psichiatria
PSICHIATRIA (psychiatry;
Psychiatrie; psychiatrie; psiquiatría).
SOMMARIO: I. Statuto epistemologico della psichiatria. - II.
L’Ottocento. - III. Il rinnovamento novecentesco.
I. STATUTO EPISTEMOLOGICO DELLA PSICHIATRIA. – La psichiatria è la
disciplina che, nel contesto delle discipline mediche, si occupa dei
fenomeni e dei disturbi della vita psichica. L’appartenenza della
psichiatria al dominio delle scienze mediche, e delle scienze della
natura più in generale, non è tuttavia qualcosa di univoco e scontato.
Storicamente essa nasce, certo, da quest’ultimo ceppo, e mantiene a
lungo una marcata dipendenza da quell’insieme di saperi e discipline
legate alla neurologia e, in senso più lato, a quella matrice
materialistica e organicistica che ancora oggi tende a prevalere nel
suo impianto e nelle sue opzioni di fondo. Non vi è, nondimeno,
autentica psichiatria se non quando essa assume a oggetto della propria
osservazione, a tema della propria comprensione, a destinatario delle
proprie pratiche terapeutiche, non tanto o non soltanto un complesso di
sintomi, un’alterazione organica, un quadro patologico biologicamente
inteso e connotato, ma l’insieme della vita psichica del paziente, la
complessità vivente della sua esistenza, l’interezza delle sue
espressioni umane nelle molteplici e stratificate fondazioni di senso
che le sorreggono e le animano. La psichiatria si trova quindi
costitutivamente in bilico tra scienze della natura e scienze dello
spirito, secondo la distinzione che tanto rilievo assume già nella
riflessione di Dilthey e che nel capolavoro psichiatrico di Karl
Jaspers del 1913, l’Allgemeine Psychopathologie
(Berlin-Göttingen-Heidelberg 19597, tr. it. a cura di R. Priori,
Psicopatologia generale, Roma 1965), segna un’articolazione e
un’esigenza epistemologica decisiva. La psichiatria, nata come scienza
della natura, sconfina peraltro al di fuori di questo suo statuto
naturalistico non soltanto in direzione della psicologia, ma anche in
direzione, p. es., della sociologia e della filosofia. Non c’è,
infatti, possibile comprensione di una vita psichica, normale o
alterata, se non alla luce di una più allargata comprensione del mondo
di significati sociali e culturali entro cui essa si colloca e di cui
essa si nutre. Che cosa sia un corpo e che cosa sia una psiche, che
cosa sia la normalità di una vita psichica o di una funzione cerebrale
e cosa sia la loro anormalità, la loro follia, la loro sofferenza, sono
sempre e soltanto l’esito di grandi opzioni sommerse, di scelte di
campo, di costruzioni e convenzioni che solo in apparenza rispondono ai
criteri di un progetto scientifico specialisticamente chiuso e
autofondato entro i propri confini. Più radicalmente, tali opzioni
derivano alla psichiatria dalla sua preliminare Einstellung filosofica,
dalla sua integrale appartenenza alla vicenda dei saperi e delle
scienze che la filosofia ha inaugurato e promosso lungo una storia che
va «da Aristotele a Hegel», per usare una celebre, icastica formula di
Heidegger. A questo complesso statuto epistemologico della psichiatria,
infine, non sono estranee, come hanno via via mostrato gli studi di
Foucault, influssi, prestiti e debiti che risultano esterni sia
all’ambito delle scienze della natura sia all’ambito delle scienze
dello spirito, o delle scienze umane, come oggi sono più spesso
definite, quando siano intese nel loro significato anzitutto
filosofico, psicologico, antropologico. Influssi, prestiti, debiti nati
nel contesto di pratiche sociali, culturali, politiche nel cui
intreccio soltanto sono potute emergere quelle peculiari figure del
sapere e della pratica scientifica che sono lo psichiatra, l’ospedale
psichiatrico, il paziente psichiatrico così come oggi noi li
conosciamo. Ciascuna di queste polarità risente infatti di una
complessa genealogia storica che ne ha più volte cancellato e
ridelineato lo statuto, ora includendo ora escludendo valutazioni
morali e religiose, preoccupazioni sociali (si pensi, ancor oggi, al
complesso statuto di una disciplina di confine come la psichiatria
forense) e ambizioni filantropiche, metodologie mediche e approcci
detentivi o addirittura repressivi, sino a plasmare questo mobile
intreccio nella figura che ci è familiare, e che ci appare, alla
superficie, come un blocco di «realtà» monolitica e aproblematica.
