rivoluzione scientifica



Una delle matrici della modernità

Tra la metà del 16° secolo e i primi decenni del 17° una serie di idee ‘rivoluzionarie’ trasformò l’immagine della natura ereditata dall’antichità, dando vita a una vera e propria rivoluzione scientifica. La sua nascita si fa risalire per convenzione al trattato Le rivoluzioni delle sfere celesti (1543) di Copernico. La grande svolta da questi avviata, e confermata dalla meccanica celeste di Keplero e di Newton, consisté nell’applicare il calcolo matematico alla fisica, nel porre domande alla natura, cioè sottoporla a indagini sperimentali, e nel ‘costringerla’ a rispondere. Altrettanto convenzionalmente, la fine della prima rivoluzione scientifica viene collocata nel 1687, quando Newton pubblica i suoi Principi matematici, il punto più alto raggiunto dalla scienza naturale del Seicento

Antichi e moderni

Nonostante le sue grandi novità, la rivoluzione scientifica deve molto agli antichi scrittori di scienza, riscoperti dagli umanisti del Quattrocento e del Cinquecento. La teoria fisico-cosmologica elaborata da Aristotele e sviluppata nel 2° secolo d.C. dall’astronomo egiziano Tolomeo, che aveva dominato per tutto il Medioevo, entrò in crisi quando furono recuperati i libri di Euclide, di Archimede e del geometra greco Pappo vissuto nel 3° secolo. La medicina rinacque invece con la riscoperta dei trattati di Ippocrate e di Galeno (2° secolo d.C.), la botanica con quelli del medico greco Dioscuride del 1° secolo e del filosofo Teofrasto del 3° secolo, la storia naturale nel 1° secolo con lo scrittore latino Plinio il Vecchio.

La nuova scienza rilesse il libro della natura attraverso l’occhio degli antichi: Copernico si richiamò alle intuizioni dei pitagorici (Pitagora) e modificò, senza abbandonarlo del tutto, il sistema tolemaico di orbi, epicicli ed eccentrici; Galilei rielaborò la statica e i metodi matematici di Archimede; Keplero poté calcolare le orbite planetarie grazie ai lavori sulle sezioni coniche del matematico greco Apollonio di Perge vissuto tra 3° e 2° secolo a.C. Lo stile matematico di Euclide e di Pappo fu adottato da Newton nei Principi matematici della filosofia naturale (1687) e nell’Ottica (1704), opere nelle quali culminò la prima rivoluzione scientifica. Ma se molti aspetti del sapere antico entrarono così a far parte della scienza moderna, altri aspetti, come le credenze magiche e astrologiche, l’alchimia e le speculazioni numerologiche, ben presenti agli stessi protagonisti, decaddero presto come pseudoscienze.

Il mago e lo scienziato

In un periodo di transizione la mentalità scientifica e quella magica (magia) si sovrapposero per le loro innegabili analogie. Il mago tradizionale pretendeva di fare propri i segreti della creazione mediante parole misteriose, ottenendo in tal modo il dominio delle forze naturali; quanto agli uomini di scienza, essi avevano ambizioni simili, ma le perseguivano con metodi profondamente diversi. Le ricerche degli scienziati erano sottoposte al giudizio della comunità scientifica, le esperienze si ripetevano in pubbliche assemblee, i risultati erano considerati provvisori. I fini del mago erano misteriosi e riservati a pochi iniziati, mentre gli scienziati si proponevano di giovare al progresso e al benessere della comunità umana, secondo un progetto annunciato nel Nuovo organo e nella Instauratio magna da Francesco Bacone, vissuto tra 16° e 17° secolo. Pur senza contribuire alle nuove discipline scientifiche, il filosofo inglese rigettò la magia, criticò la concezione aristotelica del metodo scientifico e della logica, contribuì al recupero della filosofia corpuscolare (materialismo), di Democrito, vissuto tra 5° e 4° secolo a.C., di Epicureo, attivo tra 4° e 3° secolo a.C., e di Lucrezio del 1° secolo a.C., che costituì lo sfondo teorico della nuova fisica.

