abbazia di montecassino
L’abbazia di Montecassino
sorge sull’omonimo rilievo di origine calcarea alto 516 metri, sede di
insediamenti umani fin dalla preistoria come documentato dai
ritrovamenti di stazioni preistoriche dell’età del ferro legate a culti
naturalistici.
La continuità di vita è attestata in epoche successive in quanto il
Monte Cassino fu sede di comunità dedite a culti pagani le quali
eressero due templi dedicati a Giove e Apollo e un sepolcro
monumentale, forse appartenente alla Gens Ummida, con una cripta
sottostante.
Il colle è famoso, ovviamente, per la presenza dell’Abbazia di
Montecassino il cui primo insediamento, nei pressi di un tempio
dedicato ad Apollo, risale al 529 per opera di San Benedetto; durante
gli scavi compiuti da Angelo Pantoni negli anni ’70 del secolo scorso,
sono emerse strutture di epoca romana forse pertinenti all’avamposto
romano nel quale si insediò Benedetto, come ricordato da Gregorio Magno
nella 'Vita di San Benedetto'.
Il primo nucleo di monaci guidati da San Benedetto dedicarono una
cappella a San Martino di Tours e una a San Giovanni Battista
utilizzando le restanti rovine dell’insediamento romano come rifugio
per la prima comunità. In questo luogo Benedetto trascorse gli ultimi
anni della sua vita scrivendo la Regola e organizzando una comunità
stabile in grado di accogliere i nuovi arrivati, conquistati dal nuovo
stile di vita religiosa. Della prima fondazione, che accolse le spoglie
mortali di Benedetto e della sorella Scolastica, più volte rinnovata e
ingrandita nel corso dei secoli per ovvie ragioni dettate dalle
esigenze della comunità, è stato possibile ricostruire l’impianto
primitivo costituito da una cella monabsidata scandita da lesene lungo
il muro d’invaso.
Nel 577 un reparto di longobardi guidati dal duca Zottone di Benevento
assediò la comunità benedettina provocando gravi danni alle strutture e
la dispersione della comunità che trovò riparo presso il San Giovanni
in Laterano a Roma. Nel 717 il bresciano Petronace, su sollecitazione
di Gregorio II (papa dal 715 al 731), si stabilì, insieme ad una
comunità di monaci, nel luogo della prima fondazione benedettina
provvedendo alla recupero delle fabbriche abbandonate al tempo
dell’incursione longobarda. L’abbazia crebbe sia in termini di monaci
che di prestigio tanto da essere destinataria di privilegi da parte di
papa Gregorio III e, successivamente, di Giovanni VIII. La comunità
conobbe una fase di grande progresso culturale e, soprattutto,
economico acquisendo terre e casali grazie alle donazioni di principi
longobardi tra cui, particolarmente generose quelle di Gisulfo II, duca
di Benevento. Queste terre costituirono il nucleo originario della
cosiddetta Terra Sancti Benedicti, un patrimonio che diverrà rilevante
in termini di estensione e di esercizio di poteri giurisdizionali
direttamente esercitato dall’abate.
Durante l’VIII secolo Montecassino divenne sede privilegiata per
intellettuali e personalità del rango di Villibaldo, evangelizzatore in
Germania, di San Sturmio, fondatore di Fulda, di Sant’Anselmo,
fondatore di Nonantola, che qui trovarono rifugio e accoglienza. Presso
l’abbazia si ritirarono anche l’imperatore Carlo Manno, fratello di
Carlo Martello, e Ratchis, re dei Longobardi. In quei fervidi anni lo
scriptorium dell’abbazia era dedito alla trascrizione di manoscritti
classici e testi sacri grazie anche ad una scuola prestigiosa diretta
nel 781-782 da Paolo Diacono storico dei Longobardi. Durante questa
fase di grande rinnovamento l’abate Gisulfo (797-817) avviò un
grandioso programma di interventi edilizi, come ci informa Leone
Marsicano, che produsse la radicale trasformazione della chiesa
originaria, nella quale era custodita la salma di Benedetto, in un una
basilica a tre navate, scandite da una sequenza di colonne, conclusa da
tre absidi che si aprivano su un transetto continuo. La nuova basilica,
così come quella di San Vincenzo Maggiore presso San Vincenzo al
Volturno, riprendeva nelle sue forme la basilica paleocristiana di San
Pietro a Roma, recuperando un programma antichizzante che stava
affermandosi in tutta l’Europa carolingia non solo in ambito
architettonico.
L’883 è un anno di cesura per Montecassino in quanto viene assalita e
saccheggiata da bande di soldati saraceni che causarono la dispersione
della comunità e la morte dello stesso abate Bertario rifugiatosi,
insieme agli altri membri della comunità, presso il cenobio del
Salvatore. La fase di crescita culturale ed economica, quindi, si
interruppe brutalmente e la comunità monastica, per la seconda volta
nella sua storia, fu costretta ad abbandonare il Monte Cassino e a
cercare rifugio in altri luoghi. I monaci si rifugiarono prima a Teano
e poi a Caserta in una situazione, però, di profondo disagio, causata
anche dalla presenza ingombrate del principe longobardo che impose un
suo parente come abate della comunità.
I monaci rientrarono nella sede originaria con l’abate Aligerno,
discepolo di Oddone abate di Cluny e grazie all’intervento di Papa
Agapito II (946-955) che si prodigò per far restaurare le fabbriche
abbandonate dopo l’assalto dei saraceni. Per Montecassino comincia una
fase di rinascita dove il consolidamento delle proprietà fondiarie
andava di pari passo con una ripresa delle attività culturali possibili
grazie alla disponibilità economica. Venne avviato un programma di
restauro e ristrutturazione del complesso monastico con il restauro del
soffitto della chiesa principale, la decorazione delle pareti con
pitture murali e il rifacimento del pavimento con marmi policromi.
