Karl Marx
Filosofo ed economista
tedesco (Treviri 5 maggio 1818 - Londra 14 marzo 1883). Proveniente da
una famiglia borghese di origine ebraica, studiò a Bonn e poi a
Berlino, dove entrò in contatto con la sinistra hegeliana e con gli
ambienti del radicalismo tedesco. Laureatosi nel 1841 con la
dissertazione Differenz der demokritischen und epikureischen
Naturphilosophie, fu chiamato nell'ottobre 1842 alla direzione della
Rheinische Zeitung, a cui aveva già preso a collaborare da alcuni mesi
insieme a Bruno Bauer e a Max Stirner. Lasciata la direzione del
giornale nel marzo del 1843, sposò nel giugno di quello stesso anno
Jenny von Westphalen, con la quale, dopo un breve soggiorno a
Kreuznach, emigrò a Parigi per fondarvi e dirigervi insieme ad Arnold
Ruge i Deutsch-französische Jahrbücher. Risale al periodo trascorso a
Kreuznach la stesura di una delle più importanti opere giovanili
incompiute, rimasta inedita fino al 1927, Kritik des Hegelschen
Staatsrechtes, cui seguirono presto gli articoli Zur Kritik der
Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung e Die Judenfrage, apparsi sul
primo e unico numero degli Jahrbücher alla fine del febbraio 1844.
Risalgono a questo periodo i primi contatti, a Parigi, con gli ambienti
rivoluzionarî europei e, in particolare, con i circoli operai di
orientamento socialista, numerosi nella Francia dell'epoca; nonché la
conoscenza con Friedrich Engels, col quale strinse ben presto vincoli
di amicizia che si sarebbero protratti per tutto il corso della sua
vita. Il segno più profondo dell'arricchimento intellettuale tratto da
questo primo soggiorno parigino furono gli Ökonomisch-philosophische
Manuskripte del 1844, rimasti anch'essi incompiuti e pubblicati postumi
nel 1932. Fallito il tentativo di alleanza politico-intellettuale tra
la democrazia rivoluzionaria francese e il radicalismo filosofico
tedesco, cui s'ispirava il programma degli Jahrbücher, e costretto, in
conseguenza di un decreto di espulsione dalla Francia, a trasferirsi a
Bruxelles, scrisse Die Heilige Familie, il primo lavoro in
collaborazione con Engels, dedicato alla critica e alla stroncatura
dell'Allgemeine Literaturzeitung che Bruno Bauer, coi fratelli Edgar ed
Egbert, andava pubblicando a Charlottenburg dal dicembre del 1843. In
questo scritto, e più ancora in Die deutsche Ideologie, redatta insieme
a Engels nel corso del 1845-46 e lasciata inedita, maturò il suo
definitivo distacco non solo dai giovani hegeliani radicali, come Bruno
Bauer e Max Stirner, ma anche da Ludwig Feuerbach e dai "veri
socialisti" (Moses Hess e Karl Grün) che s'ispiravano all'umanesimo
feuerbachiano. È in questo periodo che prende forma per la prima volta
la cosiddetta concezione materialistica della storia. Essa nasce dalla
confluenza di varie correnti della cultura europea e, in particolare,
dall'incontro della problematica della filosofia classica tedesca
(Hegel e Feuerbach), del socialismo politico francese (Louis Blanc,
Proudhon, ecc.), nonché dell'economia politica inglese (Smith,
Ricardo). Il suo punto di partenza è nell'"umanesimo positivo" di
Feuerbach: il soggetto della storia non è l'Idea o lo "Spirito del
mondo" di cui parla Hegel, ma l'uomo esistente e reale, nella sua
determinatezza di ente naturale. Senonché, a differenza di Feuerbach
che nella sua polemica antihegeliana si limita a rivendicare la
naturalità dell'uomo, per M. la "natura" dell'uomo non è qualcosa di
già "dato", non è una struttura invariabile e permanente, bensì si
realizza soltanto nella società e nel divenire storico. In altre
parole, l'"essenza" dell'uomo non è riposta nel rapporto dell'uomo con
sé stesso, cioè nella sua interiorità o spiritualità; essa si forma e
si sviluppa nel corso dei rapporti dell'uomo con gli altri uomini e con
la natura: rapporti che non sono determinabili una volta per sempre, ma
che variano col variare dei modi di produzione e delle forme
dell'organizzazione sociale. Di qui l'antitesi in cui M. si pone di
fronte a Feuerbach e a Hegel. Di fronte al primo, per la perdita in cui
questi incorre di tutti i contenuti storico-sociali, che erano invece
presenti nel pensiero di Hegel. Di fronte a quest'ultimo, perché egli
riduce i rapporti storico-sociali, che sono rapporti concreti e
oggettivi, a rapporti astratti e formali, cioè a momenti nel processo
di sviluppo dell'Idea. Ciò che ne risulta è una concezione
materialistica che, però, non ha nulla a che fare col materialismo
settecentesco di La Mettrie e di Holbach: l'essere dell'uomo non è la
materia, ma è costituito dai rapporti sociali di produzione, rapporti
che hanno sì la natura come loro termine di riferimento oggettivo, ma
in modo che il rapporto dell'uomo con la natura (la produzione) non è a
sua volta concepibile se non entro determinati rapporti interumani o
sociali. M. riconosce a Hegel il merito di aver dimostrato che l'uomo è
