Sacra di San Michele a Sant'Ambrogio di Torino



Cenni storici


La Sacra di San Michele affonda le proprie radici in complesse vicende non ancora chiarite e spesso legate a episodi leggendari. L’antico e poderoso edificio sorge sulla cima del monte Pirchiriano, uno sperone roccioso, scenografico belvedere sulle Alpi Cozie, che segna l’inizio della Val di Susa. I Romani furono tra le prime popolazioni a stanziarsi in questo luogo che risulterà strategicamente rilevante solo con l’invasione dei Longobardi, che occuparono le Alpi tra il 569 e il 773. La fondazione del complesso è da ricondurre alla fine del X secolo, successivamente quindi alle alterne vicende che videro la Val di Susa al centro di aspri scontri e notevoli tensioni tra i Longobardi, i Franchi ed infine anche i Saraceni. All’alba dell’anno Mille la valle, grazie ad un periodo di tregua politico-militare, divenne un’importante arteria di pellegrinaggio che conduceva verso Roma e collegava i due santuari di San Michele, quello in Normandia (Mont-Saint-Michel) e quello sul Gargano. È dunque ragionevole collocare fra gli anni 983 e 987 l’approdo sul Pirchiriano di una piccola comunità guidata da San Romualdo e la costruzione sulla sua vetta delle prime due cappelle. Sempre entro la fine del secolo fu eretta una terza cappella (probabilmente ad opera dell’eremita San Giovanni Vincenzo); infine, per volere di Ugo di Montboissier (arrivato nel 999), fu iniziata la costruzione di una nuova e più ampia chiesa, proprio sopra i tre antecedenti edifici, divenuti ormai insufficienti. La costruzione dell’edificio religioso, diviso in tre navate e triabsidato, si protrarrà fino alla fine del priorato di Benedetto I (1002-1045). L’abbazia però dovette apparire ancora troppo piccola per ospitare l’intera comunità, tanto che l’abate Ermenegaldo, tra il 1099 e il 1131, ne avviò la costruzione di una nuova e di dimensioni maestose. In questo terzo cantiere furono attive importanti maestranze che impiegarono tutte le conoscenze dell’epoca per realizzare un’imponente ed arditissima struttura sulla quale fu eretta la nuova chiesa romanica: un nome da menzionare è quello dell’architetto e scultore Niccolò (attivo alla Sacra negli anni 1120-1130). In questi secoli l’abbazia conobbe il suo massimo splendore; infatti, oltre al cantiere della chiesa, ebbe inizio quello di altri edifici monastici. Il complesso cenobitico, oggi in rovina, fu infatti realizzato sul lato settentrionale: secondo alcune testimonianze, esso doveva ospitare una scuola e una biblioteca di grande interesse. L’abbazia rimase un attivo e fervido centro religioso fino alla fine del XII secolo; successivamente entrò in una fase di decadenza che portò nel 1379 alla sua soppressione da parte della Santa Sede e all’assegnazione in commenda ai Savoia. Nel 1622 l’ultimo sparuto gruppo di monaci abbandonò definitivamente l’abbazia, che fu addirittura cannoneggiata nel 1693.
Un certo interesse per l’antico complesso rinacque ai primi dell’Ottocento, quando Pio VII ristabilì la commenda. Ad essa fecero seguito dei lavori di consolidamento e lo stabilirsi di una piccola comunità di Certosini. Fallito questo primo tentativo, nel 1836 Carlo Alberto affidò la Sacra ai Rosminiani. Un secolo dopo (1937) furono intrapresi considerevoli lavori di restauro che interessarono l’intera struttura.

 

