satira
Composizione poetica che
rivela e colpisce con lo scherno o con il ridicolo concezioni,
passioni, modi di vita e atteggiamenti comuni a tutta l’umanità, o
caratteristici di una categoria di persone o anche di un solo
individuo, che contrastano o discordano dalla morale comune (e sono
perciò considerati vizi o difetti) o dall’ideale etico dello scrittore.
1. Definizione e origini
Occorre distinguere la s. propriamente detta, cioè la forma letteraria
(singolo componimento, più o meno breve; ma anche poema satirico,
romanzo satirico ecc.), dal tono e intento satirici che possono
riscontrarsi in qualsiasi componimento letterario, soprattutto, com’è
ovvio, nella commedia, nella poesia giocosa ecc., nonché fuori della
letteratura, nel gesto, nell’intonazione della voce e simili. Così,
prima ancora che si avesse la parola s., nata a Roma, satire si possono
ravvisare nei silli e nelle diatribe dei Greci, senza parlare dei
motivi satirici sparsi in tante opere della letteratura greca, sino a
Luciano, nel quale confluisce tutta la tradizione satirica greca. Ma
anche i primi componimenti che a Roma ebbero nome di satura (di Ennio,
Pacuvio, Varrone) trassero la loro denominazione dalla varietà dei loro
metri (per analogia con la lanx satura, piatto ricco di varie primizie
offerto alla divinità; le Menippee di Varrone erano addirittura miste
di versi e prosa) e non dall’argomento, dal tono, dall’intento che
variava da un componimento all’altro. Il creatore della s. propriamente
detta fu Lucilio; lo seguirono, ciascuno a suo modo, Orazio, Persio,
Giovenale, sicché Quintiliano poté a buon diritto affermare che la s.
era genere letterario tutto latino (satura tota nostra est). Persio,
Giovenale e soprattutto Orazio furono a loro volta i modelli tenuti
presenti dai satirici di tutti i tempi, ai quali bisogna aggiungere
Marziale per la forma rapida e brillante dell’epigramma. Seneca (con
l’Apokolokyntosis) e Petronio (con il Satyricon) costituiscono i
precedenti del saggio e del romanzo satirico moderni.
2. Medioevo e Rinascimento
Il Medioevo predilesse la s. allegorica, che assunse gli animali come
tipi del carattere umano; la s. morale dell’una o dell’altra classe
sociale, specialmente del clero/">clero, è frequente, tra l’altro,
nella lirica goliardica o nel Roman de la Rose, mentre la s. politica e
quella politico-religiosa appaiono nei sirventesi provenzali, nelle
liriche di Walter von der Vogelweide, di Guittone, di Iacopone, in
qualcuna persino di Petrarca, senza dire delle invettive dantesche.
Tutta satirica è la prosa del Corbaccio boccaccesco; gli umanisti
rinnovarono poi i toni più violenti della s. latina (F. Filelfo,
Panormita) o accolsero qualche ispirazione lucianesca (G. Pontano, L.B.
Alberti).
Fuori d’Italia si prolunga la tradizione medievale di allegorie
grottesche, che colpiva l’immaginazione con le battute satiriche della
‘danza macabra’, con la rappresentazione dei diavoli quali tipi comici
del vizio e soprattutto col mito della ‘follia’, che raffigura lo sfogo
degli impulsi irragionevoli, ma vitali, dello spirito umano (Erasmo da
Rotterdam); mentre in Francia F. Rabelais svolge una severa critica
della cultura umanistica, degenerata in un vuoto formalismo. La Riforma
e le lotte religiose suscitarono una copiosa letteratura satirica
specialmente in Germania, dove la s. pervade ogni scrittura del tempo.
In Italia la poesia satirica, che si era presto rifatta all’esempio dei
classici con A. Vinciguerra, L. Ariosto, P. Nelli, L. Alamanni, E.
Bentivoglio, proseguì per questa via, ora discorsiva e autobiografica,
ora moraleggiante, ora burlesca, quasi sempre estranea alle grandi
questioni politiche e religiose, per le quali i commenti più arditi e
spontanei sono da cercare fra le pasquinate. Il Lasca e P. Aretino
furono mordaci e violenti; estroso T. Folengo; facile e ameno pittore
del costume C. Caporali, a cui si deve un tipo di s., già intravisto
nelle rime giocose di F. Berni, e che fu ripreso felicemente in Francia
da M. Régnier. Notevoli, nella letteratura inglese, il Mother Hubberd’s
tale di E. Spenser, le s. di T. Nashe e di J. Marston, il Virgidemiarum
di J. Hall.