La nascita delle società scientifiche

Un altro merito di Bacone fu l’intuizione profetica di una «Casa di Salomone», un palazzo allegorico abitato da dotti, nell’utopia della Nuova Atlantide, che prefigurò la nascita delle società scientifiche. Nel momento in cui in Inghilterra un gruppo di scienziati fondò la Royal society, in Italia il mecenatismo della famiglia fiorentina dei Medici aveva già dato vita all’Accademia del Cimento, mentre in Francia sorgeva l’Académie des Sciences. Così, attorno al 1660, la ricerca scientifica europea fu istituzionalizzata, si crearono nuove professionalità e la comunità internazionale di astronomi, fisici, medici, meccanici, naturalisti poté scambiare informazioni riguardo alle osservazioni, ai metodi e alle scoperte, ripetere gli esperimenti e discuterne i risultati. Un gran numero di società collegate sorse in Germania, in Russia, in Svezia e fin nelle più piccole corti o città provinciali di tutta Europa.

La mente, la mano, le macchine

Ci si è chiesti spesso perché gli antichi non erano stati in grado di sviluppare le loro idee scientifiche. Una possibile risposta è che essi privilegiarono la mente rispetto alla ‘mano’, la contemplazione rispetto alla tecnica e – con alcune limitate eccezioni, tra le quali spiccano Archimede, il matematico e fisico greco del 1° secolo a.C. Erone e l’architetto romano Vitruvio vissuto nel 4° secolo d.C. – lasciarono ai ‘meccanici’ la pratica degli strumenti. Al contrario, un aspetto centrale della rivoluzione scientifica fu appunto la convergenza tra manualità e teorie. Il cannocchiale che Galilei costruì e rivolse verso il cielo gli consentì la scoperta dei satelliti di Giove, l’osservazione diretta della Luna, degli anelli di Saturno e della Via Lattea. Le scoperte annunciate nel Sidereus nuncius (1610) distrussero gli orbi di cristallo immaginati da una lunga tradizione, contribuirono a eliminare le antiche distinzioni di dignità e di sostanza tra la Terra e gli altri corpi celesti, privarono di ogni giustificazione teorica la fisica di Aristotele, e imposero la necessità di creare una nuova scienza del moto e una nuova fisica. Galilei nel suo trattato Sul moto pose le basi della meccanica razionale, che fu sviluppata nel Seicento dall’olandese Christiaan Huygens, da Cartesio, dall’inglese Robert Hooke e dall’italiano Giovanni Alfonso Borelli, fino a confluire nei Principi matematici di Newton. La nuova meccanica fu detta anche inerziale perché si fondava sul principio del moto rettilineo uniforme nel vuoto, in assenza di forze: un concetto astratto, allora non verificabile sperimentalmente, che sostituì con successo il primato aristotelico del moto circolare.

Il ruolo delle macchine

Se le leggi del moto si fondano su questo principio di inerzia, sarebbe stato tuttavia impossibile formularle senza l’apporto delle tecniche manuali: Galilei fece rotolare le sue sfere su piani inclinati per misurare la velocità di caduta dei gravi e formularne la legge; Galilei e Huygens gettarono le basi dell’orologeria studiando i moti dei pendoli, che permisero a Newton di calcolare le variazioni della forza di gravità a varie altezze. Evangelista Torricelli, Blaise Pascal e l’irlandese Robert Boyle dimostrarono l’esistenza del vuoto con il barometro. Le macchine di Erone, usate dagli antichi a scopi pratici, o quelle immaginate da Leonardo da Vinci, furono realizzate nel Cinquecento e descritte in un gran numero di «libri di macchine». L’esperimento mentale consistente nello smontare e rimontare le parti del mondo fisico per studiarne le forze prese corpo grazie alla visione dell’Universo come macchina.

Anche lo studio degli esseri viventi si rinnovò grazie al modello meccanico, in base al quale Cartesio teorizzò il funzionamento del sistema nervoso e Borelli analizzò i moti degli animali. L’antica medicina galenica degli umori e dei temperamenti fu sostituita dalle teorie dette iatro-meccaniche: la scoperta della circolazione del sangue, nel trattato Sul movimento del cuore di William Harvey, è un modello di dimostrazione meccanica fondato sul calcolo della quantità di sangue che circola in tutto l’organismo nel corso di un’ora. Newton rifondò le teorie sulla luce e sui colori usando il prisma come strumento di scoperta. La tecnica delle lenti fu applicata a telescopi astronomici di crescente potere risolutivo, che consentirono uno studio sempre più preciso del Sistema Solare e delle costellazioni. Verso la fine del Seicento le lenti del microscopio permisero agli olandesi Jan Swammerdam e Antony van Leeuwenhoek e all’italiano Marcello Malpighi di studiare la struttura degli organi e dei fenomeni della generazione, suggerendo nuove teorie sui processi vitali.





Bibliografia

da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it