realismo
FILOSOFIA
Nella filosofia scolastica, l’attribuzione di una realtà oggettiva ai
concetti universali. Nella filosofia moderna, ogni dottrina che
consideri l’oggetto della conoscenza come esistente in sé,
indipendentemente dall’attività conoscitiva.
1. Il r. della filosofia scolastica
Il termine r. comincia a essere usato nella scolastica, in rapporto con
la grande questione degli universali: sostenendone la realtà oggettiva,
i realisti si oppongono ai nominalisti (➔ nominalismo) e ai
concettualisti (➔ concetto). Capo della scuola realistica propriamente
detta è Guglielmo di Champeaux; tra i massimi seguaci del r. scolastico
sono da ricordare, oltre a s. Tommaso, s. Anselmo d’Aosta e Giovanni
Duns Scoto.
2. Il r. nella filosofia moderna
Nella filosofia moderna il r. si oppone all’idealismo: le diverse forme
di r., pur affermando tutte genericamente l’indipendenza della realtà
empirica e sensibile, in contrapposizione al tentativo idealistico di
ridurla al mentale, si differenziano tra di loro a seconda del tipo di
idealismo contro cui polemizzano.
Così, in nome del r. si batté la corrente filosofica iniziata da T.
Reid e continuata con D. Stewart, W. Hamilton e altri pensatori di
lingua inglese. In contrasto con la tesi di origine cartesiana e
lockiana che l’oggetto specifico della conoscenza siano le idee, ossia
le rappresentazioni mentali, e con gli esiti scettici di G. Berkeley e
D. Hume, i rappresentanti di questa corrente, appellandosi a un r. del
‘senso comune’, proponevano di identificare con le stesse cose reali
l’oggetto proprio delle percezioni sensibili.
In funzione anti-idealistica si richiamò al r. empirico anche I. Kant,
quando nella Critica della ragion pura negò la possibilità di dedurre
integralmente i fenomeni dagli elementi a priori della conoscenza e
dunque la necessità di riconoscere in essi un nucleo indipendente e
reale immediatamente percepito dal soggetto nella sensazione. Contro le
varie forme di idealismo di J.G. Fichte, F.W. Schelling, G.W.F. Hegel,
si schierò J.F. Herbart con un’ontologia pluralistica che riconosceva
come esistenti al di fuori del soggetto conoscente una molteplicità di
esseri o reali. Ancora in funzione anti-idealistica si presenta il
movimento verso l’oggettività che ebbe tra i suoi iniziatori F.
Brentano e A. von Meinong e che influenzò E. Husserl nelle prime fasi
della sua riflessione.
Nella cultura anglosassone, contro le analisi di B. Bosanquet, F.
Bradley e T.H. Green, alla fine del 19° sec. J.C. Wilson iniziava
quella confutazione dell’idealismo che trovò nelle pagine di G.E. Moore
e B. Russell una più sistematica formulazione. Moore affermò l’istanza
realistica di un’irriducibilità del reale al mentale e della necessità
di riconoscere nella sensazione la presenza di due elementi che sono in
una relazione del tutto estrinseca tra di loro. Non diversamente
Russell in una prima fase del suo pensiero non solo sostenne
l’irriducibilità del reale a ciò che è percepito, ma cercò di fondare
le sue scoperte in logica e matematica su un’ontologia realistica che
dava un’autonoma esistenza alle relazioni logiche, ai significati e ai
numeri.
Nel 20° sec. è stato in particolare il pensiero statunitense a
riprendere la problematica del r., ricollegandosi alla confutazione
dell’idealismo di Moore. Nel 1910 comparve un vero e proprio manifesto
del neorealismo i cui esponenti più significativi furono W.P. Montague,
R.B. Perry, E.B. Holt, T.P. Nunn, S. Alexander: esso identificava il
dato sensoriale oggetto diretto della conoscenza con le stesse cose e
qualità reali. A questa conclusione si opporranno successivamente gli
esponenti del r. critico (A.O. Lovejoy, J.B. Pratt, G. Santayana, R.W.
Sellars), avanzando una teoria della conoscenza che vede la presenza di
almeno tre elementi: l’atto percipiente, il carattere o dato
direttamente colto nella percezione e la cosa od oggetto extramentale a
cui il dato, essendone un segno, rinvia.
