Materialismo storico e dialettico
Dottrine sviluppatesi nell’ambito del pensiero marxista, le cui origini sono negli scritti di Marx e di Engels.
Il materialismo storico. La concezione materialistica della storia fu
sviluppata da Marx (➔) e da Engels (➔) nella prima fase della loro
collaborazione, in diretta polemica con la filosofia hegeliana.
Intimamente collegato con tutta l’elaborazione di Marx, esso divenne
parte integrante del marxismo teorico e principale veicolo della sua
influenza, grazie soprattutto all’opera editoriale svolta da Engels, il
quale, dopo la morte dell’amico, curò la pubblicazione degli scritti
(fino a quel momento lasciati inediti) in cui i due pensatori avevano
definito la loro posizione filosofica (L’ideologia tedesca e le undici
Tesi su Feuerbach). Il nucleo della concezione materialistica della
storia sta nell’affermazione che gli uomini, i quali vivono e producono
in una data società, si trovano a muoversi entro «determinati rapporti
necessari e indipendenti dalla loro volontà», che sono i rapporti di
produzione propri di una determinata fase dello sviluppo storico;
questi costituiscono la struttura economica della società, la base
reale sulla quale si eleva la sovrastruttura dei rapporti giuridici e
politici, la vita intellettuale, morale e religiosa, e soprattutto le
forme determinate della coscienza sociale. Nelle condizioni materiali,
che comprendono l’ambiente naturale geografico e lo sviluppo
demografico, determinanti soprattutto sono le forze produttive
(strumenti di produzione, gli uomini che li producono e li muovono, le
esperienze e le abitudini di lavoro, i beni prodotti) e i rapporti di
produzione (sistemi di produzione: bottega, manifattura, industria; e
relazioni di lavoro: schiavitù, artigianato, salariato), che nel loro
insieme caratterizzano l’ordinamento di una data epoca storica
(schiavismo, feudalismo, capitalismo). Sono i contrasti profondi nel
campo della vita economica e produttiva, e in dati periodi il contrasto
fra le forze produttive e i rapporti di produzione, fra l’accrescimento
e il progresso dei mezzi di produzione e degli uomini che li usano e i
sistemi di produzione e di lavoro, che soffocano il loro sviluppo,
determinano i contrasti e i conflitti nel campo sociale, e, nel caso
del contrasto fra forze produttive e rapporti di produzione,
caratterizzano un’epoca di rivoluzione, in quanto prima o poi quel
contrasto sbocca in rivolgimenti e trasformazioni giuridici e politici.
In questi conflitti e rivolgimenti le idee agiscono per il materialismo
«come forze materiali», accentuando e organizzando il movimento di
trasformazione dell’ordine giuridico, politico, sociale e produttivo
esistente. Questa concezione ha il suo fondamento nel principio che «la
vita non è determinata dalla coscienza, ma la coscienza è determinata
dalla vita», che «la coscienza non può mai essere qualcosa di diverso
dell’essere consapevole»; perché anzi «la produzione delle idee, delle
rappresentazioni, della coscienza è, in un primo tempo, direttamente
intrecciata con la vita materiale» e con l’attività e lo scambio fra
gli uomini.
Il materialismo dialettico di Engels. Ancora prima della morte di Marx,
mentre questi continuava a lavorare a Il capitale, Engels iniziò a
delineare il primo nucleo teorico del cosiddetto materialismo
dialettico (ma Engels parlò di preferenza di dialettica materialistica;
l’espressione m. dialettico si diffuse in seguito grazie soprattutto
all’opera di Plechanov). L’esigenza di fondo era quella di contrastare,
sul piano teorico oltre che su quello politico, le posizioni che
andavano emergendo all’interno della socialdemocrazia tedesca dalla
metà degli anni Settanta (Congresso di Gotha, 1875), dove le posizioni
di Lassalle trovavano maggiore accoglienza di quelle marxiane. A
partire dall’Anti-Dühring (1878), e poi con L’origine della famiglia,
della proprietà privata e dello Stato (1884) e la Dialettica della
natura (post., 1934), Engels lavorò quindi a definire i lineamenti di
una concezione materialistica che potesse fungere da concezione
filosofica del proletariato, sottraendosi tanto al rischio
dell’agnosticismo, dello scetticismo e del soggettivismo, quanto alle
insufficienze insite del materialismo borghese, in partic. nel
meccanicismo, nella concezione astorica della scienza e nell’assunzione
acritica di leggi e nozioni scientifiche da parte degli scienziati
stessi. In tale prospettiva va inteso il suo richiamo alla metodologia
della dialettica, ritenuta indispensabile (una volta «rovesciata»,
ossia liberata dall’«involucro» idealistico) per dar conto del
divenire, della realtà e delle teorie scientifiche, nonché
l’enunciazione delle tre leggi generali che regolerebbero lo sviluppo
della natura: la legge della trasformazione della quantità in qualità
(e viceversa), ovvero conversione dell’una nell’altra, che mira a
rivalutare la considerazione della qualità, aliena alla scienza
moderna; la legge della mutua compenetrazione degli opposti, volta a
contestare e superare ogni forma di dualismo (compreso il
meccanicismo); e la legge della negazione della negazione, che mira a
meglio comprendere il divenire.
Cenni sugli sviluppi novecenteschi. Dopo la morte di Engels, la
tendenza a considerare precipuamente o a isolare dalla concezione
marxista del mondo la concezione materialistica della storia si è
manifestata in partic. in coloro che l’hanno concepita semplicemente
come un canone d’interpretazione storica (la scuola
«economico-giuridica» in Italia, e Croce) o di comprensione
sociologica. Mentre d’altro canto la riduzione alla tematica di una
filosofia generale si è avuta in varia misura nelle tendenze che vanno
da una interpretazione spiccatamente naturalistica e meccanicistica
(N.I. Bucharin), a quella di una conciliazione con il kantismo (K.
Vorländer, Baratono, Bernstein) o con l’hegelismo (Gentile) o con
esigenze di pragmatismo critico (Mondolfo), fino alla valutazione del
momento materialistico in senso razionalistico-immanentistico
(Lefebvre). Più aderenti invece a un’organica concezione del m. s. e
d., insieme come metodo e come visione generale del mondo, sono stati
considerati, nel 19° sec., pensatori come Plechanov e Labriola, e, nel
20° sec., Gramsci e Lenin. Quest’ultimo, in partic., accentuò l’aspetto
materialistico circa il problema della conoscenza in Materialismo ed
empiriocriticismo (1909), sia pure senza abbandonare del tutto il
riferimento al metodo dialettico di Hegel (come dimostrano i Quaderni
filosofici). Dopo la morte di Lenin il materialismo dialettico assurse,
per opera soprattutto di Stalin, a ideologia ufficiale dell’URSS e di
molti partiti comunisti, trasformandosi in una sistema dogmatico e
chiuso (il cosiddetto DIAMAT).
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it