali le variabili stanno per i termini, gli stoici individuano schemi
d’inferenza, in cui gli elementi costitutivi sono le proposizioni (e le
variabili quindi stanno per proposizioni). Particolare rilievo acquista
la concezione cosiddetta filoniana dell’implicazione, in terminologia
moderna l’implicazione materiale; l’implicazione si considera non
valida solo nel caso in cui la proposizione che funge da antecedente
sia vera e quella che funge da conseguente falsa.
Un altro settore di ricerca approfondito dagli stoici è quello dei
problemi logico-semantici: tra il segno linguistico e l’oggetto cui
questo si riferisce viene ora a interpolarsi il particolare livello
‘mentale’ del significato (λεκτόν). Notevole importanza poi è
attribuita dagli stoici ai paradossi, cioè a quei tipi di ragionamento
la cui struttura non permette in alcun modo di concludere validamente
(paradossi già noti alla tradizione megarica; famoso quello del
mentitore).
Le principali dottrine logiche si erano intanto andate diffondendo
anche in ambiente latino, trovando una precisa eco nell’opera
filosofica e retorica di Cicerone; particolare interesse da questo
punto di vista rivestono i suoi Topica, ripresi nelle sistemazioni
posteriori. Nei secoli successivi (150 d.C. circa), importante, per
l’influenza sui logici dell’Alto Medioevo, è l’opera attribuita ad
Apuleio di Madaura, Περὶ ἑρμηνείας. In essa si fornisce una
sistemazione piuttosto scolastica delle dottrine logiche relative alla
proposizione e al sillogismo categorico. Si ricorda inoltre Porfirio
(3° sec. d.C.), autore di un’introduzione o Isagoge alle Categoriae di
Aristotele, che tanta fortuna avrà nel Medioevo in relazione al
dibattuto problema degli universali. L’ultimo grande logico
dell’antichità può essere considerato Boezio (fine 5°-inizi 6° sec.
d.C.), il quale tradusse e commentò l’intera opera logica aristotelica
(nonché alcuni altri opuscoli logici, come la citata Isagoge),
continuando, in questa sua funzione di mediatore, l’opera del retore
Mario Vittorino.
2. Il Medioevo
Il Medioevo ricevette la cultura logica dell’antichità attraverso
alcuni canali, di cui il principale è rappresentato dall’opera di
traduttore e di commentatore di Boezio. Il corpus delle fonti del
pensiero logico comprendeva fino al 12° sec.: l’Isagoge di Porfirio, le
Categoriae e il De interpretatione di Aristotele (le tre opere
circolarono unite dal 9° sec., stabilmente dal 12° sec.), i commenti di
Boezio a esse e le sue opere sui sillogismi categorici e ipotetici
(questa ultima tramanda la dottrina di Teofrasto e degli stoici) e sui
topici; i Topica di Cicerone, il Περὶ ἑρμηνείας attribuito ad Apuleio,
il De definitionibus di Mario Vittorino, le Categoriae dello
Pseudo-Agostino, il De nuptiis di Marziano Capella, Cassiodoro e
Isidoro per la parte relativa alla dialettica. Ma l’acquisizione e
l’utilizzazione di questi testi fu lenta e graduale. Quando tra 9° e
11° sec. si raccomandava lo studio della dialettica, ci si riferiva
sostanzialmente alle compilazioni ricordate e alle opere di Alcuino. È
nel 12° sec. che l’influenza di Boezio divenne determinante. Quattro
delle sue opere costituirono, insieme con l’opuscolo di Porfirio e le
due opere di Aristotele, quei ‘septem codices’ che Abelardo indicò come
base della sua opera logica, dalle Glosse letterali ai commenti noti
come Logica Ingredientibus e Logica Nostrorum, alla trattazione
organica costituita dalla Dialectica.