3. Il r. nella filosofia della scienza
Il problema del r. ha ricevuto nuova attenzione nella filosofia della
scienza contemporanea all’interno del dibattito sullo status ontologico
delle entità teoriche (non osservabili) postulate dalle teorie
scientifiche. Alle prospettive fenomeniste e convenzionaliste, tendenti
a considerare le teorie scientifiche come utili strumenti per la
sistematizzazione dell’esperienza, K.R. Popper ha contrapposto la tesi
che le teorie scientifiche descriverebbero in modo sempre più adeguato
una realtà indipendente. Entro tale prospettiva Popper ha ripreso la
definizione semantica di verità di A. Tarski, riproponendo il concetto
di verità come corrispondenza e considerando la successione storica
delle teorie scientifiche come un continuo avvicinamento alla verità.
Posizioni realiste ha sostenuto anche H. Putnam, che tuttavia,
dall’originaria adesione a un r. metafisico, per il quale esiste una
totalità data di oggetti indipendenti dalla mente che le teorie
scientifiche, se vere, descrivono oggettivamente, si è poi orientato,
in parte sotto l’influsso di N. Goodman, verso un r. interno che
riconosce la parziale dipendenza della realtà dai modi in cui viene
descritta e concettualizzata. Quest’ultima posizione è soprattutto un
tentativo di salvaguardare l’oggettività scientifica dal relativismo di
T. Kuhn e P. Feyerabend, che ridimensionavano l’immagine del sapere
scientifico come accumulo di teorie sempre più vere proponendo, in sua
vece, la tesi della dipendenza delle ontologie scientifiche da
presupposti e ‘schemi concettuali’ storicamente mutevoli. La
prospettiva di Putnam si inquadra così nella crisi della teoria della
conoscenza come rispecchiamento (o rappresentazione) e nel recupero
della tradizione pragmatista rappresentato, tra gli altri, da R. Rorty,
per il quale, più che nei termini della corrispondenza a una realtà
data, il discorso scientifico va valutato in base alla sua conformità a
sistemi di credenza e pratiche intersoggettivi.
LETTERATURA E ARTE
In letteratura e nelle arti figurative, tendenza a rappresentare la
vita quale si presenta a una rigorosa osservazione, non alterata per
desiderio di idealizzarla.
1. Il r. in letteratura
Una specifica tendenza realistica, con caratteri storicamente
differenziati, va affermandosi in Occidente nel campo della
letteratura, dal 18° sec. in poi, parallelamente al progressivo
affermarsi della borghesia come classe sociale egemone e al conseguente
definitivo superamento della tradizionale divisione degli stili
(sublime, mediocre, umile), che aveva relegato nell’ambito dei generi
minori ogni rappresentazione troppo esplicita della realtà o della vita
degli umili. Divenne così possibile fare oggetto di rappresentazione
artistica le classi medie e la loro vita (dramma borghese, romanzo
borghese); mentre le classi popolari, protagoniste fino allora quasi
unicamente della letteratura variamente ‘comica’, cominciavano ad
apparire anche in quella ‘seria’. Contemporaneamente il Romanticismo,
ribellandosi contro i motivi e gli ornamenti tradizionali della
letteratura, e ponendo al centro della nuova poetica l’esigenza di
‘interessare’ i lettori parlando nel loro linguaggio dei loro problemi
e dei loro affetti, faceva in sostanza leva sulla loro concreta
esperienza di osservazione quotidiana, e apriva quindi alla poesia il
dominio della realtà. Il r. è dunque per sua natura schiettamente
romantico, anche se fu spesso in polemica con il Romanticismo,
identificato con la letteratura variamente patetica, vaporosa e
sentimentale, che ne costituisce solo uno degli aspetti.
In senso ancora più specifico, ‘realistica’ è chiamata comunemente la
letteratura teatrale e narrativa che ha il suo luogo d’origine e il suo
centro di irradiazione in Francia, la sua fioritura nel periodo tra il
1830 e il 1870, il suo massimo artista in H. de Balzac, i suoi filosofi
in H. Taine e in A. Comte. Borghesi i temi (famiglia, matrimonio,
affari) nel teatro di É. Augier, nei romanzi di Balzac, trattati con
apparente distaccata obiettività, mentre Stendhal, riconosciuto
realista postumamente, mescola al suo sanguigno r. la forte carica
passionale del suo temperamento personale. In tale senso stretto il r.
si distingue dal successivo naturalismo di É. Zola e seguaci, e dal
verismo italiano, che tuttavia, in modi diversi, del r. romantico
possono essere considerati la naturale evoluzione.
