segno
Fatto, manifestazione,
fenomeno da cui si possono trarre indizi, deduzioni, conoscenze ecc.
Qualsiasi oggetto o più spesso figura che sia convenzionalmente assunta
come espressione e rappresentazione di un’altra cosa, più astratta, con
cui abbia una connessione ontologica o semplicemente analogica.
ASTRONOMIA
I s. dello Zodiaco, o zodiacali (anche s. dell’eclittica, s. celesti),
sono le 12 parti in cui è suddiviso lo Zodiaco; sono detti così in
quanto erano, e sono tuttora, contraddistinti ciascuno con un simbolo.
FILOSOFIA
1. Dall’antichità al Rinascimento
Le più antiche formulazioni della dottrina del s. risalgono alla
medicina ippocratica: nel Corpus hippocraticum si delinea un metodo
diagnostico volto a individuare gli indizi o sintomi distinguendo
quelli sicuri da quelli non univocamente interpretabili o non
necessariamente connessi a ciò che essi significano. Emerge così la
distinzione tra s. e τεκμήριον (più tardi codificata da Galeno): il
secondo si distingue dal primo per la necessità che lo lega a ciò di
cui è s. e prova. In Aristotele la conoscenza ‘per s.’ dal punto di
vista logico prende corpo in un procedimento entimematico grazie al
quale dal s. o indizio si passa all’affermazione di qualcos’altro. Il
s. può essere connesso con la cosa significata in maniera necessaria, o
solo frequente e probabile; nel primo caso il s. sarà necessario,
inconfutabile, τεκμήριον; nel secondo caso, esso sarà confutabile e
probabile. Ma secondo Aristotele la conoscenza per s. per lo più non è
necessaria, appartiene al mondo dell’opinione, si fonda sugli accidenti
(in opposizione alla conoscenza fondata sull’essenza) ed è utilizzata
dai retori che mirano a persuadere gli ascoltatori. Anche gli stoici
considerano il s. uno strumento conoscitivo: l’uomo si distingue dagli
altri animali non per la capacità di articolare voci e di formare
rappresentazioni (anche altri animali ne sono dotati), ma per la
capacità ‘transitiva e compositiva’ grazie alla quale è possibile
concepire il nesso tra eventi diversi e quindi trarre dalla
rappresentazione di un evento la rappresentazione di quell’evento di
cui il primo è s., dando luogo a un enunciato composto del tipo ‘se il
primo, allora il secondo’. Particolare rilievo ha nella cultura antica
la riflessione sul linguaggio, inteso come sistema di s. capace di
esprimere il pensiero. Così per Aristotele le voci sono σύμβολα (Boezio
tradurrà notae) delle passioni (concetti) dell’anima, e sono
significative κατὰ συνϑήκην (secundum placitum/">placitum, nella
traduzione di Boezio). Gli stoici distinguono il significante (il
complesso fonico) e la cosa significata (il contenuto della parola, il
suo aspetto mentale, ciò che è enunciato o λεκτόν), costituenti
entrambi la ‘parola’, contro cui stanno gli oggetti reali che sono i
referenti della parola stessa.
Erede della tradizione classica, s. Agostino distingue i s. naturali
dai s. convenzionali (signa/">signa data) e include tra questi
ultimi i sistemi di comunicazione elaborati dagli uomini, come i gesti,
le insegne militari e il linguaggio; sottolinea però il primato del
linguaggio, capace di comunicare qualsiasi cosa e soprattutto di
fungere da s. degli altri s. e di sé stesso. Attraverso una precisa
disamina della natura del s., Agostino perviene all’affermazione che il
carattere di s. compete a tutto il creato, attraverso il quale il
Creatore guida l’Uomo alla conoscenza della realtà invisibile.
L’insegnamento agostiniano sopravvive nel Medioevo soprattutto in due
direzioni. La prima è quella della concezione della natura come s. e
simbolo di realtà più alte, veicolo d’insegnamenti impartiti da Dio
all’uomo. Per questa via la natura si presenta come un libro in cui
possono leggere anche gli incolti, portatore del messaggio divino,
complementare al libro per eccellenza, la Bibbia, da affrontare perciò
con criteri ermeneutici analoghi a quelli elaborati per l’esegesi
biblica. L’altra direzione è quella della teologia sacramentale: sulla
scorta della definizione agostiniana di s., il sacramento è concepito
come una realtà significante un’altra realtà, con questo in più, che
oltre alla conoscenza che ingenera nell’animo di chi assiste al rito,
il sacramento ‘opera’ ciò che ‘significa’; così, l’acqua versata sul
capo del battezzando ‘significa’ la purificazione dell’anima che viene
di fatto ‘operata’.
Con l’ingresso della scienza araba in Occidente dal 12° sec. si
costituisce una notevole biblioteca di testi astrologici e magici, di
fisiognomia e di melotesia (o medicina astrologica). Di qui lo sviluppo
della pratica dell’oroscopo: ciò che è ‘significato’ dai cieli è
‘operato’ o ‘disposto’ da essi, di modo che il pronostico di ciò che
sarà secondo le indicazioni astrali permette di disporre modi e tempi
per l’azione efficace dell’uomo. Nel periodo umanistico e
rinascimentale trovano terreno fecondo i temi magico-astrologici
nell’ambito della forte ripresa del platonismo e dell’ermetismo.
