selezione naturale
Meccanismo evolutivo
proposto dal naturalista britannico C.R. Darwin nell'ambito della sua
teoria dell'evoluzione ed esposto nel libro Sull'origine delle specie
per selezione naturale (1859). Darwin, osservando le differenze fra
specie affini viventi nelle diverse isole dell'Arcipelago delle
Galápagos, si convinse che la lenta modificazione delle specie, la loro
evoluzione, quindi, era dovuta principalmente alla s.n.: sopravvivono e
si riproducono, cioè, gli individui dotati di caratteristiche più
vantaggiose nella lotta per l'esistenza (in sostanza, meglio adattati
all'ambiente). In base alle attuali conoscenze di genetica, la s.n. è
oggi interpretata come il fattore casuale che favorisce l'aumento di
determinate frequenze alleliche nei geni di una popolazione (→
neodarwinismo).
VARIABILITÀ GENETICA E SOPRAVVIVENZA
Nelle popolazioni naturali il numero dei figli generati è sempre molto
elevato, tuttavia solamente una parte di questi giunge a completare lo
sviluppo e a riprodursi. Se infatti intervengono mutamenti
nell'ambiente, riescono a sopravvivere soltanto gli individui più
adatti a tali mutate condizioni, che sono tanti più quanto maggiore è
l'assortimento degli alleli, ossia la variabilità genetica nella
popolazione. Il processo di s.n. può agire solo in presenza di
variabilità genetica, cioè se nella popolazione, in conseguenza di
mutazioni, sono presenti almeno due alleli diversi per un determinato
gene. In questo modo le frequenze dei fenotipi (cioè delle
caratteristiche morfologiche e funzionali degli organismi) che
compongono ciascuna popolazione non permangono immutate nel corso delle
generazioni, ma si modificano nel tempo; dunque tramite la s.n. si
determina l'evoluzione intraspecifica delle popolazioni e, quindi,
quella delle specie.
I TRE TIPI DI SELEZIONE NATURALE
A seconda della frequenza con cui si manifestano i diversi fenotipi in
una popolazione, si distinguono: una s.n. direzionale, che agisce a
favore dei fenotipi corrispondenti a una delle estremità
dell'intervallo della curva di variazione fenotipica della popolazione
stessa; una s.n. divergente o disruptiva, se sono favoriti gli
individui che si trovano in prossimità di entrambi gli estremi; e una
s.n. stabilizzante, quando gli individui favoriti sono quelli che
presentano un fenotipo che riguarda la media della popolazione.
SELEZIONE SESSUALE E ARTIFICIALE
Si ha selezione sessuale quando la s.n. riguarda la scelta di un
partner riproduttivo, operata in base alla idoneità dei caratteri
sessuali secondari; analogamente, si ha selezione artificiale quando
gli accoppiamenti selettivi sono operati dall'uomo in specie animali o
vegetali, al fine di ottenere varietà che abbiano caratteristiche
particolari, essenzialmente per una migliore utilizzazione economica e
produttiva, o a fini estetici.
FOCUSLa microevoluzione della Biston betulariaUn classico esempio di
meccanismo di azione della s.n. è quello descritto per la falena Biston
betularia, molto comune in Inghilterra. Prima del 1850, il 99% della
popolazione di falene aveva ali di colore grigio maculato di bianco,
che consentiva all'individuo di mimetizzarsi perfettamente con la
corteccia delle betulle coperte di licheni. Gas tossici prodotti dalle
industrie uccisero i licheni e la fuliggine scurì le cortecce, per cui
le falene con la colorazione chiara divennero un facile bersaglio per i
predatori; le rare farfalle della stessa specie con il fenotipo mutante
ad ali scure ottennero invece un grande vantaggio selettivo, potendosi
mimetizzare e quindi sottraendosi alla predazione. In pochi anni, si
verificò un rapido aumento della frequenza del fenotipo scuro, che
divenne prevalente. Più recentemente, miglioramenti delle condizioni
ambientali e l'abbattimento dello smog hanno nuovamente favorito la
crescita dei licheni e, di conseguenza, il vantaggio selettivo della
forma chiara.
