sessualità
Complesso dei caratteri
sessuali e dei fenomeni che concernono il sesso.
Nel genere umano, il complesso dei fenomeni psicologici e
comportamentali relativi al sesso. Tali comportamenti sono diretti alla
ricerca del piacere fisico e dell’appagamento psicologico mediante
l’attivazione delle funzioni fisiologiche proprie degli organi genitali
maschili e femminili, nonché l’insieme delle percezioni, istinti e
desideri legati alla consapevolezza del proprio sesso. La s. giunge a
maturazione insieme al realizzarsi della funzione riproduttiva degli
organi genitali, all’epoca della pubertà, quando i meccanismi ormonali
determinano la comparsa dei caratteri sessuali secondari. In quest’età
della vita, anche gli istinti sessuali divengono particolarmente
intensi e sono corroborati dall’attrazione per persone di sesso opposto
(eterosessualità) o omologo (omosessualità).
ANTROPOLOGIA
Attraverso lo studio delle diverse culture umane, l’antropologia ha
potuto constatare da un lato l’importanza della diversità sessuale per
l’organizzazione di ogni società e dall’altro l’estrema variabilità dei
contenuti attribuiti localmente alle idee sull’uno o l’altro sesso. La
differenziazione sessuale piuttosto che essere ritenuta un dato
naturale, immutabile per forma e contenuto, è considerata un punto di
partenza estremamente manipolabile, sul quale, e attraverso il quale,
vengono messe in atto continue operazioni di elaborazione simbolica.
L’idea, propria delle moderne società occidentali, che la dicotomia
sessuale costituisca un dato biologico immutabile e non manipolabile,
non è affatto condivisa da altre società. Per esempio, in alcuni gruppi
della Nuova Guinea (area in cui il concetto di identità di genere
appare estremamente lontano da quello occidentale) l’identità sessuale
di un individuo può mutare nel corso delle diverse fasi della sua vita.
In particolare, tra i Bimin-Kuskusmin una donna anziana che sia stata
sposata e che abbia ormai allentato i rapporti con il marito e il suo
gruppo di parentela, se svolge il ruolo rituale di iniziatrice in
alcune cerimonie di iniziazione maschile del proprio gruppo di
parentela, può divenire uomo. Una simile possibilità è legata a un’idea
dell’individuo in cui questi è costituito dall’equilibrio, temporaneo e
manipolabile, di sostanze fisiologiche e simboliche maschili e
femminili. Lo spargere sangue maschile del proprio gruppo nel corso
delle cerimonie, e l’essersi costantemente liberata di sostanze
maschili appartenenti al gruppo del marito dopo aver procreato molti
figli, mutando l’equilibrio fisio-simbolico della donna, ne cambia
l’identità e con questa il sesso.
Più spesso la differenza sessuale è concepita in termini di asimmetria
e gerarchia, in cui il sesso maschile (anche attraverso l’elaborazione
di miti che fanno riferimento a un matriarcato originario) è sempre
rappresentato come dominante. In alcune società (Baruya, Gimi e altre
della Nuova Guinea, Merina del Madagascar) particolari rituali sembrano
mettere in scena un costante annullamento simbolico dell’identità
sessuale femminile: i maschi si riappropriano, su un piano metaforico,
di tratti importanti della fisiologia femminile (il latte, il sangue
mestruale, il sangue del parto) allo scopo, sembra, di controllare le
capacità riproduttive delle donne; in questi casi si tende ad avere una
forte separazione tra i due sessi, con forme marcate di segregazione
femminile. Altre società, come quelle degli Indiani delle Praterie, si
mostravano più elastiche, ammettendo e istituzionalizzando la
possibilità di avere più sessi; tipica, a riguardo, era la figura del
berdaches, uomo divenuto donna o viceversa, cui erano affidate
importanti funzioni religiose.
BOTANICA
S. relativa In alcuni vegetali inferiori i gameti non sono
morfologicamente distinguibili in maschili e femminili. Hanno però
polarità fisiologica diversa, come si può vedere quando si mescolano
quelli provenienti da due individui diversi. Se non reagiscono fra di
loro, si dice che sono dello stesso sesso; se invece quelli di un
individuo si fissano e diventano immobili e quelli dell’altro rimangono
mobili e circondano in gran numero i primi, con essi copulandosi, si
dice che i primi sono femminili e si attribuisce loro il segno −, i
secondi maschili e si indicano con +. In alcuni casi l’intensità di
reazione è variabile, così che si possono distinguere diverse
categorie: +4+3+2+1−1−2−3−4. Ponendo i gameti maschili forti (per es.,
+4) a contatto con gameti dello stesso segno deboli (per es., +1),
questi ultimi si comportano come femminili rispetto ai primi. In questi
casi si ha una s. relativa, la s. cioè non si presenta come un fenomeno
bipolare assoluto, ma come una serie contigua d’intensità fra due
estremi.