Intanto continua la speculazione sul linguaggio, stimolata anche dal
dibattito intorno alle lingue artificiali e ai sistemi di comunicazione
non linguistica, come quelli usati per le segnalazioni marine e gli
alfabeti per sordomuti.
2. La teoria dei s. nella filosofia moderna
I temi toccati finora trovano ancora una riconsiderazione nella
Grammatica e nella Logica di Port Royal, dove il s. è inteso come una
cosa, la cui immagine sensibile suscita nell’uomo l’immagine
concettuale di un’altra cosa. I s. sono distinti in: a) certi o
τεκμήρια, e probabili o σημεῖα; b) congiunti con le cose significate o
separati da esse; c) naturali e inventati.
Il tema del rapporto tra significazione e inferenza, già trattato dagli
stoici, ritorna sia in T. Hobbes sia, più tardi, in C. Wolff, mentre la
filosofia empiristica di J. Locke (cui si deve, nel suo Saggio
sull’intelletto umano, l’introduzione del termine ‘semiotica’ per
indicare la teoria dei s.) mira a indagare i rapporti tra cose e idee,
considerando le idee come s. delle cose e le parole come s. delle idee.
Di qui i problemi dell’arbitrarietà del s. e il tentativo di spiegare,
servendosi della nozione di s., il carattere di generalità delle parole
e delle idee in contrapposizione alla particolarità delle cose. G.
Leibniz criticherà l’impostazione nominalistica di Locke, sottolineando
che, nonostante l’arbitrarietà dei caratteri (s.), c’è tuttavia
qualcosa che arbitrario non è: una certa ‘proporzione tra caratteri e
cose, e le relazioni tra diversi caratteri che esprimono le stesse
cose’.
3. Il contributo di C.S. Peirce
Una più completa teoria dei s. si deve a C.S. Peirce. Sulla base dei
suoi presupposti metafisico-epistemologici, Peirce individua la
relazione significativa, il processo di semeiosi, come una relazione
triadica in cui intervengono tre elementi: il s., definito come
‘qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa d’altro sotto qualche
rispetto o per qualche sua capacità’, l’oggetto, ciò per cui sta il s.,
e l’interpretante (inteso da Peirce in più modi e con sfumature più o
meno complesse, ma essenzialmente come un altro s., equivalente o più
sviluppato, che traduce il primo, o un’idea che il s. suscita). In
questa prospettiva il s. può essere considerato da tre distinti punti
di vista: come s. in sé, in rapporto all’oggetto, in rapporto
all’interpretante. Come s. in sé esso può essere qualisegno (o tone;
«una qualità che è un s.», per es., il tono di voce con cui si
pronuncia una parola, il colore dell’inchiostro con cui scrivo su un
foglio ecc.), un sinsegno (o token; il prefisso «sin» sta per semel; si
tratta di «una cosa o un evento fattualmente esistente che è un s.»,
per es., una parola su una pagina che può occorrere più volte) e un
legisegno (o type; «una legge che è s.»; si tratta del modello
astratto, le cui repliche o occorrenze individuali sono i sinsegni). In
rapporto all’oggetto il s. può essere: un indice (si tratta di un s.
che presenta una connessione ‘fisica’ con ciò cui si riferisce: un dito
puntato, una banderuola, il fumo s. del fuoco ecc.), un’icona (si
tratta di un s. che rinvia all’oggetto in base a un qualche tipo di
somiglianza, per es. una fotografia o, più astrattamente, un diagramma,
o, per Peirce, un’immagine mentale o una formula), un simbolo (si
tratta di un s. arbitrario il cui rapporto all’oggetto è fissato
mediante una convenzione, una norma, una legge; l’esempio più ovvio è
il s. linguistico). In rapporto all’interpretante il s. può essere un
rema (termine o nomeclasse), un dicisegno (corrispondente più o meno a
un enunciato) e un argomento (che consta di una premessa, costituita da
un dicisegno o gruppo di dicisegni, e di una conclusione). Combinando
le 9 categorie indicate, Peirce ha poi derivato 10 classi di s.,
articolando ulteriormente la classificazione. Va notato peraltro che
uno stesso s., a seconda del punto di vista da cui si considera, può
essere classificato in classi diverse.