Nel corso del 12° sec. furono tradotte le rimanenti opere logiche di
Aristotele: Analytica priora e posteriora, Topica e De sophisticis
elenchis. Si chiamò allora ars nova l’insieme delle opere aristoteliche
tradotte da poco, mentre ars vetus indicava il complesso di opere:
Isagoge, Categoriae, De interpretatione, tutto Boezio e il Liber sex
principiorum attribuito a Gilberto Porretano. I parva logicalia,
costituiti dalla dottrina della suppositio (capacità di un termine di
stare per qualcos’altro) e delle varie proprietates terminorum,
rappresentarono tra la fine del 12° sec. e l’inizio del 13° il primo
nucleo della l. moderna (così detta in contrapposizione alla l.
antiqua, comprendente ars vetus e ars nova). Una duplice tradizione
letteraria si stabilì in quel tempo: da una parte i commenti
all’Isagoge e alle opere di Aristotele (in particolare agli Analytica,
di cui il 13° sec. fece propria la concezione deduttiva della scienza),
dall’altra la trattazione organica sotto forma di summa.
All’inizio del 14° sec., la Summa logicae di Occam rappresentò il punto
di arrivo della precedente opera di approfondimento della l. moderna e,
insieme, il punto di partenza di successivi sviluppi. Sulle orme di
Occam si mossero Buridano, Alberto di Sassonia e Marsilio di Inghen sul
continente e Swineshead (Suisset), Heytesbury, Strode, Ferabrich in
Inghilterra. Questi maestri portarono a maturazione le dottrine che
formavano la l. moderna, ormai comuni a tutti i maestri perché apprese
nei corsi universitari. Fu da essi coltivata l’analisi dei sophismata
(proposizioni che richiedono un’accurata analisi dei sincategoremi, in
particolare di quelli impliciti nei vari termini, per una corretta
interpretazione), degli insolubilia (proposizioni di difficile
soluzione, che danno luogo ad antinomie), delle obligationes (regole
della disputa scolastica).
Una posizione a parte rispetto a questo tipo di l. occupa quella
tentata da R. Lullo: si trattava per lui di definire un’ars capace
d’individuare i principi primi della realtà e tradurli in simboli
(alfabetici, numerici ecc.) per poter poi organizzare dimostrazioni
inoppugnabili per la loro struttura e rispondenti alla realtà, e quindi
alla verità, in virtù della corrispondenza tra principi logici e
principi ontologici.
3. L’età moderna
Nel Rinascimento, con il rifiuto umanistico delle sottigliezze logiche
degli scolastici che, alla lunga, portavano al depauperamento del
linguaggio inteso come strumento di comunicazione, e la lettura
filologicamente attenta di Aristotele e dei suoi commentatori antichi,
la l. medievale esaurì il suo compito. Sopravvisse tuttavia
nell’insegnamento universitario e, in particolare, nella scolastica
iberica fino al Seicento. Contemporaneamente si tentarono nuove
interpretazioni e definizioni della l.: da un lato sottolineando i suoi
rapporti con la retorica e la supremazia di questa, dall’altro
rivolgendo in particolare l’attenzione ai problemi di metodo. In questa
seconda prospettiva notevole è la l. di P. Ramo e di G. Zabarella. Ma
in altri ambienti, soprattutto quelli della nuova scienza, si veniva
maturando un diverso concetto di l.: messa in crisi la l.
aristotelico-scolastica con la denuncia del suo carattere astratto e
verbale che allontanava dalla realtà sostituendo parole a cose, la l.
si veniva definendo in termini operativi in connessione con le
necessità della ricerca scientifica: così in Bacone la l. o novum
organum si pone come metodologia della scienza sperimentale e vuole
indicare il corretto modo di procedere per giungere a quelle
definizioni e assiomi che la sillogistica tradizionale anteponeva
all’esperienza. La critica di Bacone al sillogismo e il tentativo
d’individuare le regole (tabulae) per un corretto ordinamento
dell’esperienza saranno poi ripresi dall’empirismo moderno.