Nel corso dell’Ottocento il r. si diffonde in quasi tutta l’Europa,
così che in vario modo realisti possono essere considerati, per citare
i maggiori, A. Manzoni e I. Nievo, N. Gogol´, F. Dostoevskij e L.
Tolstoj, W. Thackeray e C. Dickens, G. Büchner e T. Fontane. Quel che
distingue il r. dell’ultimo Ottocento dalle precedenti fasi realistiche
è il rilievo che in esso assumono i problemi sociali, anche come
conseguenza del diffondersi dell’ideologia socialista. Il r., diceva F.
Engels, significa, «a parte la fedeltà nei particolari, riproduzione
fedele di caratteri tipici in circostanze tipiche»; esso deve quindi
tendere non tanto a una riproduzione meccanica della realtà, quanto a
individuare, attraverso certi tratti tipici di una determinata fase
storica, le tendenze di fondo della società.
Il carattere implicitamente pedagogico e prescrittivo di questa teoria
del r. si accentuò nella Russia sovietica, dove l’istanza di un’arte
rivoluzionaria, alternativa all’arte borghese e coerente con il
progetto di edificazione della nuova realtà socialista, dopo la vivace
sperimentazione degli anni 1920, si venne cristallizzando in una sorta
di poetica di Stato, detta appunto r. socialista, in forme via via più
soffocatrici della libertà creativa (il cosiddetto zdanovismo), almeno
fino al ‘disgelo’ seguito al 20° congresso del Partito comunista
dell’URSS (1956).
Se il r., come specifica tendenza letteraria, è fenomeno squisitamente
ottocentesco, come istanza formale esso continua in varie forme nel 20°
sec., non soltanto nel r. socialista: basti pensare alle forme
peculiari assunte dal r. nella letteratura ispano-americana. In Italia,
a parte l’episodio circoscritto del r. magico di M. Bontempelli, una
significativa ripresa d’interesse per il r. si ebbe, soprattutto negli
anni successivi alla Seconda guerra mondiale, con il cosiddetto
neorealismo che, preannunciato negli anni 1930 dalla nuova attenzione
per la letteratura statunitense (C. Pavese, E. Vittorini), si propose
un rinnovamento della letteratura in senso democratico, a partire dalle
tematiche della Resistenza, dell’antifascismo, delle lotte contadine
nel Sud ecc., non senza il rischio di cadere in una retorica di tipo
populistico.
2. Il r. nell’arte
2.1 Il r. nel 19° secoloCome tendenza storica, il r. nel campo delle
arti figurative si afferma in Francia, negli altri paesi europei e
negli USA tra il 1840 e il 1870. Il modello induttivo positivista, con
la sua fede nei fatti, e la nuova concezione scientifica della storia
sono alla base di un atteggiamento chiarito dalla famosa dichiarazione
di G. Courbet del 1861: «la pittura è un’arte essenzialmente concreta e
può consistere solo nella rappresentazione di cose reali ed esistenti».
La pittura realista tende a una rappresentazione oggettiva, fondata
sull’attenta investigazione della realtà e su una visione intuitiva,
libera da pregiudizi; c’è in questo una sostanziale contiguità con il
r. letterario di L.-E.-E. Duranty e Champfleury, che sottolineano il
dovere dell’artista di interpretare la propria epoca e collegano il r.
ad aspirazioni politiche umanitariste. Gli artisti indagano la società
nei suoi aspetti più umili ed emarginati, ricercano la veridicità e
l’impegno morale, rifiutando la pratica e il repertorio accademico;
raffigurano paesaggi e personaggi locali, formano colonie artistiche
secondo una tendenza comune per tutto l’Ottocento. Già durante la
monarchia di Luigi Filippo si osservano i segni di un interesse per la
società contemporanea, benché solo nell’ambito della satira politica e
di costume (E.-L. Lami, P. Gavarni). Da questo ambito si stacca H.
Daumier, che unisce allo sguardo implacabile sulla società un
magistrale controllo della resa fisionomica. Il rivolgimento del 1848
favorisce l’orientamento realista: il Salon di quell’anno accoglie
pittori ‘provinciali’ come A. Leleux con quadri di contadini bretoni,
C. Chaplin con tipi dell’Alvernia, F. Bonhommé con scene di vita
operaia. Prima manifestazione pubblica del movimento realista è il
padiglione allestito da Courbet nel 1855 con opere rifiutate dal Salon.