Giovanni III, invece, si dedicò a rafforzare le difese della cittadella
facendo consolidare il recinto murario. Furono anni di grande fervore
costruttivo; l’abate Atenolfo (1011-1022), ad esempio, fece decorare
con pitture murali l’abside maggiore della basilica, mentre il
successore Teobaldo (1022-1035) fece aggiungere al fronte della
basilica un atrio con due torri che Richerio fece modificare dotandola
di portici a ricordo di modelli paleocristiani.
Gli interventi più radicali sull’abbazia furono compiuti da Desiderio
abate di Montecassino dal 1058 al 1087 – e poi papa col nome di Vittore
III – che volle dare concretezza anche visibile al ruolo politico che
intendeva far svolgere all’abbazia nelle complesse vicende
geo-politiche dell’Italia meridionale di quel periodo. Della prima fase
costruttiva dell’abbazia non restò praticamente più nulla; tutto venne
modificato e ricostruito sebbene un’idea della produzione artistica e
architettonica della Montecassino pre-desideriana possiamo determinarla
attraverso le testimonianze pittoriche nel complesso monastico di San
Vincenzo al Volturno. Con Desiderio, quindi, si apre una nuova fase per
Montecassino che coincide col periodo di maggiore attività nel campo
della produzione artistica ma anche col riconoscimento di un ruolo
politico autorevole e influente nell’Italia centro meridionale.
Desiderio si propose come intermediario e mediatore tra il Papato e i
Normanni sfruttando i vantaggi di una possibile alleanza coi nuovi
signori venuti dalla Normandia. Consolidare il potere economico
riorganizzando la proprietà fondiaria di Montecassino fu il primo
interesse di Desiderio che, nei primi anni della sua opera, promosse
pochi interventi edilizi limitandosi a restaurare le parti danneggiate
del complesso monastico.
Una volta consolidata la base economica, nel 1066, avviò un programma
di interventi edilizi finalizzato ad abbellire e a rendere magnificente
l’abbazia a partire dalla basilica. Oltre la chiesa principale venne
ristrutturata la residenza dell’abate, resa più funzionale e gradevole
la biblioteca, il dormitorio e la sala del Capitolo, non disdegnando
l’aspetto estetico con interventi decorativi sulle pareti e sui
pavimenti.
Nel 1066, quindi, i lavori ebbero inizio, affidati a maestranze
lombarde e amalfitane, per dare prestigio e importanza a Montecassino
anche attraverso la magnificenza estetico-funzionale.
Per prima cosa venne spianato il monte che avrebbe dovuto accogliere la
nuova e più ampia abbazia, in seguito si intervenne sulla nuova chiesa
articolata su tre navate scandite da sequenze di colonne terminanti su
un transetto continuo sul quale si aprivano tre absidi. Il presbiterio
era leggermente rialzato rispetto al piano della basilica per evitare
di danneggiare l’area su cui insisteva la sepoltura di Benedetto. Una
profusione di luce era assicurata da finestre aperte su tutto il
perimetro dell’edificio in numero di ventuno nella navata principale,
venti nelle navatelle e due nell’abside. L’ingresso era preceduto da un
quadriportico con otto colonne sul lato lungo e quattro su quelli brevi.
Desiderio diede un’impronta politica al programma di ristrutturazione
riprendendo nelle forme della chiesa la planimetria delle basiliche
paleocristiane di San Giovanni in Laterano e San Pietro a Roma. E’
probabile che il programma architettonico, basato sul segno della
continuità che trovava il suo apice a Roma, includesse parte degli
interventi effettuati dai predecessori di Desiderio soprattutto
riguardo le tematiche paleocristiane presenti nella basilica di
Gisulfo. Ma è l’appartato decorativo il segno di maggiore impatto sui
contemporanei; il quadriportico era rivestito da mosaici e affreschi,
il pavimento era in tessere marmoree, sontuoso e di grande ricchezza
l’arredo liturgico.
Le squadre di maestri che operarono a Montecassino dovevano essere di
origine costantinopolitana come testimoniato anche da Amato di
Montecassino. Cinque anni dopo l’avvio del grandioso programma di
ristrutturazione della basilica, inaugurata alla presenza del papa
Alessandro II (1061-1073) in una sorta di solenne consacrazione alla
quale furono invitati alti dignitari di corte sia laici che
ecclesiastici, presero il via i lavori sulle altre aree del complesso
monastico. Desiderio si dedicò alla ristrutturazione della biblioteca,
del refettorio, del dormitorio, della sala capitolare, del palazzo
abbaziale, delle officine, degli ambienti di servizio e, per ultimo,
dell’oratorio di San Martino idealmente legato direttamente al
fondatore san Benedetto.
Di tutto questo non si è conservato praticamente nulla; abbiamo
conoscenza delle vicende che si avvicendarono sotto Desiderio grazie al
resoconto dettagliato di Leone Marsicano dal quale è stato possibile
ipotizzare una ricostruzione planimetrica degli edifici fatti
ricostruire o ristrutturare da Desiderio. La perdita più significativa
è, senza dubbio, quella della decorazione pittorica che adornava gli
ambienti dell’abbazia e della quale possiamo farci un’idea del livello
raggiunto sia attraverso i codici miniati dell’abbazia, sia attraverso
alcuni cicli pittorici che si sono conservati in alcune chiese
dipendenti da Montecassino come Sant’Angelo in Formis.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it