Il problema del metodo come cuore di una nuova l. è parimenti centrale
in Descartes: già nelle Regulae ad directionem ingenii le regole della
nuova scienza, che ha per modello quello matematico, trovano il loro
fondamento nel concetto di intuizione come atto con cui la mente coglie
con chiarezza ed evidenza la verità così delle ‘nature semplici’, o
prime nozioni per sé note, come dei momenti successivi del processo
deduttivo che a quelle ‘nature’ si riconnette; ai precetti delle
Regulae faranno seguito, come loro essenziale compendio, le quattro
regole del Discours de la méthode, in cui ancora una volta il criterio
dell’evidenza (o dell’intuizione chiara e distinta) costituisce il
fondamento primo del metodo e la regola somma del discorso filosofico.
Strettamente connessa all’insegnamento di Descartes – e preoccupata
dall’altro lato di ricollegarlo a tradizionali motivi scolastici, ma
anche con nuovi interessi per i problemi del significato – è la Logique
ou art de penser di A. Arnauld e P. Nicole, nota come l. di Port-Royal.
Grande rilievo assume il problema della l. in Leibniz, che riprende
suggestioni della tradizione lulliana.
I. Kant, il cui contributo alla l. in senso tradizionale non può essere
considerato di grande originalità, è il teorizzatore di una l. (detta
trascendentale) che, pur assumendo come sua condizione preliminare e
indispensabile la l. formale, mira a costituirsi come disciplina
autonoma. Mentre la l. formale si occupa, secondo Kant, delle leggi del
giudizio, prescindendo rigorosamente dai contenuti, la l.
trascendentale si occupa di fondare una particolare classe di giudizi,
quelli sintetici a priori (che Kant aveva distinto sia dai giudizi
analitici sia da quelli sintetici). Essa diviene quindi una scienza che
tratta dell’origine, dell’estensione e della validità degli elementi a
priori della conoscenza. Abolite, nell’ambito dell’idealismo, le
distinzioni tra l., ontologia e metafisica, sarà possibile identificare
la l. con un particolare sistema di metafisica (identità espressamente
teorizzata da Hegel). Così tutte le teorie logiche dei pensatori che si
richiamano in vario modo alla filosofia hegeliana (F.H. Bradley e B.
Bosanquet in Inghilterra, B. Croce e G. Gentile in Italia) vanno
collocate in un contesto speculativo che non permette di raccostarle
alla l. tradizionalmente intesa.
Va infine ricordata la polemica antipsicologica di E. Husserl, su cui
influirono le tesi del logico, matematico e filosofo B. Bolzano e di F.
Brentano. Nella sua opera Formale und transzendentale Logik. Versuch
einer Kritik der logischen Vernunft (1929), Husserl ha tentato di
distinguere nell’ambito della l. tre momenti: una pura grammatica l. o
teoria del significato, una pura analitica dell’apofansi o teoria delle
espressioni non-contraddittorie e la l. trascendentale o teoria della
verità.
4. L’età contemporanea: la l. matematica
Le prime grandi intuizioni della l. moderna (come l. matematica) si
fanno solitamente risalire a G.W. Leibniz, il quale introdusse nella
seconda metà del Seicento i concetti di un linguaggio simbolico
universale (ars characteristica) e di un calcolo a esso applicato
(calculus ratiocinator). L’analogia fra l. e matematica fu sottolineata
anche dai fratelli Bernoulli, celebri matematici svizzeri contemporanei
di Leibniz: l’algebra è intesa essenzialmente come studio dei rapporti
quantitativi, e la l. è considerata come esempio particolare di
applicazione di schemi deduttivi che sono propri della matematica. In
seguito, fino all’Ottocento, sul continente europeo le idee leibniziane
sembrano andar perdute.
