volpe
Nella cultura occidentale la
volpe è simbolo di astuzia, di scaltrezza e spesso anche di malvagità.
Ne sono testimonianza non solo alcune osservazioni di carattere
scientifico di Aristotele (Historia animalium 488b), ma soprattutto
diversi proverbi popolari di larga diffusione, come «Comportarsi da
volpe con un’altra volpe» (in Zenobio 1,70 e altri paremiografi) o «La
volpe non si lascia prendere in trappola due volte» (cfr. Diogeniano
2,15). Del resto, il modo di fare della volpe è tanto caratterizzato
che entra
persino nel lessico greco e latino per connotare anche il comportamento
degli uomini: ad esempio, il verbo latino vulpinor, usato da autori
quali Varrone e Apuleio, significa «comportarsi da volpe», mentre il
sostantivo vulpio corrisponde all’incirca al termine italiano «volpone».
Plutarco pone la volpe tra gli animali più intelligenti, insieme al
lupo e all’ape, contrapposti alla pecora e all’asino. Si riscontrano
curiosi aneddoti che confermano queste convinzioni: la volpe viene
osservata in inverno dai Traci per comprendere se c’è il rischio che il
manto gelato di un fiume si spezzi (Plinio, Naturalis historia 8,103).
Non è considerata un animale sacrificale e compare raramente nei miti.
La leggenda della volpe di Teumesso, che si fonda probabilmente su una
triste consuetudine con cui gli agricoltori dovevano fare i conti,
presenta l’animale nelle vesti di astuto beffatore, che reca danni ai
campi e al bestiame (cfr. Ovidio, Metamorfosi 7,763
ss.). Artemidoro (Sull’interpretazione dei sogni 2,12) spiega che chi
sogna una volpe deve attendersi insidie occulte, specialmente da parte
di donne. Anche nella cultura ebraica e cristiana la volpe gode di
pessima fama: nei Vangeli, Erode viene paragonato a una volpe (Luca
13,32).
La volpe è uno degli animali più ricorrenti nella
favolistica, dove assume spesso ruoli da protagonista o comunque le
sono in genere affidate argute battute
risolutrici: invita un uomo che conta le onde a guardare al futuro, non
al passato (Luciano, Ermotimo 84); commenta l’atteggiamento dei cani
che fanno a pezzi la pelle di un leone (Sintipa 19). Addirittura Zeus,
ammirandone l’intelligenza e la versatilità, la designa come sovrana
degli animali, anche se poi, constatandone la meschinità immutata, la
riconduce alla sua antica condizione (Esopo 119
Ch.). Questo animale rappresenta soprattutto l’astuzia, una delle due
forze fondamentali che regolano le relazioni del mondo esopico; e, non
a caso, si ritrova spesso nel ruolo di primo ministro o di consigliere
del leone (cfr. Babrio 106), che è simbolo invece della forza. Queste
caratteristiche, complementari, sono sintetizzate in un proverbio di
larga fortuna: «Quando la pelle del leone non è sufficiente, è tempo di
cucirsi addosso quella della volpe».
