semiotica
Scienza generale dei segni,
della loro produzione, trasmissione e interpretazione, o dei modi in
cui si comunica e si significa qualcosa, o si produce un oggetto
comunque simbolico.
1. Scienze della comunicazione
1.1 S. antica e premodernaIl termine s. (o semiologia), è stato
proposto da C.S. Peirce e C. Morris; tuttavia, semiotics in Peirce
riprende la denominazione semeiotiké (con cui J. Locke intendeva la
dottrina dei segni, in particolare di quelli più comuni, le parole),
che risale a Galeno e si ritrova in J.H. Lambert, il quale nel Neues
Organon (1764) propone una s. come studio della conoscenza simbolica in
genere e del linguaggio. In effetti, la s. si può far risalire molto
indietro nel tempo, rintracciandone alcuni fondamentali presupposti
nell’Organon di Aristotele, nella distinzione stoica di significante e
significato, nei trattati dei modisti del 13°-14° sec. (R. Bacone,
Sigieri di Courtrai, Tommaso di Erfurt) e nella linguistica
razionalista e ‘cartesiana’ di Port Royal, ricostruendone le vicende
fino a Settecento inoltrato, da F. Bacone, T. Hobbes e G.W. Leibniz a
J. Locke e a Lambert, fino alla s. degli Idéologues (A.-L.-C. Destutt
de Tracy, J.-M. Degérando), purché si faccia attenzione alla sua
sostanziale diversità rispetto alla s. come ‘scienza moderna’. Ciò che
domina nella s. antica e premoderna, sei-settecentesca, sono la
concezione nomenclatoria del significante e la concezione
referenzialista del significato, che presuppongono l’idea del segno
come ‘rappresentante’ formato dal significante (identificato con
l’aspetto fonico-acustico) e dal significato (identificato con il
concetto o con l’oggetto denotato).
1.2 S. modernaUna s. moderna si profila proprio con Peirce, che pone le
basi di una teoria filosofica in cui hanno forte rilievo la nozione di
semiosi illimitata (il processo di continua riformulabilità dei
significati dei segni: un segno sta per un oggetto solo perché la sua
funzione di rappresentanza può essere espressa da un altro segno, detto
interpretante, che la riformula possibilmente in modo più esplicito; la
semiosi è allora la riorganizzazione continua del nesso segno-oggetto),
la distinzione tra modello e realizzazione di un segno, cioè tra ‘tipo’
di segno e sua concreta occorrenza, e la suddivisione di tre tipi
diversi di segni, ossia icone, indici e simboli, a seconda che il
rapporto con il referente sia di similarità, come nelle icone, di
contiguità (il significante degli indici è collegato da rapporti reali
con la cosa significata), o convenzionale (il significante del simbolo
rinvia all’oggetto in base a una regola).
Morris, a sua volta, sullo sfondo di un’originale sintesi tra
pragmatismo e temi di analisi linguistica ripresi dal neopositivismo,
propone importanti contributi alla s., suddividendo la ‘scienza
generale dei segni’ in pragmatica (che analizza i ‘rapporti dei segni
con i loro interpreti’, cioè con chi li riceve, li produce e li
comprende), semantica (che studia i rapporti dei segni con ciò che
designano) e sintattica (che si occupa dei rapporti formali dei segni
tra loro), e promuovendo un incontro tra s. ed estetica.
Ma è soprattutto con F. de Saussure e L. Hjelmslev che si afferma la
teoria semiotica moderna. Essi sottolineano lo statuto formativo del
significante e del significato, considerati come classi astratte da
Saussure e da Hjelmslev come condizioni formali, e Hjelmslev propone la
nozione di ‘funzione segnica’, intesa come correlazione di due sistemi
formali di differenze, dell’espressione e del contenuto, che
costituiscono ciò che chiama sistema semiotico. Essi caratterizzano poi
nozioni come quelle di codice e di commutazione, di rapporti
sintagmatici e associativi, di sincronia e diacronia, di sistema come
meccanismo produttivo di segni, di unità minime differenziali dal
significante, di senso e atto semico. Su queste basi la s., insieme con
linguistica ed estetica, ha conosciuto un vasto sviluppo, cui già diede
impulso E. Cassirer con la Philosophie der symbolischen Formen
(1923-29), e al quale hanno contribuito a vario titolo e con diverse
prospettive teoriche, non sempre coincidenti con quelle di Saussure e
Hjelmslev, J.N. Tynianov, I. Mukařovsky, e R. Jakobson, A. Martinet ed
E. Benveniste, compresi quei semiotici slavi, come J.M. Lotman e B.A.
Uspenskij, che sono stati i primi a teorizzare l’analisi dei ‘sistemi
modellizzanti secondari’, cioè di tutti quei sistemi semiotici, diversi
dalle lingue, in cui si esprimono specifici modelli di concezione del
mondo e di elaborazione umana della realtà (dai miti al folclore, dalle
religioni all’arte).
