umorismo
La facoltà, la capacità e il
fatto stesso di percepire, esprimere e rappresentare gli aspetti più
curiosi, incongruenti e comunque divertenti della realtà che possono
suscitare il riso e il sorriso, con umana partecipazione, comprensione
e simpatia (e non per solo divertimento e piacere intellettuale o per
risentimento morale, che sono i caratteri specifici, rispettivamente,
della comicità, dell’arguzia e della satira).
Fondamentale nell’u. è il senso della coesistenza più o meno pacifica
dei contrari in tutte le cose umane, per cui si viene a scoprire il
comico nel tragico e nel solenne, e il tragico e il solenne nel comico,
la saggezza nella follia e viceversa. Di qui la sua natura
eminentemente sociale, la vasta simpatia umana, l’affettuosa
indulgenza; l’u. esclude la beffa, divertimento antisociale, nonché la
satira, che implica una posizione nettamente ostile, e rifugge
dall’oscenità. Molière crea Tartuffe, figura satirica di commedia
intellettuale, per nulla umoristica; C. Dickens crea Pickwick,
tipico/">tipico personaggio umoristico, figura in parte grottesca,
in parte aureolata dalla simpatia del suo creatore, e che rispecchia in
sé una borghesia proba e pedestre. Sebbene motivi umoristici e
temperamenti dotati di u. si trovino fin dall’antichità classica (si
pensi a Luciano e a Orazio), e capolavori di u. siano le figure di Don
Chisciotte e di Falstaff, nonché molte pagine di L. Ariosto,
storicamente, come atteggiamento letterario e sociale, l’u. trovò il
clima ideale nella civiltà borghese, con i suoi ideali antieroici di
quieto vivere, di affettuosa intimità, di gaia e civile compagnia. E
infatti il periodico inglese che segna l’avvento della coscienza
borghese, lo Spectator di J. Addison, si può dire che inauguri l’u. con
il personaggio di sir Roger de Coverley, la cui bizzarria è dipinta con
i colori della simpatia. La tenerezza di cuore e la volubilità del
sentimento, con i continui passaggi dalle lacrime al sorriso, sono
tratti caratteristici di L. Sterne, umorista nel senso più pieno della
parola. E l’u. è la nota principale di eclettici come C. Lamb (i cui
Essays of Elia sono uno dei più grandi classici dell’u.), T. de
Quincey, T.L. Peacock. La sentimentalità e il riserbo dell’età
vittoriana dovevano fare del humour una delle forme preferite nella
vita e nella letteratura: si pensi a Dickens, ad A. Trollope, a L.
Carroll e al suo Alice’s adventures in Wonderland, al re dei giornali
umoristici, il Punch (fondato nel 1841). Ma anche in seguito, sia pure
in forme diverse, l’u. ha continuato a essere un tratto caratteristico
della letteratura inglese (G.B. Shaw, G.K. Chesterton, E. Waugh, P.G.
Wodehouse). La sentimentalità è anche la nota dominante del capolavoro
dell’u. americano, Huckleberry Finn di M. Twain. Al di fuori del mondo
anglosassone l’u. assume manifestazioni differenti: per l’Italia, si
ricordano il Manzoni di Don Abbondio e di tante umane riflessioni, il
Giusti di Sant’Ambrogio, L. Pirandello, A. Campanile, C. Zavattini, I.
Calvino. All’u. si possono ricondurre anche opere di autori
contemporanei come B. Hrabal o T. Pynchon. Un posto a parte occupa la
tradizione dell’u. yiddish, indagato da M. Ovadia, e a cui hanno
attinto i fratelli Marx e W. Allen nel cinema. Questo (con C. Chaplin,
R. Clair, W. Disney, J. Tati ecc.) rappresenta uno dei due generi nei
quali l’u. ha colto alcuni dei suoi risultati più notevoli nel 20°
sec.; l’altro è il fumetto (con Yellow Kid, Li’l Abner, Charlie Brown
ecc.).
Bibliografia
da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it