Mentre è al servizio del leone, la volpe riesce così a trarre in
inganno per ben due volte il cervo, portandolo direttamente nelle
grinfie del re degli animali ammalato: tuttavia, non dimostra piena
fedeltà al sovrano e non esita ad approfittare
delle situazioni propizie (Esopo 199 Ch.). Non si fa scrupoli nemmeno
ad approfittare del litigio tra l’orso e il re degli animali (Esopo 200
Ch.). Dunque, il rapporto con il leone, nei confronti del quale la
volpe ha generalmente un senso di sudditanza, quando non addirittura di
autentico terrore (Esopo 42 Ch.), non è sempre solidale: grazie alla
sua avvedutezza, la volpe non cade in trappola, quando, invitata dal
leone ormai invecchiato nella caverna, vede le orme
dirette soltanto verso l’interno (Esopo 196 Ch.). Fingendo amicizia,
conduce in errore anche il temibile lupo, che si fida ingenuamente di
lei (Babrio 130). Per lo più, insomma, la volpe appare come un animale
astuto, ingannatore e malvagio, ma spesso abile adulatore (ad esempio
con il corvo che lascia cadere il formaggio in Esopo 165 Ch., o con la
pernice di Romulus 34) e invidioso nei confronti di chi si
trova in condizioni migliori (come il lupo che ha accumulato abbondanti
scorte di cibo: Romulus 56). Ma viene talora descritta in modo più
positivo e definita anche «saggia» (Babrio 103). Si rilevano tuttavia
favole di segno decisamente differente, che rappresentano stranamente
la volpe come vittima di beffe o comunque come animale poco accorto. La
volpe si fa goffamente male, quando si aggrappa
a un rovo (Esopo 31 Ch.). Non sempre riesce a portare a termine i suoi
inganni attraverso le lusinghe: il gallo non cade in trappola e la
invita a rivolgersi al temibile cane (Esopo 180 Ch.), mentre la cicala
mette saggiamente alla prova la sua (apparente) buona fede (cfr. Esopo
335 Ch.).
Celebre la narrazione della volpe e dell’uva (Esopo 32
Ch.), in cui l’ingannatrice per eccellenza finisce per
consolarsi ingannando se stessa, poiché non riesce a
raggiungere l’obiettivo: questo tema favolistico appare piuttosto
antico, tanto che già un vaso del V secolo a.C. sembra riferirsi al
tema, assai simile, di una favola sumerica (protagonista un cane che
non riesce a mangiare datteri: 5,90 Gordon). Alla volpe capita anche di
essere derisa da antagonisti (come la cicogna di Fedro 1,26) che alla
fine si dimostrano più furbi di lei. Questo filone narrativo potrebbe
rientrare, come nota Pugliarello 1973, 39 ss., nel «carattere proprio
di quella figura che in linguaggio di etnologia religiosa viene
definita trickster, cioè “imbroglione”»: un personaggio «bifronte», che
coniuga «crudeltà ed astuzia» e «sciocca credulità e ciarlataneria»,
rappresentando forse «la totalità dell’esistenza, nella quale rientra
tutto ciò che è
disordine, contrario alla norma»: tali figure sono incarnate, ad
esempio, dalla lepre nei miti della cultura africana sudorientale
(Bantu) o dal ragno presso gli Akasu del Sudan.
Tale spiegazione potrebbe risolvere anche le obiezioni razionalistiche
circa l’impossibile ingenuità dell’animale, mosse da alcuni studiosi in
relazione alla nota favola della volpe dal ventre gonfio (Esopo 30
Ch.), impiegata in vari contesti, anche da Orazio (Epistole 1,7,28 s.),
che, per rivendicare la sua libertà nei confronti dell’amico-patrono
Mecenate, afferma di essere pronto a sgravarsi di quanto ha ingerito
(ossia, le ricchezze che gli sono state donate).
Tra le altre narrazioni, la favola di Esopo 58 Ch. presenta un uomo che
serba rancore nei confronti dell’animale: lo cattura e gli dà fuoco, ma
la volpe finisce per giungere nei suoi campi e il raccolto va in fumo.
Questa narrazione trova significativi riscontri anche nella tradizione
romana.
Secondo Ovidio (Fasti 4,681 s.), nell’ambito della festa dei Cerialia
(in aprile) si legavano fiaccole ai fianchi di alcune volpi e le si
facevano correre furiosamente. Lo stesso poeta individua l’origine del
rito, che pare avere l’obiettivo di eliminare un animale nocivo (ma più
probabilmente si tratta di un rito apotropaico per proteggere i
cereali, visto che la volpe pare incarnare lo spirito del grano), in un
episodio molto simile a quello della favola: protagonista un giovane di
Carseoli. Anche nella Bibbia (Giudici 15,4), troviamo una vicenda
simile: Sansone invia nei campi dei Filistei volpi legate a due a due
per la coda, con una torcia accesa.
La notevole diffusione della volpe in Europa è
testimoniata anche dalla sostituzione con essa di altri
animali, in motivi narrativi di provenienza orientale. Il più noto è
certamente quello relativo alla favola dell’aquila e della volpe (Esopo
3 Ch.): nella tradizione babilonese, abbiamo il serpente che si oppone
al re dei volatili. Questa equivalenza culturale tra serpente e volpe
si giustifica anche sulla base di esplicite osservazioni, come quella
di Aristotele, che nota come esista una certa amicizia tra volpi e
serpenti, alla luce della comune ostilità nei
confronti delle aquile (fr. 354 Rose; cfr. anche Plutarco,
L’intelligenza degli animali 981b). Altri motivi simili ricorrono in
tradizioni favolistiche lontane: ad esempio, nella tradizione africana
dei Bangwa si riscontra il motivo della coda danneggiata di un animale
– la lepre – che, in tale ambito culturale, assume significati
simbolici affini a quelli
della volpe in Occidente. Nella favola greca, d’altra parte, l’assenza
della coda diventa un pretesto per un esercizio di vana ipocrisia, che
ricorda vagamente il proverbio citato sopra («Comportarsi da volpe con
un’altra volpe»). La caratteristica astuzia della volpe è peraltro
conservata anche nel Pañcatantra (III, 90), dove con uno stratagemma si
salva dalle insidie dello sciacallo. La volpe, nella sua acuta
saggezza, pronuncia anche frasi dal sapore quasi proverbiale, come
quando ammonisce il gracchio, in vana attesa che maturino i frutti di
un fico, suggerendo
l’immagine della speranza come pastore che conduce al pascolo, ma non
può riempire lo stomaco (Esopo 160 Ch.).
Questo tema è tipico di numerosi proverbi di senso affine (cfr. Tosi
1991, 410), anche se qui il concetto della fallacità delle speranze,
presente in diversi contesti letterari, non permette di rilevare un
collegamento significativo tra favola e detto sentenzioso.
Bibliografia
Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012