il prodotto del proprio lavoro e, quindi, dello sviluppo storico; ma il
limite di Hegel è stato quello di aver interiorizzato il lavoro,
concependolo innanzitutto non come trasformazione del mondo oggettivo
ma come lavoro spirituale astratto. Di fronte a ciò, M. intende
mantenere al lavoro il suo carattere esterno e condizionante; carattere
che imprime nell'uomo, per es., della società moderna tratti e qualità
profondamente diversi da quelli dell'uomo della società schiavistica
antica, o della società feudale, ecc. La morale, la religione, la
metafisica, tutto ciò che appartiene alla sfera ideale, non ha una
propria storia per suo conto. Solo in quanto gli uomini sviluppano la
produzione e quindi i loro rapporti sociali, modificano insieme anche
il loro pensiero. Non la coscienza determina la vita, ma la vita
determina la coscienza. Ciò non vuol dire che gli uomini siano passivi
nella storia: la storia anzi non è nulla fuori della loro attività; ma
la loro attività fondamentale, quella che condiziona tutto, è
l'attività produttiva intesa come rapporto degli uomini, al tempo
stesso, tra loro e con la natura. Pertanto, se la personalità umana
consiste essenzialmente nei rapporti sociali della produzione e del
lavoro, è evidente che la realizzazione di una personalità libera e
armonica non è problema puramente individuale e privato, dipendente da
un perfezionamento interiore, ma è un problema sociale, dipendente
dalla trasformazione della struttura economica della società: il
problema dell'uomo diventa problema della società. L'umanesimo si
converte nella sociologia, cioè nello studio dell'organizzazione
sociale umana nel suo sviluppo storico. L'alienazione spirituale e
religiosa, descritta da Feuerbach, presuppone un'alienazione pratica,
la quale non può essere spiegata se non mediante una dissociazione
interna alla società. L'uomo oggettiva e separa da sé la propria
"essenza", ne fa un essere "estraneo" che lo domina, una divinità
ch'egli adora, perché, nella vita reale, l'uomo è separato dagli altri
uomini e la società è divisa in classi. Questa divisione della società
in classi, che è caratteristica di tutte le organizzazioni sociali
umane dopo la dissoluzione della "comunità primitiva", ha raggiunto
secondo M. il culmine nella moderna società capitalistica, dove i mezzi
di produzione appaiono completamente avulsi dagli individui e
costituenti un mondo a sé, "estraneo" e contrapposto agli uomini che
lavorano: il mondo della proprietà privata. Questa concezione
materialistica della storia, già enucleata nei suoi lineamenti
fondamentali in Die deutsche Ideologie, è ulteriormente sviluppata,
specie per quanto riguarda la teoria economica, in uno scritto del 1847
composto in francese, Misère de la philosophie, in polemica diretta con
la La philosophie de la misère di Proudhon. A compimento di questo
primo periodo sopravviene, in occasione dei moti rivoluzionarî del 1848
in Francia e in Germania, la pubblicazione del Manifest der
kommunistischen Partei; dopodiché, costretto, dopo un breve soggiorno a
Parigi e a Colonia, a emigrare nuovamente, M. si stabilisce con la
famiglia a Londra, ove rimarrà fino alla morte. Con l'esilio londinese
si apre il secondo e più importante periodo nello sviluppo del pensiero
di Marx. Comincia infatti in quest'epoca lo studio sistematico e
l'approfondimento dell'economia politica classica inglese e, in
particolare, dell'opera di Smith e Ricardo, cui la sua attenzione s'era
già volta, seppure in forme episodiche, a partire dal 1844-45. Al
centro di questa seconda e più matura fase del suo pensiero è
l'acquisizione della teoria del valore-lavoro, già in parte elaborata
da Smith e da Ricardo, secondo la quale il "valore" delle merci è dato
dal tempo di lavoro socialmente necessario speso nella produzione di
esse. Alla luce di questa teoria, M. intraprende l'analisi del rapporto
fondamentale nella società capitalistica moderna: il rapporto tra
capitale e forza-lavoro. Il capitale, cioè la proprietà privata dei
moderni mezzi di produzione, è appropriazione di lavoro umano non
pagato. Questa appropriazione è spiegata col fatto che, mentre il
capitalista compra la forza-lavoro del salariato, pagandola, come si
paga ogni altra merce, in base alla quantità di lavoro che si richiede
per produrla, cioè in base a quanto occorre per il sostentamento
dell'operaio e della sua famiglia, la forza-lavoro dal canto suo
produce più valore di quanto essa non costi. La differenza, il
"plusvalore", che rimane nelle mani del datore di lavoro, è ciò che
costituisce il capitale. Impiegando nuova forza-lavoro, questo capitale
si accumula e cresce su sé stesso. Il fenomeno dell'accumulazione,
unito alla concorrenza tra le imprese capitalistiche, determina una
crescente concentrazione, cioè la formazione di imprese-gigante che
assorbono ed eliminano dal mercato le piccole e medie imprese.