4.1 L’Analytical Society di Cambridge e G. Boole. -Il quadro cambia se
ci si sposta in Inghilterra, dove il fiorire degli interessi
algebrico-matematici troverà sbocco nella grande opera di G. Boole. Si
era infatti formata a Cambridge la Analytical Society (1812), fondata
da C. Babbage, J. Herschel, G. Peacock, T. Robinson, E. Ryan e altri,
che si proponeva di diffondere l’uso della notazione leibniziana (più
agile di quella newtoniana) nel calcolo differenziale. Caratteristico
di Cambridge fu l’atteggiamento ‘formale’ nei confronti delle scienze
matematiche; viene sottolineata l’importanza della scelta del
linguaggio e degli assiomi; l’algebra non viene necessariamente
considerata come studio dei rapporti quantitativi; solo requisito
essenziale di una interpretazione del linguaggio simbolico è che essa
soddisfi gli assiomi; appare la concezione degli assiomi quali
definizioni implicite, prescriventi tutte e sole le condizioni che gli
enti associati ai segni devono soddisfare. In questo senso,
l’interpretazione aritmetica non è che una delle varie possibili,
privilegiata, se si vuole, da un punto di vista storico, ma non
teorico; l’algebra aritmetica è anzi un ramo particolare dell’algebra
simbolica.
In questa linea si inserisce l’opera di A. De Morgan, che difese
energicamente l’importanza della trattazione simbolica della l.:
applicare alle operazioni logiche procedimenti analoghi a quelli propri
dell’algebra aritmetica (costruire cioè un’algebra più generale)
consente di mettere in luce e studiare i meccanismi formali del
pensiero assai meglio di quanto sia possibile nel linguaggio comune. I
suoi studi lo portarono a concepire l’idea di una teoria generale delle
relazioni, ben più ampia della sillogistica classica. Boole non fu mai
alla scuola di Cambridge; fu però a essa legato tramite l’amicizia con
D.F. Gregory e De Morgan, e ne assorbì profondamente le idee e
l’atteggiamento ‘formalistico’ nei confronti dell’algebra. Egli
elaborò, in linguaggio simbolico e con metodo che può sostanzialmente
dirsi assiomatico formale, un calcolo astratto delle classi costruendo
anche quella particolare algebra nota come algebra di Boole; si
interessò altresì della possibilità di un calcolo delle proposizioni.
4.2 C.S. PeirceIn seguito l’opera fu continuata dallo statunitense C.S.
Peirce e dai tedeschi R. Grassmann ed E. Schröder. La l. deve a Peirce
interessanti contributi all’algebra delle classi; alla teoria delle
relazioni; alla teoria della quantificazione, che amplia l’originaria
algebra di Boole interpretabile come algebra di classi oppure di
proposizioni, a una teoria molto più generale, in cui sempre
maggiormente l’algebra della l. si svincola dall’algebra matematica.
Schröder diede per primo una trattazione sistematica e completa
dell’algebra della l.; a lui si richiameranno poi il francese L.
Couturat e l’italiano G. Peano, cui si deve l’elaborazione di un
simbolismo logico vicino a quello comune e la
fondazione/">fondazione di una ‘scuola italiana’ di l. molto attiva
tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
4.3 G. Frege. -Nel frattempo, soprattutto in Germania, la l. veniva
sviluppandosi anche secondo direttive diverse da quelle degli
algebristi, grazie a G. Frege da un lato e ai ‘formalisti’ dall’altro.
Questi studi trassero direttamente stimolo da quelli dei grandi
analisti della seconda metà dell’Ottocento, K.T.W. Weierstrass, J.W.R.
Dedekind e G. Cantor che, proseguendo le ricerche di K.F. Gauss e A.-L.
Cauchy, avevano richiamato l’attenzione sul problema dei fondamenti
della matematica e avevano mostrato come, mediante la l., l’intera
matematica potesse essere ricondotta all’aritmetica dei numeri naturali
e cioè come, usando la sola l. e l’aritmetica dei numeri naturali,
potesse essere ricostruita tutta la scienza matematica e in particolare
l’analisi matematica (aritmetizzazione dell’analisi o logicismo).
