scienza cognitiva



L’insieme delle discipline (intelligenza artificiale, psicologia cognitiva, linguistica, psicolinguistica, filosofia della mente e del linguaggio, neuroscienze, antropologia), che hanno per oggetto lo studio dei processi cognitivi umani e artificiali.

1. I presupposti

I presupposti storici e teorici per la nascita della s. possono essere individuati già nel celebre test escogitato da A. Turing (➔ Turing, Alan Mathison), il quale, partendo dall’assunto che è impossibile distinguere, in circostanze sperimentali opportune, tra le prestazioni cognitive di una macchina e quelle di un essere umano, suggeriva l’affinità, se non proprio l’identità, tra intelligenza umana e intelligenza artificiale (IA). Un’altra fonte storica è rappresentata dalla psicologia cognitiva, che si fonda sul paradigma della mente come sistema di elaborazione di informazioni (human information processing) ed è stata largamente influenzata dalla ricerca sull’IA e dall’informatica. Si aggiunga infine l’impatto delle teorie linguistiche di N. Chomsky che, estese all’ambito psicolinguistico, avevano ipotizzato l’esistenza di autentiche capacità mentali innate, sviluppate e affinate nel rapporto con l’ambiente (➔ generativismo).

La data di nascita ufficiale della s. è il 1978, anno in cui si tenne a La Jolla (California) un convegno organizzato dalla Cognitive science/">science society cui parteciparono ricercatori di IA, psicologi, linguisti, neuroscienziati e filosofi, tutti accomunati dall’idea di conseguire una sempre maggiore interdisciplinarità tra i molteplici ambiti d’indagine che hanno per oggetto la mente umana.

2. Metodologia

2.1 Modelli cognitivi. Sulla base dell’idea che l’attività cognitiva umana consista essenzialmente nell’elaborazione di un certo insieme di informazioni, le ricerche della s. sono state principalmente volte a sviluppare modelli di elaborazione dell’informazione sperimentalmente controllabili. Il punto di partenza è costituito dalla scrupolosa osservazione del modo in cui si suppone ragionino o eseguano particolari compiti cognitivi soggetti umani in condizioni opportunamente selezionate, così da determinare i vincoli da porre alla costruzione dei modelli cognitivi ipotizzabili e dei programmi da implementare. Questa metodologia empirica ha dato impulso all’elaborazione di modelli computazionali realistici in grado di rappresentare adeguatamente la specificità dei processi cognitivi umani, che non sempre sono riconducibili alle regole formulate in sede di teoria logica. Si è visto infatti che il ragionamento umano, almeno nelle situazioni più comuni, si rivela, sotto molti aspetti, più flessibile e insieme più complesso di quanto non lasci supporre la logica classica.

In tale prospettiva si colloca una vasta serie di ricerche volte a simulare in forma computazionale l’attività di risoluzione di problemi, quella di rappresentazione mentale alla base della comprensione e della conoscenza e quella soggiacente alle procedure inferenziali. All’analisi della risoluzione di problemi hanno contribuito in modo determinante A. Newell e H.A. Simon (Human problem solving, 1972). Sulla base di dati empirici costituiti dai ‘protocolli’ di soggetti che eseguivano le operazioni di risoluzione ad alta voce, Newell e Simon hanno cercato di fornire una descrizione del modo in cui le informazioni pertinenti alla soluzione di un problema vengono via via ricuperate dalla memoria a lungo termine e utilizzate nella soluzione dei vari sottoproblemi in cui viene scomposto il problema di partenza, così da pervenire da uno stato iniziale a uno stato finale (stato-meta) che è la soluzione o l’obiettivo perseguito.

