meccanismo di difesa
Il termine difesa (Abwehr)
non ha un significato univoco in psicoanalisi. Può essere un tratto
caratteriale sintomatico più o meno grave, ma può essere anche il modo
sano ed efficace con il quale ciascuno si adatta all’esistenza e al
principio di realtà. Sigmund Freud fa uso inizialmente del termine in
semplice senso colloquiale, a proposito della reazione dell’Io che
cerca di evitare idee ed affetti penosi, in ordine al principio del
piacere-dispiacere (➔ piacere). In un secondo momento Freud formulò il
concetto di rimozione (➔) (Verdrägnung) come prototipo di operazione
difensiva: i moti pulsionali sessuali o aggressivi provenienti dall’Es
sono vissuti dall’Io come ‘incursioni ostili’, poiché sono vietati dal
Super-Io e quindi provocano angoscia. Il contenuto ideativo proibito
viene relegato appunto nell’inconscio. Talora, l’esperienza che provoca
il conflitto e innesca la strategia difensiva proviene dal mondo
esterno. In entrambi i casi l’Io si difende mettendo in opera i suoi
meccanismi, prevalentemente inconsci, più o meno efficaci.
Progressivamente, così come è accaduto per tante altre parole del
linguaggio freudiano, il termine difesa ha assunto una connotazione più
forte e e sono stati messi a fuoco una lunga serie di specifici
meccanismi.
Stile difensivo e carattere. È la figlia di Freud, Anna, a dedicare
particolare attenzione all’argomento.
Nella sua opera vengono elencati minuziosamente meccanismi di difesa
vecchi e nuovi: rimozione; regressione, ossia il ritorno a una modalità
di funzionamento precedente; diniego, il rifiuto di ammettere nella
coscienza una percezione traumatizzante; spostamento, per es., nei
sogni, una costellazione di emozioni originariamente rivolte al padre
può essere convogliata su un’altra persona; formazione reattiva, quando
un impulso inaccettabile viene mascherato con una esagerata tendenza
opposta (iperprotezione per contrastare il sadismo, pulizia scrupolosa
per compensare il piacere dello sporco); isolamento, consistente in
interruzioni delle associazioni e delle connessioni tra un pensiero e
gli altri contenuti mentali, come avviene nelle idee dominanti della
nevrosi ossessiva ma anche nelle modalità rituali dei popoli, che
circoscrivono a determinati giorni dell’anno il lutto o la gioia;
proiezione, che si estrinseca con l’attribuire ad altri emozioni,
intenti, qualità rifiutate di sé. E ancora, introiezione e
sublimazione, con spostamento di quote della pulsione sessuale su
oggetti e mete nobili e idealizzate. A questi meccanismi si aggiungono
particolari e più complesse organizzazioni difensive, quale
l’identificazione con l’aggressore, individuata dal geniale
psicoanalista ungherese Sándor Ferenczi e ripresa poi da Anna Freud:
diventare come colui che incute terrore, cercare di trasformare la
propria condizione da passiva ad attiva, in modo da annullare la paura.
La psicoanalisi, tuttavia, non mira alla compilazione di un più o meno
ricco catalogo di ‘modi’ difensivi: i diversi meccanismi sono
variabili, culturalmente condizionati e si possono combinare tra loro
in diversa misura. È evidente l’importanza dei rapporti primari nel
corso del processo di sviluppo nel determinare l’insorgenza e la
stabilizzazione dei diversi stili difensivi individuali; ma è difficile
tracciare un confine netto tra meccanismi normali, strutturanti e
patologici (invalidanti), né è possibile coniugare
rigidamentedeterminati meccanismi a determinate patologie. I meccanismi
di d. sono per lo più egosintonici, ossia entrano a far parte del
carattere e si manifestano nel transfert (➔) durante la terapia
analitica come resistenze.
Meccanismi di difesa nei livelli precoci dello sviluppo. Ogni
meccanismo di d. può essere descritto a vari gradi di gravità o di
stabilità, secondo una linea di sviluppo che va dalle forme più
elementari a quelle più sofisticate e articolate. Non necessariamente
ciò che è più precoce è più grave; ma è importante il livello di
organizzazione raggiunto dalla struttura nel momento in cui insorge un
meccanismo difensivo, poiché ne condiziona la successiva evoluzione e
ne è a sua volta condizionato; per es., Melanie Klein e i suoi seguaci
ritengono operanti fin dagli albori della vita psichica normale e
patologica il meccanismo basilare della proiezione e del cosiddetto
splitting: ossia una scissione (➔) mobile, plastica, che separa a
livello di fantasia inconscia aspetti ‘buoni’ e ‘cattivi’ di sé e degli
altri. L’identificazione proiettiva, operante nei pazienti più gravi,
di area psicotica, corrisponde alla fantasia inconscia di poter
penetrare all’interno di un’altra persona emotivamente significativa
per danneggiarla, possederla o controllarla. Gli psicoanalisti che si
riconoscono nell’ambito della cosiddetta psicologia del Sé danno invece
rilievo a manovre difensive primitive che precedono l’organizzarsi
dell’Io. Così, secondo Eugenio Gaddini, le esperienze di distacco
riattivano nella mente in fieri le tracce mnemoniche delle esperienze
precedenti di contatto, per far fronte alla frustrazione della
separazione. Sono queste le fantasie difensive precoci o protofantasie,
radici di future malattie psicosomatiche (➔ psicosomatica). In sintesi,
le operazioni difensive dell’Io o del Sé mirano a conservare
l’equilibrio psicologico, a eludere la conflittualità interna ed
esterna, anche a costo di impoverire la persona nella realizzazione dei
desideri, nell’esperienza del piacere, nella pienezza delle relazioni
con gli altri e con sé stessa.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it