ABSTRACT DI APPROFONDIMENTOda Evoluzione. Selezione naturale di Saverio Forestiero (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
SELEZIONE SESSUALE
Il successo riproduttivo di un individuo non dipende soltanto dalla sua
adattabilità ai fattori fisico-chimici e a quelli biologici,
interspecifici, rappresentati da competitori, predatori e parassiti, ma
è influenzato in grande misura anche dai rapporti, intraspecifici, che
ogni adulto intrattiene con i potenziali partner dell’altro sesso. C’è
selezione sessuale ogni volta che uno dei due sessi influisce sulla
fitness dei caratteri espressi nell’altro individuo attraverso la
scelta del partner in vista dell’accoppiamento.
In molti animali gli individui dei due sessi sono facilmente
distinguibili sulla base di caratteri somatici extragonadici. Tra
questi caratteri sessuali secondari, i più vistosi comprendono
l’apparato genitale e i caratteri morfologici extragenitali come, per
esempio, la criniera del leone, lo sperone del gallo, il piumaggio
vistoso dei maschi di molti uccelli, la presenza di corna nei maschi
dei cervidi e in certi coleotteri, le dimensioni corporee. Un forte
dimorfismo sessuale può anche interessare i caratteri fisiologici e
soprattutto quelli etologici, come tipicamente accade per le molto
elaborate e bizzarre pergole di accoppiamento costruite dal maschio
degli uccelli giardiniere. Da molto tempo i ricercatori si sono
interrogati sull’esistenza nei maschi di eventuali vantaggi collegati
al possesso di strutture che tuttavia sembrano ostacolare la loro
stessa sopravvivenza. È dimostrato infatti che l’esibizione di livree
vistose da parte di molti uccelli possono esporli a una maggiore
predazione, sicché qui come in casi analoghi, l’esistenza di un forte
dimorfismo sessuale pone un problema esplicativo piuttosto complesso.
Perché i maschi sono diversi dalle femmine? C’è un vantaggio nel
dimorfismo sessuale, e qual è?
Darwin affronta la questione nel quarto capitolo di On the origin of
the species by means of natural selection, (1859) e in tutta la seconda
parte di The descent of man, and selection in relation to sex (1871),
proponendo due spiegazioni. La prima è che i caratteri sessuali
secondarî sarebbero utili ai maschi nella lotta per accedere alle
femmine; la seconda è che, siccome le femmine di certi uccelli durante
il corteggiamento sembrano essere attratte da caratteri ornamentali
come le code vistose e il piumaggio elaborato dei maschi (esempi
canonici ne sono rispettivamente la coda del pavone o degli uccelli
vedova e le livree degli uccelli del paradiso), questi caratteri
sessuali secondarî potrebbero essersi affermati perché attraenti per le
femmine. Per questa via Darwin arriva a configurare due modalità di
selezione sessuale; quella cosiddetta intrasessuale, attuata attraverso
competizione tra maschi per la femmina con cui accoppiarsi, e quella
intersessuale attuata dalla femmina quando sceglie tra maschi. Il terzo
processo attraverso cui sappiamo che la selezione sessuale agisce è la
competizione spermatica, un fenomeno che Darwin conosceva ma cui non
diede grande peso. Darwin in effetti ricorre a due principî e fornisce
una spiegazione che sembra duplice ma che in realtà spiega solo una
metà (la selezione intrasessuale) del fenomeno, lasciando inesplicata
la scelta operata dalla femmina (la selezione intersessuale).
Alfred R. Wallace, coautore della teoria della selezione naturale,
accettò l’idea di competizione tra maschi per l’accesso alle femmine,
ma rifiutò nettamente, giudicandola assurda, l’idea di una femmina
capace di scegliere il maschio con cui accoppiarsi e quindi respinse la
spiegazione darwiniana dell’evoluzione degli ornamenti dei maschi.
L’interesse per i varî aspetti della sessualità in senso lato (la sua
origine determinazione ed evoluzione, il dimorfismo sessuale, i sistemi
nuziali, la selezione sessuale, il rapporto numerico tra maschi e
femmine di una popolazione – sex ratio, le cure parentali), è sempre
rimasto vivo e la ricerca è ripartita ogni volta dalla posizione di
Darwin. La doppia ipotesi darwiniana fu affrontata per la prima volta
sul piano teorico da Ronald Fisher che si propose di superare l’empasse
in cui veniva a trovarsi la teoria della selezione naturale
impossibilitata a spiegare le ragioni del dimorfismo sessuale e
segnatamente i tratti appariscenti di certi maschi come per esempio gli
ornamenti degli uccelli del paradiso oppure i giardini e i pergolati
degli uccelli giardinieri. D’altra parte se era fuori discussione
l’esistenza di una scelta da parte delle femmine, non era invece
altrettanto palese quale potesse essere per una femmina il beneficio
derivante da questa sua capacità di scegliere un maschio vistoso con
cui accoppiarsi.