Descrizione del monumento
Il complesso oggi si presenta come un’audace struttura monumentale frutto delle soluzioni sperimentate intorno alla prima metà del XII secolo. Il poderoso santuario innestato sulla vetta del monte mostra un’architettura affascinante se osservato in relazione al suggestivo panorama alpino che circonda l’intera zona.
Sulla stretta strada che conduce alla cinta fortificata del Santuario si ergeva un piccolo edificio, denominato Sepolcro dei Monaci, ora in stato di rudere e risalente all’anno Mille. Presenta una pianta ottagonale, sui cui lati si aprivano quattro cappelle rettangolari (indicanti una croce greca) e quattro nicchie circolari. Il nome deriva dalla destinazione d’uso (cappella cimiteriale) ipotizzata per questa struttura, che riprende in parte le forme del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Il resto del complesso della Sacra, circondato – come si è detto – da possenti mura, è divisibile in tre parti: la prima comprendente ambienti e strutture riguardanti la foresteria e l’accesso al cenobio, la seconda l’abbazia con il vecchio monastero e l’ultima il Monastero Nuovo.
L’ingresso è in un’antica torre, la Porta di Ferro, così denominata per le lamine che ricoprono i battenti del portone; da questa struttura difensiva, eretta all’estremità sud, si giunge percorrendo una rampa ai piedi del possente basamento dell’abbazia. A lato della salita si erge la Foresteria, vero e proprio edificio indipendente, che testimonia il cospicuo transito di pellegrini; questo ospizio, risalente all’XI secolo, è fortificato e presenta una merlatura ghibellina. Addossato al maestoso basamento della chiesa è collocato l’antico monastero, la cui costruzione prese avvio tra il X e l’XI secolo; tuttavia sono presenti sulle murature chiare tracce di sutura che testimoniano come i lavori per l’innalzamento del monastero su tre livelli vennero frazionati in un lungo periodo di tempo.
L’abbazia, il cui piano di calpestio coincide perfettamente con la quota più alta del monte, poggia quasi totalmente su un basamento: un’ardimentosa soluzione ingegneristica dall’imponente mole. Questa massiccia e squadrata struttura, dominata da netti volumi e da un intenso colore grigio ferrigno, oltre a sorreggere la chiesa ne costituisce l’ingresso monumentale: al centro si apre un portale enfatizzato da un altissimo falso protiro. La poderosa e rigida facciata, con la sua particolare combinazione coloristica e geometrica, si interrompe bruscamente, lasciando spazio sulla sommità alle curve piene e verdastre della chiesa.
Oltrepassato il portale si accede ad una vasta e ripida scalinata che si inerpica in molti punti sulla viva roccia del monte; questo spazio fu per lungo tempo impiegato come luogo di sepoltura per i personaggi più illustri del monastero, per cui prende il nome di Scalone dei Morti. L’ambiente interno è sintomatico dell’architettura romanica per i caratteri possenti degli archi impostati sul grande pilastro centrale. La scalinata si conclude con un elaborato portale a tutto sesto che conduce ad un’ulteriore terrazza, sulla quale si apre l’ingresso della chiesa. Questo è il Portale dello Zodiaco, uno dei capolavori più significativi della scultura romanica, di cui non si conosce la collocazione originaria. I capitelli raffigurano sia episodi tratti dall’Antico Testamento (Caino e Abele, Sansone e Dalila), sia motivi floreali e zoomorfi (Leone con testa di drago, Donne che allattano serpenti). Essi sono disposti simmetricamente e separati sulla soglia del portale da due lesene elegantemente lavorate: quella di destra riporta la firma dello scultore (Maestro Niccolò), i dodici segni zodiacali e alcune scene di caccia; quella di sinistra, invece, mostra sedici costellazioni e numerosi motivi floreali e zoomorfi. Il pregevole manufatto è al centro di un vasto dibattito critico che, alimentato dalle numerose influenze riscontratevi, trova non poche difficoltà nel proporre una datazione certa e nell’individuare l’autenticità delle diverse parti. Alcuni studiosi collocano la sua realizzazione intorno al 1120 (prima delle esperienze piacentine di Niccolò, databili al 1123); un secondo filone critico, più plausibile, daterebbe invece il portale tra il 1125 e il 1135, e quindi subito dopo il cantiere di Piacenza ma prima dei lavori ferraresi (1135) e veronesi (1138-1139). Esiste poi un ulteriore dibattito circa l’assegnazione alla mano del maestro o alla sua bottega dei diversi frammenti, che risultano di fatture differenti. Attraverso la Porta dello Zodiaco si giunge alla terrazza (precedentemente menzionata) sovrastata da svettanti archi rampanti ed occupata in parte da ulteriori scalini, conducenti all’ingresso principale della chiesa. Il portale di accesso, anch’esso molto elegante, si apre sullo stesso fianco di quello dello Zodiaco e presenta una notevole strombatura decorata con colonnine policrome.
La chiesa presenta un impianto basilicale a tre navate che terminano con tre rispettive absidi, di cui quella centrale trifogliata e di dimensioni maggiori. L’esterno di queste ultime appare costruito su una serie di volumi curvilinei, alleggeriti dalla raffinata Loggia dei Viretti, una corona di archetti poggianti su sedici graziose colonnine ricche di capitelli. La parte occidentale dell’abbazia termina con un ambiente a pianta irregolare che in origine costituiva l’antica chiesa realizzata da Ugone; essa fu distrutta solo in parte perché non si riuscì a concludere del tutto l’abbazia nuova senza poter costruire una facciata. L’interno mostra una struttura architettonica fortemente influenzata da elementi formali diversi (lombardi, piacentini e normanni). Di maggior interesse è la zona absidale, rivestita di cotto e decorata da pilastri addossati alla parete, terminanti con le raffigurazioni dei quattro evangelisti. L’abside maggiore è illuminata da due aperture cruciformi e da tre monofore, di cui quella centrale appare decorata nei montanti da sei figure scolpite. Queste sculture, relazionabili alle soluzioni di Niccolò, raffigurano nel registro inferiore un’Annunciazione e nei due superiori i profeti Isaia, Geremia, Daniele ed Ezechiele. Le navate sono coperte da volte ogivali , costruite in occasione dei restauri avvenuti all’inizio del XX secolo.
La terza ed ultima parte del complesso di San Michele riguarda il Monastero Nuovo. L’ala più settentrionale della Sacra, oggi in rovina, fu costruita per volere dell’abate Ermengardo come ampliamento del vecchio cenobio. L’imponente struttura, dominata dalla suggestiva Torre della Bell’Alda, oltre ad ospitare un gran numero di monaci doveva inglobare importanti ambienti come la biblioteca, le cucine, il refettorio e le officine.

 

Bibliografia
La Sacra di San Michele. Storia, Arte, Restauri, a cura di G. Romano, Torino 1990.
Visitando la Sacra di Michele, a cura di A. Salvatori, Stresa 1992.
Piemonte Romanico, a cura di G. Romano, Torino 1994, pp. 166-190.
L. Arioli, Vita della Sacra di San Michele della Chiusa. Dalle remote origini al secolo XIV, Stresa 1998.
A. Malladra - G. Ranieri, La Sacra di San Michele. Natura, Arte e Storia, Stresa 1998



Bibliografia

da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it