3. Seicento e Settecento
Tra la fine del Cinquecento e i primi del secolo successivo, la
dissoluzione dell’ideale artistico del Rinascimento si avvera
attraverso una visione nuova, di cui la massima espressione è data da
M. Cervantes, nel Don Chisciotte. Con mosse assai meno fini il poema
eroicomico asseconda in Italia, e poi in Francia, quell’opera di
distruzione e di rinnovamento, mentre la s. del costume prosegue con i
Sermoni di G. Chiabrera, le Satire di S. Rosa, di B. Menzini, I.
Soldani, L. Adimari, L. Sergardi. Della Spagna, ricordiamo le s. rimate
di B.L. de Argensola e di F. de Quevedo, autore anche di prose
satirico-morali; della Francia, le oneste ed eleganti satire di N.
Boileau-Despréaux, le Lettres provinciales di B. Pascal, alcune
commedie di Molière, le favole di J. de La Fontaine. Dai contrasti
morali e religiosi sorgono, in Inghilterra, le opere satiriche di J.
Dryden e di S. Butler. La s. del costume prevale nel Settecento
italiano, con i sermoni di G. Gozzi, il vasto poema Cicerone di G.C.
Passeroni, il Giorno di G. Parini, le Satire di V. Alfieri, mentre la
s. letteraria trova una forte espressione nella Frusta di G. Baretti.
In Francia, accanto all’ironia illuminista delle Lettres persanes di
C.-L. de Montesquieu, del Candide di Voltaire, del Neveu de Rameau di
D. Diderot, spiccano le s. in versi e gli epigrammi di N.-J. Gilbert,
di A. Piron, di P.-D. Écouchard-Lebrun, i giambi di A. Chénier. Citiamo
fra gli scrittori inglesi A. Pope, J. Swift, D. De Foe; lo scozzese R.
Burns; fra i tedeschi, C.M. Wieland, G.E. Lessing, il giovane Goethe,
J.C.F. Schiller.
4. Ottocento e Novecento
Rara nei grandi poeti italiani del principio del 19° sec. (di U.
Foscolo, sotto il nome di Didimo Chierico, rimane l’Hypercalypsis; di
G. Leopardi, i Paralipomeni della Batracomiomachia), la s. ha i suoi
migliori interpreti in C. Porta, in G.G. Belli, in G. Giusti. Lo
spirito del Risorgimento agita la poesia politica fino ai Giambi ed
epodi di G. Carducci. Fra i romantici europei, emergono, aggressivi e
amari, G.G. Byron e H. Heine. In Francia la s. politica procede al
fianco delle rivoluzioni, dagli Iambes di H.-A. Barbier agli Châtiments
di V. Hugo, mentre una corrente più leggera si snoda con sorridente
eleganza nel teatro, nel romanzo, nelle facili rime degli chansonniers.
Con l’affacciarsi nel panorama europeo del romanzo russo emergono
notevoli talenti satirici come N. Gogol´ e M. Saltykov; la s. conoscerà
poi in Russia una straordinaria diffusione negli anni 1920, soprattutto
nella forma del racconto breve (M. Zoščenko, M. Bulgakov). L’umorismo
inglese si esprime nella s. politica di A. Huxley, si fa più acerbo
nella s. sociale di G.B. Shaw, più fantastico in quella di G.K.
Chesterton; mentre A. Holz, L. Thoma, F. Wedekind, in Germania, si
scagliano contro la tirannia e le viltà del mondo borghese, con
un’incisività che si ritrova poi nell’opera di H. Mann, K. Sternheim,
B. Brecht, K. Tucholski.
Nel secondo Novecento si viene accentuando la dissoluzione della s.
come genere a sé stante, che confluisce e si confonde nel romanzo,
nella poesia, nei vari generi di spettacolo, tanto che di caratteri o
di stile satirico si può parlare per molti dei maggiori narratori e
drammaturghi di questo periodo.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it