4. La classificazione di C. Morris
Una diversa classificazione dei s. è stata elaborata da C. Morris che
ha proposto una definizione comportamentistica del s. che tende a
escludere il ricorso a entità mentali (immagini, idee, concetti). In
questa accezione il s. viene inteso come stimolo preparatorio che
sostituisce lo stimolo in senso proprio («[...] se A è uno stimolo
preparatorio che, in assenza dell’oggetto stimolatore che dà inizio a
una risposta-sequenza di una certa famiglia di comportamenti, causa in
qualche organismo una disposizione a rispondere attraverso
risposte-sequenze di questa famiglia di comportamenti, allora A è un
s.»). Su questa base Morris distingue s. complessi (o ascrittori) e s.
semplici: questi ultimi si suddividono in identificatori (ulteriormente
articolati in indicatori, descrittori, nominatori; si tratta di s. che
tendono a indirizzare la risposta in una definita regione
spazio-temporale, cioè che localizzano), designatori (che designano le
proprietà di una situazione), apprezzatori (che servono a valutare
positivamente o negativamente), prescrittori (che comandano un certo
comportamento), e infine, come classe residua (i s. precedentemente
citati sono considerati ‘lessicatori’), formatori (suddivisi in
determinatori, connettori e manieratori; esempio dei primi sono i
termini che fissano l’ambito di denotazione, come ‘tutti, alcuni ecc.’,
dei secondi i connettivi logici, dei terzi i s. d’interpunzione, le
intonazioni o modulazioni della voce, quelli che la linguistica moderna
classifica come tratti soprasegmentali). Importante inoltre la
distinzione proposta da Morris a partire dal suo Foundations of the
theory of signs (1938) della teoria dei s. in sintassi, semantica e
pragmatica, intesa come analisi e studio della situazione in cui il s.
viene usato, indagine sul rapporto tra s. e interpreti.
5. Tra linguistica ed ermeneutica
Successivamente le problematiche filosofiche connesse alla nozione di
s. hanno profondamente interagito con la linguistica strutturale e con
la filosofia ermeneutica. Da ricordare, in questa prospettiva, i
contributi di P. Ricoeur, volti soprattutto all’analisi del linguaggio
religioso e poetico, e di U. Eco, che ha esteso la considerazione
semiotica all’arte e alla comunicazione sociale.
LINGUISTICA
Nel suo significato più comune, il termine s. è usato per indicare ogni
singola parte di un procedimento visuale di comunicazione del pensiero
(linguaggio dei s.), oppure per designare i grafemi (lettere) e i
simboli grafici sussidiari (s. diacritici), che nel loro insieme
costituiscono i s. della scrittura.
Nella concezione di F. de Saussure, il s. è l’entità psichica
costituita dall’associazione di un concetto e di un’immagine acustica,
cioè del significato e del significante, che è alla base della lingua,
definita appunto da Saussure come un «sistema di s. distinti,
corrispondenti a idee distinte». Tale associazione è logicamente
arbitraria, mentre filosofi e grammatici greci erano convinti che
potesse essere giustificata sul piano conoscitivo. Accanto ai s.
arbitrari vi sono, secondo certe teorie, s. motivati (almeno
relativamente): per es., le onomatopee, cioè le associazioni
fonosimboliche; e, in senso relativo, le parole composte, in quanto
sono passibili di un’analisi logica (ventinove è analizzabile
immediatamente in venti più nove).
In fonematica, s. demarcativo o delimitativo, l’elemento fonico che
permette d’individuare i diversi elementi significativi (parole e anche
morfemi) della catena parlata, segnandone i confini. Per es., in
inglese il carattere velare del terzo fonema di will svolge una
funzione demarcativa in will earn rispetto a we learn.
Nella lingua russa, s. duro (tvërdyj znak) e s. molle (mjagkij znak),
nome di due lettere che indicavano una volta due fonemi diversi, oggi
non più pronunciati. Il s. duro dopo la riforma ortografica non è più
usato, salvo in particolari casi, mentre sussiste il s. molle a
indicare che la consonante precedente ha una pronuncia palatalizzata.
MATEMATICA
Il termine s. si usa per indicare i simboli delle operazioni e delle
relazioni: il s. dell’addizione, della sottrazione, il s. della radice
quadrata, il s. d’uguaglianza ecc. I segni + e − indicano anche la
positività o negatività di un numero; con questo significato, si parla
del s. di un numero, e anche di numeri con s., grandezze con s.,
facendo riferimento rispettivamente ai numeri relativi e alle grandezze
orientate. Regola dei s. Regola per la determinazione del s. del
prodotto di due numeri relativi (secondo cui tale prodotto è positivo
se i due numeri hanno lo stesso s., è negativo se i due numeri hanno s.
diverso). S. di una funzione Il fatto di assumere, in un punto o in un
intervallo, valori positivi o negativi. Principio di permanenza del s.
Se una funzione f(x) è continua e diversa da zero per x=x0, esiste un
intorno di x, nel quale essa ha lo stesso s. che in x0.
MEDICINA
Alterazione anatomica o funzionale obiettivabile, legata a una
condizione patologica. I s. sono comunemente indicati con il nome
dell’autore che li ha per la prima volta descritti e valorizzati ai
fini diagnostici.
NUMISMATICA
S. di zecca In numismatica, segno convenzionale, posto di solito nel
rovescio delle monete, per indicare la zecca in cui erano coniate.
Gabella del s. A Firenze, diritto di peso e misura/">misura,
riscosso da un ufficio apposito, che controllava e imprimeva il sigillo
sui pesi e le misure.
RELIGIONE
S. della croce Il gesto, riproducente la figura della croce su cui morì
Gesù Cristo, che il sacerdote compie nel benedire, o che il cristiano
fa sopra di sé.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it