Partendo da questo risultato il programma di Frege, detto programma
logicista, mirava a definire i concetti matematici all’interno della
l., base certa della conoscenza, così da poter trasformare le verità
matematiche in verità logiche. In particolare, Frege mirava a compiere
la cosiddetta logicizzazione dell’aritmetica, cioè la riconduzione
dell’aritmetica dei numeri naturali alla pura l., ossia la
ricostruzione all’interno della pura l. dell’aritmetica dei numeri
naturali. Ciò portò Frege a esplicitare cosa fosse il sistema di l.
entro cui tutta la matematica avrebbe potuto essere ricostruita: una l.
molto potente, sostanzialmente equivalente alla teoria degli insiemi
che era stata per la prima volta introdotta e studiata da Cantor e che
era basata sui due principi di estensionalità (due insiemi che hanno
gli stessi elementi sono uguali) e di comprensione (per ogni data
proprietà, esiste l’insieme di tutte e sole le cose che godono di
quella proprietà). Tipica di Frege e di Cantor è una concezione
platonista della matematica, secondo cui gli enti matematici e gli
insiemi in generale esistono indipendentemente dall’attività
conoscitiva umana; fra questi enti vi sono anche, in forza del
principio di comprensione, gli insiemi che corrispondono all’estensione
delle proprietà e che sono ritenuti enti dello stesso livello
ontologico dei loro elementi. Entro questo sistema logico, ovvero entro
questa teoria degli insiemi, Frege riuscì davvero a ricostruire
l’intera aritmetica dei numeri naturali e dunque l’intera matematica.
L’antinomia scoperta da B. Russell nel 1902 (➔ paradosso) rivelò come
il sistema logico di Frege e la teoria degli insiemi di Cantor fossero
contraddittori, in modo da rendere vana la logicizzazione
dell’aritmetica compiuta da Frege. Il programma logicista fu
proseguito, dopo l’antinomia, in particolare dallo stesso Russell,
mediante opportune modifiche alla teoria cantoriana degli insiemi: la
teoria ramificata dei tipi è una delle proposte di Russell. Ma tali
modifiche hanno portato a sistemi in cui alcuni principi erano di
dubbio carattere logico.
4.4 D. Hilbert.- Il formalismo trovò in D. Hilbert un sostenitore acuto
e originale che, con il suo programma di fondazione della matematica,
dette un contributo notevole allo sviluppo della l. matematica. Per
Hilbert, massimo esponente del metodo assiomatico formale, già prima
della scoperta dell’antinomia di Russell, in ogni teoria matematica i
concetti fondamentali sono definiti implicitamente dagli assiomi e non
vanno presupposti come noti, e per la fondazione di ciascuna teoria si
deve richiedere dai suoi assiomi non la loro verità intuitiva ma la
loro non-contraddittorietà, ossia l’impossibilità di ricavare da essi,
mediante un numero finito di inferenze logiche, una contraddizione.
Particolarmente dopo la scoperta dell’antinomia di Russell, Hilbert
propose il suo famoso programma di fondazione della matematica:
trasformare ogni teoria matematica in un sistema formale, e dimostrare
con metodi finitisti che tale sistema formale è non-contraddittorio. I
metodi finitisti sono metodi matematici di per sé stessi sicuri e non
bisognosi di fondazione, fondati su un’istituzione a priori. Poiché un
sistema formale per una teoria è ottenuto assiomatizzando la teoria,
trasformando il suo linguaggio in un linguaggio formale ed esplicitando
gli assiomi e le regole logiche per costituire le dimostrazioni, il
programma di Hilbert richiedeva inevitabilmente uno studio accurato dei
linguaggi formali e la formalizzazione della logica. Inoltre, il
programma di Hilbert segnò l’avvio di una branca importante della l.