II. L’OTTOCENTO. – Non vi è dunque una psichiatria, ma molte
psichiatrie. Non vi è un solo modo di fare psichiatria e di pensare la
psichiatria, ma molti modi di pensarla e di praticarla: storicamente
situati e filosoficamente condizionati, fatalmente assegnati a un loro
orizzonte di senso, e quindi a una loro parte di verità e a una
altrettanto costitutiva parte di cecità ad altri orizzonti di senso. Se
Foucault fa iniziare la sua Histoire de la folie à l’âge classique
(Paris 1963, tr. it. di F. Ferrucci, Storia della follia nell’età
classica, Milano 19908) con quella che egli definisce l’età del «grande
internamento» e che vede, alle soglie della modernità, la raccolta di
figure di umanità marginali, di mendicanti, di eccentrici, di
sofferenti, di malati in un unico luogo di confluenza e nel segno di
un’unica, incerta, confusa (ai nostri occhi) pratica di assistenza e di
presa in carico, è soltanto con il tardo Ottocento di Emil Kraepelin e
di Ernst Kretschmer, è soltanto con il primo Novecento di Eugen Bleuler
e di Kurt Schneider che la psichiatria clinica assume, nelle grandi
linee, lo statuto epistemologico, la configurazione terminologica, gli
schemi classificatori e i criteri diagnostici tuttora praticati e
condivisi. Quello che appariva come l’enigmatico fenomeno della
«follia», nella densità letteraria e filosofica del termine, nel suo
rimando mitologico e nel suo persistente enigma antropologico, si
organizza in questa congiuntura storica, scientifica, ideologica in
un’interpretazione di fondo che traduce la follia stessa in malattia,
in forma patologica, e che articola poi tale complesso morboso in due
grandi settori – la schizofrenia, che incarna la malattia mentale par
excellence, e la sindrome maniaco-depressiva – cui l’intera varietà
delle ulteriori manifestazioni psicopatologiche (i deliri e le
allucinazioni, nelle loro infinite metamorfosi) ineriscono come aspetti
ed espressioni parziali o secondarie. È, ancora, con l’Ottocento di
Wilhelm Griesinger che la psichiatria organicista elabora le premesse
di un’interpretazione neurologica e, oggi diremmo, psicobiologica, in
base alle quali, secondo un celebre motto griesingeriano, «le malattie
mentali sono malattie cerebrali», aprendo la strada al tempo stesso a
riduzionismi interpretativi e a pratiche d’intervento spesso ingenui e
insostenibili, quando non pericolosi e, al limite, criminali; ma anche
a direttrici di ricerca feconde e decisive come quella che, negli anni
cinquanta, ha portato alla nascita della moderna farmacopsichiatria con
la scoperta del primo antipsicotico triciclico da parte di Roland Kuhn
(l’imipramina, a tutt’oggi utilizzata) e alla conseguente apertura di
rivoluzionarie prospettive terapeutiche (che, va sottolineato, hanno
senso ed efficacia quando siano la premessa e il supporto a un rapporto
terapeutico radicalmente incentrato sulle direttrici jaspersiane della
comprensione e del dialogo).
III. IL RINNOVAMENTO NOVECENTESCO. – Il Novecento si è d’altra parte
aperto nel segno di un radicale rinnovamento filosofico e culturale
della psichiatria nella duplice direzione della psicoanalisi di Freud e
della fenomenologia di Husserl, ciascuna delle quali ha arricchito la
teoria e la tecnica psichiatrica in un modo a tutt’oggi irrinunciabile.
La psicoanalisi freudiana ha rinnovato incisivamente l’attenzione e la
capacità d’analisi tributata dalla psichiatria all’area infinita e
dilemmatica delle emozioni e dei sentimenti, delle vicende biografiche
e delle storie di vita. Ha così aperto la via a una comprensione
rivoluzionaria delle dinamiche psichiche, nella misura in cui esse sono
state riportate, da Freud e dai suoi discepoli e continuatori, a quella
fonte originaria e oscura che è l’inconscio nella sua contraddittoria
dimensione pulsionale, e altresì, in particolare, nella sua dimensione
pulsionale archeologica, quale si delinea e cristallizza nella prima
infanzia. È a questo sfondo freudiano che la neuropsichiatria infantile
deve il maggior impulso in direzione del suo attuale sviluppo, peraltro
nutrito di numerosi influssi postfreudiani (si pensi ai lavori
pionieristici di Melanie Klein, Anna Freud, poi di Françoise Dolto,
Daniel Stern, e di altro indirizzo, come ad es. il lavoro di Jean
Piaget e della sua scuola ginevrina. Anche la fenomenologia di Husserl
si è mossa alla ricerca di una radice più profonda della vita della
coscienza, facendo riemergere, entro la dimensione cristallina e
cartesiana delle sue formazioni di senso, uno strato archeologico più
antico e più persistente (la Lebenswelt, il «mondo della vita»), legato
alle dimensioni della corporeità, della percezione, della passività. Se
la psicoanalisi di Freud ha segnato le proprie acquisizioni più feconde
nell’ambito delle nevrosi, è nell’ambito d’interesse più propriamente
psichiatrico dell’analisi e della comprensione delle psicosi che la
fenomenologia di Husserl (e anche di Max Scheler) ha consentito i
progressi più significativi. Decisivo, in questo senso, è stato anche
l’approccio eidetico: la fenomenologia lo ha dapprima pensato come
esercizio di individuazione di strutture fondamentali all’opera in
determinati atti e formazioni categoriali e precategoriali – la
percezione, l’immaginazione, il ricordo, la coscienza del tempo e dello
spazio, le idealità matematiche e scientifiche – e la psichiatria di
indirizzo fenomenologico lo ha in seguito autonomamente sviluppato.