L’operare dell’artista si configura anche come una presa di posizione
ideologica, che ha punti di contatto con la ‘filosofia del progresso’
di P.-J. Proudhon e la sua idea di arte come celebrazione e insieme
critica morale dell’esistenza concreta. Il tema del lavoro, nelle due
dimensioni della città e della campagna, diviene centrale nel movimento
realista, come nell’opera dei due svizzeri F. Simon e A. Anker. L’aspra
condizione della vita contadina è espressa con pathos nobile ed eroico
da J.-F. Millet. L’epica contadina è centrale anche in M.-C.-G. Gleyre,
J. Breton e A. Legros. Intorno al 1870 si chiude la stagione del primo
r.; mentre alcune delle sue istanze più avanzate sono raccolte da
pittori come E. Manet e dal nascente impressionismo, si afferma una
tendenza più propriamente naturalista. La fedeltà fotografica, la
predilezione per aspetti patetici o bozzettistici, caratterizzano tale
orientamento, rappresentato da J. Bastien-Lepage e P.-A.-J.
Dagnan-Bouveret, accanto a J.-E. Buland, H.-J.-J. Geoffroy, N.
Goeneutte, L. Lhermitte, J.-F. Raffaëlli, A. Roll. La facilità
comunicativa, il messaggio sociale non problematico, fanno del
naturalismo uno stile ufficiale, utilizzato anche per opere pubbliche
della Terza repubblica francese.
In Belgio e nei Paesi Bassi stretti rapporti con la cultura naturalista
presentano E. Claus, A. Collin, C. Douard, L. Frédéric; drammatica e
vigorosa è invece la scultura di C. Meunier, centrata sulle condizioni
di vita operaia. In Gran Bretagna, l’interesse per la realtà di F.M.
Brown e, nell’ambito preraffaellita, di W.H. Hunt prepara
l’affermazione del naturalismo di G. Clausen, S.A. Forbes, F. Goodall,
H.H. La Thangue, H. von Herkomer; vanno ancora ricordati F. Bramley,
gli scozzesi J. Guthrie e H.S. Tuke, l’irlandese F. O’Meara. In Russia
il gruppo dei Peredvižniki (Ambulanti), formatosi nel 1870, apre la
cultura russa al r. europeo. La riscoperta della vita e dei costumi
popolari è centrale per i pittori attivi nella tenuta di Abramtsevo (I.
Kramskoj, V. Perov, V. Polenov, V. Surikov, I. Repin). In Germania, A.
Menzel inaugura la stagione realista con una pittura di forte impegno
sociale, seguito da M. Liebermann e dal primo L. Corinth; capofila
della tendenza naturalista è W. Leibl, con una pittura caratterizzata
dalla ricerca di verità ‘ottica’. Colonie artistiche naturaliste
sorgono in Ungheria, dove S. Hóllosy organizza quella di Nagybánya, e
nei paesi scandinavi, a Skagen, con C.E. Skredswig e P.S. Kröyer. Negli
USA il r. ha i maggiori interpreti in T. Eakins e W. Homer; una nutrita
colonia di naturalisti americani, tra cui A. Harrison, L.B. Harrison,
G. Melchers, C.S. Pearce, è presente in Bretagna intorno al 1880.
L’orientamento realista si diffonde in Italia dal 1855, soprattutto a
Firenze, dove si forma il gruppo dei macchiaioli, rappresentato da G.
Fattori, S. Lega, T. Signorini e dallo scultore A. Cecioni. Più
incerto, a tratti regressivo, il rapporto con il r. degli altri pittori
italiani del secondo Ottocento. A Napoli, testimoniano l’interesse per
il degrado sociale meridionale G. Toma, T. Patini e lo scultore A.
d’Orsi. Nelle regioni settentrionali, aderiscono alla tendenza verista
G. Favretto, C. Pittara e lo scultore V. Vela; in una temperie già
divisionista, ma legata a temi realisti, operano A. Morbelli, A.
Pusterla, E. Longoni.
2.2 Il r. nel 20° secoloCon il 20° sec. il r. subisce una radicale
trasformazione. Il concetto di realtà si amplia e diversifica,
conducendo a diverse soluzioni formali (V. Kandinskij nel 1912 indica
come decisivo il fine ‘interno’ di verità), sino a esiti integralmente
non figurativi (Manifesto del realismo di N. Gabo e A. Pevsner, 1920).