matematica, la teoria della dimostrazione, costituita da Hilbert stesso
per la necessità (congenita al suo programma) di studiare gli oggetti
formali chiamati dimostrazioni, al fine di stabilire la
non-contraddittorietà dei sistemi formali. Il primo importante passo
nella esecuzione del programma di Hilbert sarebbe stato il
conseguimento, con metodi finitisti, della dimostrazione di
non-contraddittorietà per il sistema formale corrispondente
all’aritmetica dei numeri naturali. K. Gödel dimostrò nel 1931 che il
programma di Hilbert è destinato a fallimento, se i metodi finitisti
dell’aritmetica sono tutti formalizzabili all’interno del sistema
formale dell’aritmetica dei numeri naturali.
4.5 Il costruttivismoIl formalismo hilbertiano si era duramente opposto
a due altri programmi fondazionali della matematica, il predicativismo
e l’intuizionismo, che rivendicavano entrambi il carattere
‘costruttivo’ della conoscenza matematica e che hanno entrambi recato
notevoli contributi allo sviluppo della l. matematica. La concezione
costruttiva della matematica era stata sostenuta nell’Ottocento in
particolare dal matematico tedesco L. Kronecker, che aveva criticato
con forza la teoria degli insiemi di Cantor. Il predicativismo ebbe fra
i suoi maggiori rappresentanti H. Poincaré e H. Weyl, e ispirò anche la
teoria ramificata dei tipi di Russell. Fra i contributi importanti dati
dal predicativismo alla l. matematica è da segnalare l’indagine sulle
‘definizioni’, e in particolare sulla distinzione tra definizioni
predicative e impredicative. Il predicativismo accetta soltanto una
totalità infinita in atto, quella dei numeri naturali; per il resto
accetta soltanto infinità ‘potenziali’. Per il predicativismo, esistere
è sinonimo di essere costruibile, e le costruzioni sono date dalle
definizioni, che, per essere accettate, devono essere predicative: se
definire un ente significa costruire quell’ente, non si può definirlo
facendo riferimento a una totalità alla quale esso appartiene, cioè non
si può definirlo con definizioni impredicative.
La scuola intuizionista, o neo-intuizionista, è stata fondata
dall’olandese L.E. Brouwer a partire dal primo decennio del Novecento.
Brouwer si oppone alla teoria logicista che considera la l. come
fondamento della matematica; non però, come i formalisti, in quanto gli
assiomi sono in sé privi di riferimenti ad ambiti particolari di
esperienza, e quindi non ha senso considerare un sistema formale ‘più
vero’ di un altro; ma in quanto la matematica trova diretto fondamento
in una intuizione-base, comune a tutti gli uomini, e indipendente dal
linguaggio e dal mutare dell’esperienza. La l. è una parte, più
generale ma non sostanzialmente diversa dalle altre, della matematica.
Con evidente ispirazione kantiana, Brouwer sostiene che «la matematica
intuizionistica è un’attività della mente di natura linguistica, che
trae origine dalla percezione di un passaggio di tempo, cioè dallo
scindersi di un momento di vita in due cose distinte, l’una delle quali
cede il posto all’altra ma è conservata dalla memoria». Ripetendo
indefinitamente, tramite l’introspezione, questa intuizione-base, si
ottengono delle costruzioni matematiche primitive, quali la serie
illimitata dei numeri naturali, e la giustificazione di principi come
quello di induzione completa. Nulla però giustifica l’ammissione,
neppure a livello numerabile, dell’infinito attuale, almeno come
oggetto dell’esperienza matematica. La matematica intuizionista
infatti, pur non escludendo a priori l’esistenza di enti o totalità
indipendenti dalla nostra conoscenza, ha per argomento le costruzioni
mentali in quanto tali. I contributi più importanti dati
dall’intuizionismo alla l. matematica sono dovuti a H. Heyting.