Rientrano in questo contesto alcune delle formulazioni più
caratteristiche dell'analisi economica marxiana. Il fenomeno della
concentrazione determina infatti l'aumento della "composizione
organica" del capitale, cioè l'aumento della quota del capitale
investita in macchine, materie prime, attrezzature, ecc. (il "capitale
costante"), rispetto al "capitale variabile" o fondo-salarî, ch'è la
quota di capitale investita nell'acquisto di forza-lavoro. Ma, a sua
volta, quest'aumento della "composizione organica" determina, almeno
tendenzialmente, la caduta del "saggio di profitto", cioè la
diminuzione del rapporto tra il plusvalore ricavato e la massa totale
del capitale originariamente investito. L'analisi, nel complesso, tende
a sottolineare come, simultaneamente allo sviluppo capitalistico, si
sviluppino anche fenomeni di attrito e di contraddizione all'interno
del meccanismo economico, così da determinare quel fenomeno delle crisi
cicliche di sovrapproduzione, la cui causa è individuata da M.,
alternativamente, nella caduta del saggio di profitto, o nelle
difficoltà di realizzo, o nella sproporzione tra produzione e consumo.
I risultati di questi studî e ricerche intorno all'economia moderna,
protrattisi per oltre un ventennio e parzialmente anticipati nel 1859
in Zur Kritik der politischen Ökonomie (oltre che nel Rohentwurf edito
postumo a Mosca tra il 1939 e il 1941 col titolo di Grundrisse der
Kritik der politischen Ökonomie), si trovano raccolti in Das Kapital (I
libro 1867, II e III libro pubblicati postumi da Engels rispettivamente
nel 1885 e nel 1894), nonché infine nelle Theorien über den Mehrwert
(composte tra il 1861 e il 1863, ma edite da Kautsky, per la prima
volta, in tre volumi tra il 1905 e il 1910). La lunga stasi nelle lotte
sociali in Europa, sopravvenuta al fallimento della rivoluzione del
1848, consentì a M. di dedicare la parte maggiore della sua vita allo
studio e alla ricerca scientifica più che all'attività politica
rivoluzionaria. Tuttavia, all'inizio degli anni Sessanta, ai primi
segni di ripresa di quelle lotte, forte anche del prestigio acquistato
in campo scientifico, egli dette un contributo determinante, insieme a
Engels e ad altri emigrati, a quell'opera di riunificazione e
organizzazione delle fila del movimento operaio europeo che doveva
approdare, nel 1864, alla fondazione/">fondazione
dell'Internazionale dei lavoratori (che sarà poi nota come la Prima
Internazionale). In qualità di membro del segretariato di questa
organizzazione, redasse e pubblicò nel 1871 l'indirizzo The civil war
in France nel corso del quale, analizzando la Comune di Parigi, mise a
punto le sue tesi sull'estinzione dello stato nella società comunista,
identificando negli istituti di democrazia diretta prodotti dalla
Comune la forma politica entro la quale doveva esercitarsi la
"dittatura del proletariato" nel periodo di transizione dal capitalismo
al comunismo. Testimone negli ultimi anni della sua vita della nascita
dei primi partiti socialdemocratici europei, partecipò, da lontano,
alle lotte del partito tedesco, dettando nel 1875 la Kritik des Gothaer
Programms in occasione dell'unificazione avvenuta tra il Partito
operaio socialdemocratico (i cosiddetti eisenachiani), diretto da W.
Liebknecht e A. Bebel, e l'Associazione generale operaia tedesca,
diretta dai seguaci di Lassalle.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it