Di r. in senso courbettiano si può ancora parlare per le esperienze che
contrappongono alla convenzionale verosimiglianza del naturalismo un
proficuo rapporto con la lezione formale del postimpressionismo e delle
avanguardie. I realisti della Secessione berlinese, H. Baluschek, K.
Kollwitz e H. Zille, aprono il secolo con una pittura di forte impegno
politico e di grande asciuttezza formale, che prepara gli sviluppi
degli anni 1920. Negli USA, il gruppo The eight (A.B. Davies, W.
Glackens, R. Henri, E. Lawson, G. Luks, M.B. Prendergast, E. Shinn, J.
Sloan), fondato nel 1908, si propone di rappresentare la vita urbana
con l’immediatezza praticata negli stessi anni in Gran Bretagna da W.
Sickert, capofila del Camdem Town Group.
Le conseguenze sociali della Prima guerra mondiale, il ritorno
all’ordine e alla figurazione in campo artistico, sono decisivi per gli
sviluppi del realismo. Nella Germania di Weimar vi sono associazioni di
tendenza realista: Novembergruppe, con M. Pechstein, G. Tappert, M.
Melzer ecc.; Gruppe 1919, di più marcata radice espressionista, con C.
Felixmüller e O. Lange; Rote Gruppe, dall’esplicito programma
rivoluzionario. Un’impietosa messa a nudo della realtà è attuata con
modi diversi: da quelli vicini al ‘montaggio’ dadaista di R. Haussmann,
H. Höch, alle varie declinazioni della Neue Sachlichkeit, vicine
all’espressionismo quelle di O. Dix, G. Grosz, L. Grundig, G. Jürgens
(e, come figura isolata, di M. Beckmann), più affini all’esempio
italiano di Valori plastici quelle di C. Mense, C. Schad, R.
Schlichter, E. Thoms. L’esempio del r. politico tedesco fu raccolto in
Unione Sovietica dai ‘pittori da cavalletto’ A. Dejneka e J. Pimenov,
che trattano temi di vita sovietica in uno stile denso di riferimenti
alle avanguardie; il r. socialista degli anni 1930 si presenta invece
come una ripresa accademizzante, in linea con l’ostilità ufficiale
verso le avanguardie; si afferma un’arte celebrativa e stereotipa,
adottata dopo il 1945 da tutti i paesi socialisti. Realista può essere
considerato negli anni 1920-30 anche il muralismo dei messicani J.C.
Orozco, D.A. Siqueiros e D. Rivera, il cui linguaggio mescola fonti
popolari, antiche e moderne, in linea con il progetto di un’arte per la
collettività. Una tendenza realista si afferma negli USA dopo la grande
depressione, nel quadro del New Deal roosveltiano e di una riscoperta
in chiave antiavanguardista delle radici culturali nazionali (T.H.
Benton, G. Bellows, P. Evergood, E. Hopper, G. Pène du Bois, B. Shahn,
G. Wood). In Italia, l’espressione r. magico si riferisce alla stagione
di Valori plastici e poi di Novecento, dove dominano le atmosfere
sospese di A. Donghi, F. Casorati, L. Dudreville.
Di r. impegnato politicamente si torna a parlare solo alla fine degli
anni 1930, quando, sull’esempio picassiano di Guernica, si forma il
movimento Corrente(R. Birolli, B. Cassinari, R. Guttuso, A. Sassu, E.
Treccani ecc.); lo stesso gruppo, insieme a R. Vespignani, M.
Mazzacurati, A. Pizzinato e altri, sarà protagonista, dopo la
Liberazione, di un dibattito sul ruolo del r. nella cultura italiana.
Il gruppo francese Nouveau réalisme (1960) si propone di ristabilire un
rapporto diretto tra l’arte e la realtà individuata nei mass-media e
nel mondo degli oggetti di consumo. Nell’ambito della pop art, si
diffonde un rinnovato interesse per il r., con G. Segal, P. Pearlstein,
J. Rosenquist. Un’immagine aggressiva della realtà è invece
caratteristica saliente dell’iperrealismo degli scultori J. De Andrea,
D. Hanson, e dei pittori C. Close, A. Flack, G. Johnson. Successive,
infine, sono le ricerche, condotte soprattutto con il mezzo
fotografico, di artisti come M. Clegg & M. Guttman, T. Struth, A.
Serrano.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it