il commissario montalbano
La stanchezza di Montalbano,
che tanto sorprende Mimì e Fazio in una scena dell'ultima puntata di
lunedì 8 marzo 2021, non è la sua, non è del commissario. E' quella di
Zingaretti.
Quella non è una frase, non è una parola, è un addio. E' il modo con cui Zingaretti attore e regista dice ai suoi numerosi telespettatori che la serie è giunta al termine, che egli dentro di sé, dopo tanti anni e tante perdite, non trova più le energie per andare avanti. E' una parola che ha dentro tutto: il dolore, il commiato, la doverosa spiegazione, l'ammissione di aver dato tanto. C'è anche la consapevolezza che, per quanto duro, ognuno di noi è chiamato a voltare pagina in certi momenti, ad andare oltre, a chiudere col passato.
Zingaretti sceglie questa
via sottile e quasi impercettibile per dire la cosa più difficile, perché non può fare
altrimenti. Non può addossarsi pubblicamente la responsabilità di
chiudere una serie che ha tanti affezionati ammiratori. Non verrebbe
compreso. La cosa non sarebbe accettata. Da più parti si alzerebbero
suppliche di tornare indietro, di ripensarci. Se non perfino accuse. Ma
le cose non sono così facili, non lo sono mai. E' suo
diritto chiudere, salutare un pubblico che lo ha amato e un
personaggio che lo ha reso famoso.
Sono sicuro che la scelta è
stata lungamente riflettuta. E se la battuta ha il senso che io gli ho
attribuito sono certo che l'attore avrà a lungo meditato anche sui tempi e i
modi di comunicarla.
E' amaro ma è giusto. E'
doloroso ma va accettato. Su un intero mondo cala il sipario. Da oggi
siamo tutti più soli.
Ci mancheranno molte cose di questa lunga serie. A me principalmente quel fondo malinconico che calava su tutte le scene e le riprese. C'ero lo sguardo di Camilleri, la sua profondità, la sua saggezza, su ogni parola o immagine. Nulla era superficiale, banale, appiccicato, neppure l'ironia, la battuta greve. I gesti e le parole erano dense, piene, ricche. Gli scorci sempre profondi, quando sul mare e quando sull'animo umano. Ogni delitto, incontro, interrogatorio, parola sembravano sempre rimandare a qualcos'altro. Ogni scena non era semplicemente ciò che era ma rinviava a un qualcos'altro che io, dentro di me, non ho mai del tutto chiarito o definito. Le parole, gli sguardi, i gesti: ogni cosa si caricava di un qualcosa che nella vita sperimentiamo solo nei momenti più importanti o drammatici della nostra vita.
Camilleri non fuggeva il dolore e la morte, conosceva il senso della fine e della perdita. In lui batteva una sapienza antica, meridionale, passionale che ha caratterizzato tutto Il commissario Montalbano.
La morte cadeva pesante
sulle scene. Il dolore si palpava quasi. Nulla era banalizzato,
volgarizzato, ridotto.
E poi c'era la vecchiaia. I grandi vecchi di questa lunga serie riacquistano la saggezza rubatagli dalla modernità. I vecchi non sono personaggi vuoti ma protagonisti. Sono definiti, duri, ricchi, antichi. E anch'essi dolenti di vita, di relazioni rotte, di passati che ritornano. O magari vivaci, brillanti. Ma mai banali. E raccontano storie, arricchiscono il quadro di, ancora una volta, profondità. Non c'è nulla del genere nella altre serie. Altrove i personaggi si muovono come dietro un vetro e si percepisce la finzione, l'inautenticità.
La serie ha sempre prediletto l'estetica, la cura minuziosa dei dettagli, la bellezza sfrontata. Ha affiancato tante volte l'estrema bellezza all'estrema violenza, la nascita alla morte. Unite, legate indissolubilmente.
Alla luce della battuta
da cui è partita la mia riflessione acquista senso anche quella che
resterà l'ultima. Alla stazione (anch'esso interessante luogo
simbolico) Montalbano abbraccia Antonia, scesa precipitosamente dal
treno. "E ora?" sussurra lui abbracciandola. "E ora siamo qui" risponde
lei. E ora cosa resta, che succederà, dove andremo? Domande tipiche di
ogni passaggio della nostra vita.
Ora, purtroppo e per
fortuna, siamo chiamati a volgere lo sguardo altrove. E a ricordarci di
quello che ci è stato donato in queste 37 puntate dal 1999 a oggi.