Nel suo The genetical theory of natural selection del 1930, Fisher
elaborò un modello unitario (conosciuto come runaway hypothesis)
dell’evoluzione dei caratteri maschili appariscenti e della preferenza
femminile dove i tratti maschili e quelli femminili sono fatti
coevolvere fino a raggiungere un equilibrio. Fisher interpretò
correttamente la preferenza delle femmine per gli ornamenti vistosi
come un adattamento raggiunto attraverso l’azione della selezione
naturale. La sua ipotesi era che di per sé non vi fossero differenze
biologiche rilevanti tra maschi appariscenti e maschi non appariscenti;
giudicò costoso esibirsi e quindi giudicò svantaggiati in termini di
selezione naturale i maschi portatori di ornamenti costosi e che perciò
sprecano risorse, ma convenne che le femmine rispondono molto di più al
corteggiamento di questi maschi esibitori di segnali costosi piuttosto
che al corteggiamento dei maschi poco appariscenti. In sostanza,
secondo Fisher, le femmine tendono a considerare più attraenti i maschi
riccamente ornati, i quali perciò da questa tendenza ricaveranno un
premio riproduttivo. Secondo questo modello, visto che attraggono un
maggiore numero di femmine, solo i maschi sono avvantaggiati; le
femmine sono svantaggiate quando generano figli appariscenti,
D’altronde, però, solo questo tipo di prole attirerà le femmine e
quindi la vistosità dei maschi si perpetuerà nella popolazione
attraverso le generazioni.
Una diversa spiegazione della presenza di ornamenti vistosi e
stravaganti nei maschi di alcuni uccelli venne data negli anni Settanta
da Atmotz Zahavi che ipotizzò che caratteristiche come la coda del
pavone rappresentino dei veri e propri handicap per il portatore.
Questi handicap, d’altra parte, proprio in quanto tali agirebbero come
avvertimenti ‘onesti’ della vitalità del maschio. Osservando la
capacità di un maschio di tollerare il proprio handicap, la femmina
potrebbe perciò scegliere i maschi migliori con cui accoppiarsi. Ecco
allora spiegato come i geni codificanti per questi fenotipi si
diffonderebbero nella popolazione. Secondo Zahavi le femmine
valuterebbero la qualità dei maschi sfruttando le informazioni
rappresentate dall’esibizione di segnali molto costosi come sono le
strutture ornamentali corporee. La principale obiezione al modello di
Zahavi riguarda la dinamica temporale della variazione fenotipica (e
quindi della variazione genetica sottostante). L’ipotesi di Zahavi
prevede che col tempo le differenze tra maschi debbano ridursi fino a
scomparire per controselezione delle varianti con minore fitness; ma
questa previsione è contraddetta dai fatti.
Una soluzione a questo problema venne avanzata nel 1982 da William
Hamilton e Marlene Zuk che proposero di interpretare caratteri
appariscenti ed esibizioni maschili come handicap rilevatori della
resistenza, controllata geneticamente, all’infezione da parte di
parassiti. Dimostrare la correttezza dell’ipotesi di Hamilton e Zuk è
difficile, mentre è facile obiettare che una femmina potrebbe evitare
di accoppiarsi con un maschio malato (e quindi senza ornamenti)
semplicemente per evitare di contrarre essa stessa i parassiti. Mentre
nel modello di Zahavi tutti i maschi investono in eguale misura
nell’handicap, ma solo i più vitali possono sostenere il costo di un
tale investimento (l’handicap è dipendente dallo stato di benessere
dell’animale), nel modello di Hamilton e Zuk solo i maschi migliori
sono portatori di handicap (l’handicap è una spia del vigore
dell’animale).