1.3 La s. nella cultura italianaNella cultura italiana sono stati
coltivati vari tentativi di servirsi della s. per analizzare le
complesse stratificazioni di senso dei testi letterari (C. Segre, M.
Corti, D’A.S. Avalle), così come sono state tentate diverse
trasposizioni delle teorie e delle tecniche di analisi della s. ai
fenomeni artistici (visivi, filmici, architettonici). Questi tentativi
hanno trovato in E. Garroni con il suo Progetto di semiotica (1972) e
U. Eco con il Trattato di semiotica generale (1975) i teorici che più
si sono interrogati sulla possibilità di una costruzione rigorosa della
s. come scienza. Di fronte alla tendenza verso una ‘semiotizzazione’
generale e pressoché incontrollata delle scienze umane, iniziata già
negli anni 1960, in un momento in cui erano ancora forti l’illusione
scientista della s. e la fiducia nella possibilità di una s. delle
arti, Eco, in Lector in fabula (1979) e in altri suoi testi, ha
mostrato l’insufficienza di una s. dei codici e la necessità della sua
integrazione con una pragmatica. Ma è stato soprattutto Garroni, in
Ricognizione della semiotica (1977), a esaminare le pretese
totalizzanti della s. a valere come ‘teoria generale dei segni’ e in
particolare come s. dell’arte. Con tale ricognizione si è mostrato che
la s. ha mal posto il problema fondamentale da cui dovrebbe derivare il
suo stesso statuto scientifico, quello del concetto di significato e
delle sue condizioni di possibilità. Garroni ha sostenuto inoltre che
non ha senso parlare di ‘linguaggi artistici’ e dei rispettivi
‘codici’, da cui sarebbero selezionabili i relativi messaggi e
significati. Se la s. non è riuscita a costruire quei presunti codici,
ciò dipende da una ragione teorica insuperabile: dal fatto che nel caso
dei prodotti artistici si ha a che fare con procedimenti in cui
l’operatività dell’uomo si manifesta esaltando la propria autonomia e
costruttività. Quei processi operativi risultano sì da un’applicazione
di quelle stesse condizioni intellettuali che rendono possibili la
semiosi e il linguaggio, ma con la differenza che tali condizioni non
si specificano in essi così come si specificano nel linguaggio, cioè in
un sistema regolato da strutture ‘forti’ (grammaticali, costrittive).
2. S. giuridica
È lo studio del diritto dal punto di vista semiotico, inteso cioè come
insieme di segni linguistici che costituiscono il linguaggio e i
discorsi. Nel linguaggio giuridico, che è essenzialmente normativo, a
ogni norma sono collegati determinati comportamenti. Poiché non sempre,
però, il discorso giuridico contiene prescrizioni, ovvero espressioni
deontiche (come il verbo dovere o il sostantivo obbligo), si rende
necessario interpretare le norme, ossia i testi linguistici, per
risalire al loro contenuto prescrittivo riferito a comportamenti umani.
3. S. musicale
Disciplina che studia il rapporto fra l’universo dei suoni e quello
delle immagini non sonore. Sottosezione della s. generale, ne ha
ereditato i metodi, ponendosi però specificamente il compito di
sviluppare una teoria della comunicazione musicale. Tuttavia, la
matrice linguistica che caratterizza i suoi aspetti più sistematici,
pur rappresentando un ampliamento degli strumenti dell’analisi
musicologica, si è spesso rivelata fuorviante e poco adatta per la
specificità del fenomeno musicale. Dopo essersi sviluppata rapidamente
a cavallo degli anni 1970 e 1980, la s. musicale è divenuta non tanto
una disciplina a sé stante, quanto un supporto metodologico per altre
discipline (analisi musicale, psicologia della musica, pedagogia e
sociologia musicale).
I suoi tre ambiti di ricerca si concentrano intorno a significante,
significato e codice. Per significante si intende il suono, che la s.
descrive come fenomeno culturale (e non meramente acustico). Lo studio
del significante ha utilizzato sia strumenti propri dell’analisi
musicale, sia mezzi di altre discipline, mutuando per es. dalla
linguistica griglie tassonomiche (sulla segmentazione del linguaggio
musicale in singole unità e sulla loro distinzione in categorie) o
alcuni concetti di ispirazione generativo-trasformazionale (per es.
sulla possibile formulazione di grammatiche musicali). Più problematica
la questione del significato. In questo ambito gli studi di s. musicale
hanno cercato una propria via ispirandosi alla teoria psicoanalitica, a
quella di J. Piaget, o basandosi su ricerche sperimentali relative alle
risposte agli stimoli sonori. Lo studio del codice (il sistema delle
convenzioni, quasi sempre implicite, grazie alle quali un insieme di
significanti rinvia a un insieme di significati) si è rifatto ai metodi
delle scienze sociali, analizzando i fenomeni di invenzione, diffusione
e accettazione collettiva degli strumenti di comunicazione sonora.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it