PSICOLOGIA
1. Il contributo della psicanalisi
La concezione comune che definisce la s. come un istinto, vale a dire
come un comportamento preformato, caratteristico della specie, con un
partner (in genere del sesso opposto) e una meta (unione degli organi
genitali nel coito) relativamente fissi, non fornisce una spiegazione
sufficiente e completa del fenomeno. Per questo, una teoria della s.
che voglia essere il più possibile completa deve far riferimento da un
lato alle conoscenze anatomo-fisiologiche e alla genetica, dall’altro
ai dati forniti dall’etnologia e dalla psicoanalisi. Nell’esperienza e
nella teoria psicoanalitiche, la s. non designa soltanto le attività e
il piacere che dipendono dal funzionamento dell’apparato genitale, ma
tutta una serie di eccitazioni e di attività, già presenti
nell’infanzia, che procurano un piacere irriducibile al soddisfacimento
di un bisogno fisiologico fondamentale (come quelli della respirazione,
nutrizione, escrezione ecc.) e che si ritrovano come componenti nella
forma cosiddetta normale dell’amore sessuale.
L’estensione del concetto di s. deriva sia dagli studi compiuti, già
alla fine del 19° sec., da alcuni psicopatologi (lo psichiatra tedesco
R. Krafft-Ebing, 1840-1902; il sessuologo inglese H.H. Ellis,
1859-1939), relativamente alla grandissima varietà che esiste nelle
perversioni sessuali (nella scelta dell’oggetto sessuale come nel tipo
di attività utilizzato per ottenere il soddisfacimento), sia dalla
rivoluzionaria scoperta freudiana della s. infantile. Una volta
affermato che la s. non è riducibile alla genitalità (allo stesso modo
in cui la psiche non è riducibile alla coscienza), è stato necessario
attivare una nuova definizione dei criteri utili per determinare ciò
che sarebbe specificamente sessuale in tali differenti attività.
Parlando di s. infantile, non si intende soltanto riconoscere
l’esistenza di eccitazioni o di bisogni genitali precoci, ma anche di
attività che sono affini alle attività pervertite dell’adulto o perché
adoperano zone somatiche (zone erogene) diverse dalle zone genitali, o
in quanto cercano un piacere (per es. suzione del pollice)
indipendentemente dall’esercizio di una funzione biologica (per es.
nutrizione). In questo senso gli psicoanalisti parlano di s. orale,
anale ecc. Nel ‘manifesto’ della s. psicoanalitica (Tre saggi sulla
teoria sessuale, 1905), S. Freud fa precedere, provocatoriamente, la
sua teoria evolutiva della s. da una elaborata trattazione delle
perversioni. Ne consegue un effetto incrociato per il quale le anomalie
si ‘normalizzano’ trovando i loro presupposti nello sviluppo infantile,
mentre la s. dei bambini, caratterizzata da immaturità anatomica e
funzionale, relativamente autonoma, sterile e finalizzata al piacere
autoerotico, si rivela «perversa e polimorfa». L’intenzione del
fondatore della psicoanalisi era dimostrare che ciò che appare
patologico nell’adulto costituisce la normalità per il bambino. Già
alla nascita, il piccolo è dotato di una precisa organizzazione
sessuale e di un’energia sessuata. Inizia, successivamente, un percorso
di maturazione che conduce alla genitalità ma che comporta un cammino
tutt’altro che lineare. Le organizzazioni sessuali immature in parte
evolvono spontaneamente in quelle successive, in parte vengono rimosse.
Le pulsioni sessuali infantili, parziali e anarchiche, sono destinate a
recedere di fronte alle barriere del pudore, del disgusto e della
moralità che la società innalza nei loro confronti.
2. L’approccio antropo-analitico
Se attraverso la psicanalisi il concetto di funzione o di attività
sessuale si è notevolmente esteso, congiungendosi alle nozioni di
desiderio (strettamente dipendente da un supporto corporeo e il cui
soddisfacimento dipende da condizioni fantasmatiche), di seduzione e di
libido, il punto di vista antropologico, dimostrando l’universalità del
mito di Edipo (con il suo correlato, cioè il complesso di castrazione),
ha fatto dell’incesto e della sua proibizione la legge più generale del
matrimonio e della parentela, quindi il primo principio organizzatore
della vita sociale. Con tali presupposti, l’approccio antropo-analitico
considera la s. come presente e fondamentale nella totalità degli atti
e delle espressioni della vita umana (infantile e adulta, individuale e
collettiva, conscia e inconscia, normale e patologica) distinguendo
entro il determinismo sessuale diverse modalità e fattori: sesso
genetico o cromosomico, sesso gonadico o ormonale, sesso anatomico o
corporeo, sesso sociale, con la funzione di ruolo funzionale, sesso
fantasmatico o fantasmomitico ecc.
3. Le critiche al modello freudiano
La psicanalisi ha, indubbiamente, reso pensabile una s. diversa, eppure
molte critiche sono state rivolte al modello esplicativo freudiano,
dove il determinismo biologico ha teso a minimizzare, se non a negare,
la rilevanza dei fattori sociali. La maggior parte delle confutazioni
sono state avanzate da psicoanaliste donne le quali, dopo Freud e negli
anni del femminismo, hanno cercato di elaborare uno schema di sviluppo
della s. femminile autonomo rispetto a quello maschile che era stato il
nucleo della speculazione freudiana. Molte altre questioni, quali il
momento d’insorgenza della pulsione sessuale, il suo immediato apparire
come una perversione dell’istinto, la perdita della finalità organica,
il fatto che Freud si fosse limitato a postulare una s. esistente in
modo virtuale sin dall’inizio, nonché le dispute che legano scelte
sessuali e scelte d’amore, rimangono oggetto di studio sempre più
integrato per la psicoanalisi, la biologia, le neuroscienze, la
sociologia, l’antropologia.