L’intuizionismo conduce una profonda e radicale critica della l.
classica, proponendo il suo rimpiazzamento con una nuova l. detta l.
intuizionista. La base della critica intuizionista alla l. classica è
che nulla ci assicura che, applicando un principio della l. classica
alla descrizione (in un dato linguaggio) di una costruzione mentale
matematica, si ottenga come risultato la descrizione di una nuova
costruzione matematica. Infatti, se sembra senza problemi
l’applicazione di certi principi come quello di identità, quello di
non-contraddittorietà o quelli del sillogismo, non è accettabile il
principio del terzo escluso, il principio secondo cui per ogni
proposizione p vale «p oppure non p». Per comprendere questa critica,
bisogna precisare cosa significa affermare una proposizione secondo il
punto di vista intuizionista. Secondo questo punto di vista a ogni
proposizione corrispondono costruzioni, le costruzioni di quella
proposizione, e affermare una proposizione p significa che si è in
grado di eseguire una costruzione corrispondente a p. Il principio del
terzo escluso non può essere accettato come un principio generale dal
punto di vista intuizionista, poiché nulla ci assicura che, presa una
qualunque proposizione, o si è in grado di ottenere una costruzione di
quella proposizione o si è in grado di ottenere una contraddizione
dall’ipotesi di avere una costruzione di quella proposizione.
Analogamente, dal punto di vista intuizionista non può essere accettato
come un principio generale il principio della doppia negazione, «non
non p implica p»: il fatto di poter ottenere una contraddizione
dall’ipotesi di avere una costruzione di «non p» non ci permette in
generale di ottenere una costruzione della proposizione p.
Accanto a quella degli studiosi nominati ricorderemo ancora l’opera dei
logici polacchi (J. Łukasiewicz, S. Łesniewski, A. Tarski e altri) e la
scuola nominalista di W.V.O. Quine e N. Goodman. In seguito, le varie
tendenze hanno assunto sempre maggiore ampiezza di articolazioni e
ricchezza di sfumature, al punto che, pur ravvisandosi ancora
differenze di fondo tra impostazioni platoniste, formaliste,
costruttiviste, è impossibile ogni rigida classificazione.
DIRITTO
L. giuridica È la l. applicata ai discorsi giuridici. In particolare,
la l. delle norme o del linguaggio normativo (l. deontica) si propone
di stabilire criteri di validità assoluta delle proposizioni normative.
Si è sviluppata a partire da un’impostazione scientifica dello studio
del diritto, nell’ambito delle teorie formalistiche. Gli scritti
fondamentali di l. giuridica risalgono ai primi anni 1950 (E.G. Máynez,
G.H. von Wright, J. Kalinowski). Accanto a una l. dimostrativa,
finalizzata a dimostrare la validità dei ragionamenti giuridici (per la
quale solo i ragionamenti deduttivi, che dal generale pervengono al
particolare, e non anche quelli induttivi, si sottomettono al controllo
della l.) si è sviluppata una l. argomentativa (➔ Perelman, Chaïm) il
cui fine non è dimostrare, ma persuadere circa la ragionevolezza
dell’argomentazione giuridica.
TECNICA
In elettronica, l’insieme delle operazioni logiche eseguite da un
dispositivo (composto da uno o più circuiti logici); per estensione, il
termine indica collettivamente l’insieme dei circuiti logici,
programmabili e non, di un dispositivo digitale; è detta l. positiva la
convenzione che fa corrispondere il livello di tensione più alto al
valore logico 1 e quello più basso al valore logico 0, in
contrapposizione alla l. negativa nella quale la convenzione è
capovolta: invertendo il tipo di l., le porte logiche elementari e
fondamentali si trasformano nelle loro duali (AND in OR, NAND in NOR, e
viceversa). L. di macchina La modalità secondo la quale è predisposta
l’interazione delle varie parti di un elaboratore durante il suo
funzionamento.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it