Il programma di Newell e Simon, nonostante l’obiettivo di fornire una simulazione sufficientemente generale tale da includere anche il modo in cui solitamente gli esseri umani risolvono i problemi della vita quotidiana, trova il suo limite nella specializzazione a risolvere problemi di tipo ‘strutturato’ (come quelli di criptoaritmetica, logica e scacchi), cioè chiaramente definiti sul piano delle regole e dei vincoli da rispettare, delle soluzioni da raggiungere e degli ambiti entro cui si sviluppa la ricerca delle soluzioni. Proprio l’esigenza di rendere conto dei più comuni processi cognitivi è alla base di alcuni dei maggiori risultati della s., come la teoria delle reti semantiche (intese come sistemi di rappresentazione delle interconnessioni dei concetti e dei significati), elaborata da M.R. Quillian, la teoria dei prototipi di E. Rosch (➔ semantica) e soprattutto la teoria dei frames di M.L. Minsky. 2.2 Frames e scripts. Un frame è una struttura-dati esistente in memoria, un insieme di conoscenze implicite con cui vengono rappresentate situazioni o eventi stereotipi, come, per es., una tipica festa di compleanno, una tipica stanza di soggiorno. Ciascun frame costituisce un insieme di aspettative e presupposizioni (attivate da opportune esperienze percettive come la visione di un ambiente, la lettura di un testo, la narrazione di una serie di eventi) che possono essere soddisfatte o deluse: il veloce recupero dalla memoria a lungo termine dei frames pertinenti, la capacità di attivare più frames e subframes per comprendere situazioni particolarmente complesse, di trovare plausibili giustificazioni per le situazioni non corrispondenti alle aspettative dei frames attivati o di integrare, modificare o sostituire quelli che non si adattano alle situazioni esperite costituiscono in larga misura/">misura caratteristiche tipiche dell’intelligenza e della comprensione umane, di cui si deve tener conto nella realizzazione di programmi che intendano adeguatamente simularle.

Un ulteriore sviluppo della teoria dei frames si deve a R.C. Schank e R.P. Abelson, che hanno ampliato con la nozione di script quella di frame: scopo di uno script è rappresentare in forma algoritmica, in modo da fornire istruzioni pertinenti a un calcolatore, l’insieme delle conoscenze implicite e delle aspettative che si suppone permettano a un essere umano di comprendere, compiendo le corrette inferenze, sequenze di eventi che sono ricostruibili da narrazioni coerenti (per es., andare al ristorante, chiamare il cameriere, ordinare ecc.). 2.3 Modello e immagini mentali. Nell’ambito della psicologia cognitiva più vicina all’IA, un particolare rilievo ha assunto la nozione di modello mentale elaborata in particolare da P.N. Johnson-Laird. Un modello mentale è una rappresentazione interna in forma analogica di oggetti, stati di cose e sequenze di eventi; esso può essere pensato come una sorta di immagine, provvista di un certo grado di arbitrarietà e variabilità, di una situazione percepita visivamente o descritta linguisticamente.

Un’altra area di ricerca tipica della s. è quella delle immagini mentali. Caratteristica della psicologia ottocentesca e di antica tradizione filosofica, è stata riproposta nell’ambito della s. grazie a A. Paivio, R.N. Shepard e soprattutto S.M. Kosslyn. A quest’ultimo si deve non solo un’articolata trattazione teorica basata su un’ampia serie di dati sperimentali relativi alle immagini mentali e alle capacità mentali che i soggetti hanno di sottoporle a trasformazioni (per es., rotazioni) e di ragionare tramite il ricorso a informazioni prive di rappresentazione proposizionale, ma anche l’elaborazione di sofisticati modelli computazionali.

Le pretese eccessive del modello computazionale della mente sono state evidenziate in particolare dai filosofi H.L. Dreyfus e J. R. Searle. Il primo ha segnalato i limiti del programma dell’IA sulla base del costitutivo radicamento dell’esperienza umana da un lato nella corporeità, dall’altro in contesti culturali che sono alla base di pratiche, conoscenze implicite, attività cognitive e di comprensione le cui caratteristiche non sono replicabili in modo algoritmico e formalizzato in nessun programma per calcolatore. Searle, d’altro canto, ha notato come i programmi per calcolatori non riescano a catturare la specificità dei fenomeni mentali, la loro intrinseca intenzionalità, cioè il loro essere provvisti di una semantica, il loro riferirsi a contenuti di significato e a entità extramentali. 2.4 Rapporto con le neuroscienze. Se la s. è stata caratterizzata dal grande sviluppo delle ricerche di IA e dalle sempre più strette connessioni fra tali ricerche e la psicologia cognitiva, un problema con cui tale orientamento si è trovato a confrontarsi è stato il rapporto con le neuroscienze. Le sempre più avvertite esigenze di teorie cognitiviste fornite di plausibilità dal punto di vista neuroscientifico hanno condotto alla nascita di un nuovo approccio, noto con il nome di connessionismo (➔; o modello a reti neurali o parallel distributed processing) che rappresenta il più articolato programma di ricerca volto a conseguire una spiegazione dei processi cognitivi in grado di rispettare rigorosi vincoli neurologici.





Bibliografia

da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it