4. Patologia sessuale
Neurosi sessuali Forme di neurosi che coinvolgono principalmente le
funzioni sessuali, i cui sintomi più frequenti sono i disturbi della
potenza e dell’orgasmo (impotenza, frigidità, eiaculazione precoce
ecc.). Perversioni sessuali Disturbi della personalità contrassegnati
da una prevalente presenza di modalità sessuali agite, sia strutturali
sia comportamentali. Tali disturbi sono qualitativi (se l’istinto
sessuale è diretto verso un oggetto incongruo, come per es. nel
feticismo, nella pedofilia, nella zoofilia) e quantitativi (quando
l’istinto sessuale è presente in difetto o in eccesso, come per es.,
nella ninfomania, nella satiriasi, nell’apatia). Le perversioni
sessuali sono state dapprima ritenute di origine costituzionale e
considerate una specie di anomalia preformata e immutabile
dell’individuo; successivamente si è data importanza predominante a un
ipotetico disturbo somatogenetico su base endocrina, acquisito nel
corso della vita. In psicanalisi, la psicopatogenesi di queste
perversioni è ravvisata, oltre che in un ostacolo di ordine biologico
(insufficienze costituzionali) o ambientale (sociale, educativo), anche
e soprattutto in una mancata organizzazione degli impulsi sessuali
parziali infantili verso un’attività matura.
RELIGIONE
Numerose e complesse sono nelle diverse culture religiose le
implicazioni della sfera sessuale, intesa sia nei suoi aspetti
biologici (come per il valore religioso o magico conferito all’atto
sessuale, agli organi sessuali, al sangue mestruale, allo sperma ecc.)
sia nei suoi riflessi nell’organizzazione sociale (in rapporto alla
istituzionalizzazione dell’unione sessuale nel matrimonio, ma anche in
conseguenza della divisione sessuale del lavoro) nonché a livello
simbolico (si pensi ai riferimenti all’amore, all’unione sponsale, o
anche all’orgasmo, propri del linguaggio dei mistici).
Probabilmente è a causa della sua intrinseca connessione con la
sopravvivenza della specie che la s. è stata assunta nella sfera del
sacro, con tutte le classiche opposizioni dialettiche di quest’ultima
(sacro-profano, puro-impuro ecc.). Ciò determina peraltro l’ambivalenza
con cui è intesa la vita sessuale sul piano religioso: da una parte,
l’energia che si esplica negli atti sessuali è benefica o quanto meno
vitale, e quindi positiva; dall’altra, le varie società tendono a
determinare i vincoli e le leggi che condizionano la sua libera
esplicazione, sia in funzione di precise norme culturali sia per la
condizione in cui si trova chi compie gli atti sessuali (per es.,
durante le mestruazioni, la gravidanza, il puerperio). Tale
problematica si riflette nell’alto grado di ritualizzazione assunta in
varie società dalla piena acquisizione della capacità sessuale (riti di
iniziazione, circoncisione ecc.).
Sul piano del mito, l’unione sessuale, anche in relazione alle
eventuali prassi matrimoniali dei diversi gruppi, si configura come il
processo creativo attraverso il quale le figure divine – proprio per
questo sessualmente differenziate, almeno nelle religioni che le
presentano ben definite, come nel caso di varie forme di politeismo –
danno origine al mondo e lo rinnovano. Parallelamente a tale concezione
è possibile che sul piano del rito si istituzionalizzi la prassi di
atti sessuali ripetuti, sempre finalizzati al rinnovamento sociale o
cosmico. Di norma l’unione sessuale, che si riconosca o no la sua
funzione riproduttiva, è istituzionalizzata nel matrimonio, con tutte
le regole che determinano i rapporti al suo interno e all’interno della
famiglia. Queste regole tuttavia possono prevedere periodicamente od
occasionalmente momenti di rottura (orgia, incesto) delle norme di
comportamento.
Nelle religioni delle culture cosiddette superiori i fatti sessuali
possono essere diversamente valutati. Alcune esprimono l’esigenza della
rinuncia alla vita sessuale, o almeno a certi specifici comportamenti
al suo interno, come è stato a lungo, per un complesso di cause, nella
tradizione cristiana. Altre possono conferire agli atti sessuali un
valore liberatorio. Non si esclude peraltro che una stessa religione
possa determinare esiti opposti nei confronti del sesso: per es.,
nell’induismo a posizioni decisamente ascetiche si affiancano le
dottrine tantristiche, di segno decisamente opposto, mentre nello
stesso cristianesimo la mistica si riappropria del linguaggio e della
simbologia sessuale per esprimere l’unione con Dio.
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it