Quest’ultimo indirizzo ne ha ricavato una comprensione eidetica,
appunto, o strutturale, nel senso p. es. di Minkowski (Le Temps vécu.
Études phénoménologiques et psychopathologiques, Paris 1933, tr. it. di
G. Terzian, Il tempo vissuto. Studi fenomenologici e psicopatologici,
Torino 20042), delle modificazioni e trasformazioni cui vanno incontro,
nell’esperienza psicopatologica, le dimensioni del tempo vissuto, dello
spazio vissuto, del corpo vissuto, del linguaggio, della costituzione
intersoggettiva dell’orizzonte mondano. All’interno della linea
fenomenologica, pur in un’evidente autonomia, va collocato d’altra
parte il percorso di Heidegger (Sein und Zeit, Halle 1927, tr. it. di
P. Chiodi, Essere e tempo, Torino 200015), che alla fenomenologia ha
impresso a partire dagli anni venti del Novecento una declinazione
ontologica, per un verso, ed esistenziale, per un altro, e che alla
psichiatria ha trasmesso, specie attraverso la mediazione di Binswanger
e della Daseinsanalyse da lui elaborata tra gli anni trenta e quaranta,
una più profonda comprensione del concreto «esserenel-mondo» dell’uomo
e, dunque, delle concrete matrici fenomenologico-ontologiche delle
metamorfosi psicopatologiche dell’essere nel mondo (nell’allucinazione
e nel delirio, nella melanconia e nella mania, nel paesaggio ghiacciato
della schizofrenia). Ancora interne alla tradizione e alla problematica
fenomenologico-esistenziale sono le prime ricerche – ma anche, per
certi versi, le persistenti esigenze teoriche e progettuali – di autori
come Laing, Foucault, Basaglia, ciascuno dei quali ha rivestito un
ruolo decisivo, nel corso degli anni sessanta e settanta, nello
svecchiamento del sapere e della pratica psichiatrica in direzione di
una maggiore consapevolezza delle implicazioni teorico-politiche del
suo operare, delle radici e delle ricadute sociali di talune forme di
disagio psichico e di malattia mentale, dei limiti terapeutici delle
istituzioni e delle strategie terapeutiche tradizionali della
psichiatria. Strategie che tanto in Gran Bretagna quanto in Italia
hanno contribuito a riprogettare concretamente l’approccio medico alla
follia, in senso antipsichiatrico in terra inglese, in senso
antistituzionale nel contesto italiano; si sono così realizzate forme
di assistenza psichiatrica sempre più svincolate dal modello
tradizionale del manicomio e dell’ospedale psichiatrico, sempre più
indirizzate al decentramento dell’assistenza sul territorio e
nell’ambito di unità di piccole dimensioni, sempre più inclini a
risolvere il fatto psicopatologico in sintomo di una contraddizione
storico-politica (e la psichiatria stessa, di conseguenza, in una
socio-iatria o in una pratica tout court politica). Va ricordato infine
che Basaglia, sul finire degli anni settanta e al culmine di una lunga
stagione di sperimentazione di nuove forme di accoglienza e cura dei
pazienti psichiatrici, a Gorizia, ha direttamente ispirato, in Italia,
l’elaborazione di una legislazione in materia psichiatrica (la «legge
180», nota anche come «legge Basaglia») a tutt’oggi estremamente
avanzata. Un’area dilemmatica della psichiatria, che testimonia, una
volta di più, del suo situarsi e radicarsi in un decisivo crocevia
antropologico ed epistemologico, è quella della psichiatria
psicosomatica. Essa insiste tematicamente sull’intreccio tra disturbi
somatici e realtà psichiche, approfondendo per un verso i legami della
psichiatria con la matrice medica e biologica da cui essa storicamente
nasce, per altro verso riportando la dimensione del significato là dove
essa viene metodologicamente esclusa e cancellata dal procedere delle
scienze mediche d’impianto tradizionalmente naturalistico. La figura di
Medard Boss, medico e psichiatra svizzero il cui nome è legato a quello
di Heidegger, per averlo invitato a tenere una serie di celebri
incontri (noti come Zollikoner Seminare, 1959-1969, Frankfurt a.M.
1987, tr. it. di A. Giugliano, Seminari di Zollikon: protocolli
seminariali, colloqui, lettere, Napoli 20003), può essere indicata come
paradigmatica in quest’ambito. La sua ricerca si situa all’intreccio
tra filosofia e psichiatria, tra medicina e psicoanalisi, incentrandosi
su quel vero e proprio banco di prova delle scienze umane e naturali
(forse, banco di prova della sensatezza o insensatezza di questa stessa
partizione), che consiste nel problema della cosiddetta «scelta
dell’organo» (della comprensione, cioè, dei percorsi che fanno sì che
una data affezione psichica si leghi elettivamente a un’ipertensione,
p. es., o a una sindrome asmatica, e così via).
Bibliografia
Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano 2006