pessimismo
Usato per la prima volta dal
Coleridge, questo termine si affermò soprattutto per opera dello
Schopenhauer, che del pessimismo fu il massimo teorico. In senso
generale, il pessimismo consiste nella tendenza sentimentale a
un'esperienza negativa e dolorosa del mondo; in senso filosofico, esso
è dato dalla giustificazione speculativa di tale esperienza, e si
distingue in "pessimismo empirico", quando la sua svalutazione colpisce
soltanto il mondo terreno e visibile, in antitesi a un migliore aldilà,
e in "pessimismo metafisico", se la sua svalutazione si estende alla
realtà universa. Secondo i particolari aspetti del reale a cui può
riferirsi la considerazione pessimistica, è dato parlare di pessimismo
"eudemonologico" (tesi dell'impossibilità o difficoltà di essere
felici), "etico" (tesi della sostanziale amoralità dell'uomo),
"storico" (negazione del progresso della civiltà), e via dicendo.
Nell'età classica, la concezione pessimistica della vita presente non
dà luogo a grandi formulazioni filosofiche, ma non è perciò meno
diffusa nella cultura comune. Tra i pensatori, decisamente pessimista
appare solo Egesia di Cirene (v.), il "persuasore di morte", al quale
si può avvicinare, per il tono di molte sue riflessioni, Marco Aurelio.
Ma già dalle età più antiche la letteratura ripete il motto che per
l'uomo la cosa migliore è non esser mai nato, e, se nato, varcare al
più presto le porte dell'Ade. E di questa esperienza è nutrita la fede
in una vita ulteriore, e il vagheggiamento dell'aldilà, che da un lato
compenetra il platonismo e dall'altro spiega la grande fortuna delle
religioni misteriosofiche, tutte orientate verso il riscatto dai mali
terreni in una superiore forma d'esistenza. Analogamente, essa permea
il cristianesimo, ottimistico nella sua concezione universale della
realtà e pur pessimistico nella sua esperienza della realtà terrena,
che ogni sua concezione soteriologica ed escatologica insegna a
fuggire. "Empirico", cioè ristretto al mondo dell'immediata esperienza,
è quindi essenzialmente il pessimismo antico e medievale; "assoluto" o
"metafisico" è invece quello che nella prima metà dell'Ottocento, dando
formulazione speculativa a uno dei motivi più profondi dello spirito
romantico, teorizza lo Schopenhauer (v.), seguito poi principalmente da
J. Bahnsen. Al leibniziano "migliore dei mondi possibili" lo
Schopenhauer contrappone il suo mondo, che è veramente il peggiore
possibile, in quanto ha la sua ultima radice nell'eterna
insoddisfazione della volontà cosmica. La concezione schopenhaueriana,
che diede origine ad ampie discussioni e polemiche, è rimasta
d'altronde l'unica formulazione veramente filosofica e universale che
sia stata data del pessimismo.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it