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, le osservazioni e gli
studi sperimentali sull’evoluzione dei caratteri sessuali secondari
hanno ricevuto nuovo impulso dalla messa a punto di tecniche e di
metodi innovativi che hanno permesso di stimare parametri (come, per
es., il numero di copule, il loro costo metabolico, la quantità di
figli generati, ecc.) influenti sulla fitness di un individuo, hanno
consentito di accertare la paternità (mediante il test del DNA
fingerprint) e di valutare fattori e modelli comportamentali coinvolti
nell’evoluzione della sessualità; in particolare quelli relativi alle
colorazioni maschili, alla scelta del partner, alle cure parentali. Tra
le domande più frequenti c’è quella se gli animali scelgano o meno il
partner in base al fatto che esso possegga caratteri appariscenti. In
alcuni casi è quello che avviene. Nel 1982, ipotizzando che nella
Vedova codalunga, la specie africana poliginica Euplectes progne, la
selezione sessuale favorisse l’evoluzione di code lunghe, l’etologo
Malte Andersson manipolò la lunghezza della coda accorciandola ad
alcuni esemplari e tagliandola e poi rincollandola (perciò senza
alterarne la lunghezza) ad altri. La Vedova codalunga è un uccello
dalle dimensioni di un passero caratterizzato da un marcato dimorfismo
sessuale: le femmine hanno una coda di circa 7 cm, una lunghezza
giudicata pressoché ottimale per il volo, mentre la coda dei maschi può
raggiungere il mezzo metro. In natura, i maschi difendono un’area dove
si esibiscono in complessi rituali di corteggiamento. Lo sperimentatore
dimostrò che la lunghezza della coda non aveva alcun peso nella
competizione tra maschi durante la fase di difesa delle arene di
corteggiamento, mentre ne aveva nella loro capacità di suscitare
l’interesse delle femmine. I maschi con coda accorciata artificialmente
attraevano infatti meno femmine di quelli con coda illesa o forniti di
code tagliate e rincollate. I maschi con le code allungate avevano
arene con un maggiore numero di nidi rispetto a quelle degli altri
maschi.
Diversamente dal punto di vista tradizionale che giudicava
corteggiamento e accoppiamento come processi eminentemente cooperativi,
oggi ha sempre più spazio l’ipotesi dell’esistenza di un vero e proprio
conflitto di interesse tra maschio e femmina. Questo in realtà non deve
stupire perché, anche se è vero che entrambi i partner sono beneficiati
dalla riproduzione, esiste tuttavia una fondamentale asimmetria di
ruoli generata dal differente investimento parentale (allocazione di
risorse necessarie a nutrire e allevare la prole) che controlla la
fitness maschile e quella femminile. La principale differenza tra
maschio e femmina risiede nella differente dimensione dei rispettivi
gameti (stato di anisogamia): le femmine producono gameti grandi
immobili e ricchi di sostanze nutritive, mentre i maschi producono
gameti piccoli e solitamente molto mobili (lo spermatozoo comprende una
testa contenente DNA e una coda dotata di un flagello propulsore). La
situazione è perciò chiaramente distinta: i maschi aumentano la propria
fecondità in maniera direttamente proporzionale al numero di
accoppiamenti effettuati (vi sarà dunque una selezione sui maschi a
favore delle caratteristiche che aumentano la probabilità di essere
scelti per l’accoppiamento), mentre le femmine investono nella prole
una maggiore quantità di risorse sia nella produzione dei gameti che
nelle cure parentali (e perciò la selezione massimizzerà la loro
capacità di scegliere i maschi ‘migliori’ insieme a qualunque attributo
in grado di favorire l’allevamento della prole). Per questo motivo i
maschi sono per loro natura etologicamente ‘focosi’, pronti al
combattimento specialmente nel periodo in cui le femmine sono
sessualmente ricettive, mentre la diversa condizione delle femmine le
rende particolarmente accorte nella scelta del maschio. In molte specie
di uccelli e insetti la ritrosia delle femmine viene vinta attraverso
un dono nuziale sotto forma di cibo che viene consumato durante il
corteggiamento o durante la copula. Anche lo sforzo di accoppiamento
(che con l’investimento parentale, rappresenta la seconda componente
dello sforzo riproduttivo) differisce tra maschio e femmina.
L’investimento necessario per procurarsi il partner è maggiore nel
maschio che nella femmina. Complessivamente la selezione sessuale è più
intensa nelle specie con sistema nuziale poligamico, promiscuo (cioè un
misto di poliginia – il maschio si accoppia con molte femmine e
ciascuna femmina si accoppia con un solo maschio – e poliandria – la
femmina si accoppia con molti maschi), che nelle specie monogame in cui
si stabilisce un legame di coppia e spesso entrambi i genitori
concorrono alla cura della prole.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it