male
In senso ampio, tutto ciò
che arreca danno turbando comunque la moralità o il benessere fisico ed
è perciò temuto, evitato, oggetto di riprovazione, di condanna o di
pietà, di compassione ecc.
FILOSOFIA
Il problema filosofico del m. è dibattuto attraverso tutta la storia
del pensiero. Di fatto, mentre l’asserzione del valore implica di
necessità anche quella del disvalore, la concezione della totale
razionalità del mondo sembra rendere inconcepibile l’esistenza del
male. La soluzione del problema del m. coincide quindi con la soluzione
del problema etico (➔ etica), sia che esso venga considerato come
dipendente da quello metafisico dell’assoluta essenza della realtà e da
quello teologico della natura di Dio e della sua azione sul mondo, sia
che questi due ultimi problemi vengano considerati come mere proiezioni
ontologiche dell’unico problema reale, che è quello della vita morale.
religione
Il problema del m. si pone nella storia delle religioni come esperienza
concreta di qualcosa che mette in pericolo l’esistenza dell’uomo e come
presenza di forze negative che ne minacciano la vita. In tutte le forme
religiose si hanno figurazioni degli aspetti negativi dell’esistenza, a
cominciare dai demoni o divinità portatrici di malattia, morte,
sterilità, disastri, dei vari popoli primitivi, fino alle divinità
degli ‘inferi’ delle religioni politeistiche. A essi si rivolgono riti
apotropaici, propiziatori ecc. Nelle religioni storiche più evolute vi
è una personificazione globale del m. nella figura di un essere opposto
al principio del bene (così, per es., Angra-Mainyu nella religione
mazdea o Satana nell’Antico Testamento).
Il monoteismo ebraico induce necessariamente a porre in Dio il
principio del bene come del m. fisico: è impossibile che sopravvenga
una calamità, che non sia stata voluta e prodotta da Dio. Ma non per
questo l’uomo può accusare Dio di severità o di crudeltà: il dolore e
il m. anche fisico sono infatti la punizione di una colpa. Tale stretta
connessione tra il m. e la colpa risale all’inizio della storia
dell’umanità, al peccato delle origini, che ha lacerato l’ordine
cosmico e morale fissato da Dio. Si presenta tuttavia, soprattutto con
l’affinarsi della spiritualità ebraica dalla predicazione dei profeti
ai libri sapienzali, il problema della sofferenza degli innocenti.
Quindi si fanno sempre più abbondanti i testi che insistono sulla
brevità dell’apparente felicità degli empi e sulla ricompensa dei
giusti, pur in una visuale che non trascende il mondo presente (Giobbe
18, 5-19; Salmi 37,38; Siracide 41, 5-11), e si applica il concetto di
una responsabilità collettiva per cui una colpa non è scontata
necessariamente dal peccatore. Si profilano anche altre spiegazioni del
m. fisico, nel quale si scorge una prova permessa da Dio (Prov. 17, 3)
per il bene del tribolato o un segno della predilezione divina (Sap. 4,
7-12). Solo la prospettiva escatologica di una vita ultraterrena
permetterà, nell’aldilà, la soluzione del problema della sofferenza dei
giusti.
Nel Nuovo Testamento il problema del m. si inserisce in una più
profonda esperienza religiosa e si collega alla redenzione e alla morte
sulla croce del Cristo per la quale il m. viene trasformato dall’amore
e concepito come espiazione e riscatto, non tanto per sé stessi, quanto
per gli altri uomini. Per il cristiano il m. fisico diventa anche uno
strumento positivo della propria santificazione attraverso la
partecipazione alle sofferenze del Cristo. Il problema del m. morale è
posto in relazione alla libertà umana e all’inclinazione disordinata
della natura, conseguenza del primo peccato di Adamo che fu tuttavia
tramutato dall’economia della Provvidenza in causa principale o motivo
del massimo bene fatto da Dio agli uomini, ossia dell’Incarnazione e
della Redenzione.
La speculazione cristiana dei primi secoli si trovò presto a contatto
con il dualismo filosofico religioso greco e orientale, ove il m. era
ipostatizzato in principio opposto al bene, e ne subì l’influsso. In
polemica con lo gnosticismo prima, con il manicheismo poi, si precisa e
si definisce il pensiero ortodosso: si afferma l’origine di tutto il
creato da un unico Dio e si enuclea il concetto del m. come privazione.
Così in s. Agostino, al quale si deve anche la decisa polemica contro
il manicheismo. La tradizione teologica medievale non fa che
approfondire il concetto agostiniano del m. come privazione o corruptio
del bene, respingendo ogni entificazione del m. che pur riviveva in
vari movimenti ereticali.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it