Home


Alcolismo




Il concetto di alcolismo non ha un significato univoco, né nel linguaggio comune, né in quello scientifico; con esso si intende infatti sia qualsiasi abuso di alcol, anche episodico od occasionale (alcolismo acuto), sia uno stato patologico conseguente a un'eccessiva assunzione, prolungata nel tempo e tale da ingenerare dipendenza (alcolismo cronico). Anche i sistemi di classificazione medica distinguono tra abuso e dipendenza da alcol: nel primo caso ci si riferisce a un comportamento abnorme nel bere, che comporta disturbi somatici e psico-sociali; nel secondo alla necessità patologica di assunzione. In una visione unitaria, l'alcolismo può essere considerato una vera e propria malattia, nella cui eziologia intervengono componenti di varia natura: genetiche, organiche, psicologiche e ambientali.

sommario: Aspetti medici. 1. Alcolismo e abitudine al bere.  2. Effetti acuti dell'ingestione di alcol. 3. Inquadramento epidemiologico dell'alcolismo. 4. Patogenesi dei danni da alcol . 5. Principali patologie correlate all'abuso di alcolici. 6. Alcol e gravidanza. 7. Alcol e guida di veicoli. 8. Interazioni tra alcol e farmaci. Storia e inquadramento attuale del concetto di alcolismo. 1. L'alcol nelle culture moderne. 2. Il modello patologico. 3. Indirizzi di politica saniitaria. □ Bibliografia.

Aspetti medici  di Giovanni Gasbarrini, Giovanni Addolorato, Giuseppe Francesco Stefanini

1. Alcolismo e abitudine al bere
Non è facile stabilire quale possa essere un consumo 'normale' di alcolici. Lo stesso tentativo di definire la dose giornaliera di alcol che possa essere considerata innocua si è dimostrato un compito arduo, se non velleitario, poiché esiste una gamma molto ampia di risposte dell'organismo umano all'alcol. Ciascun individuo, infatti, ha una propria specificità, legata a fattori genetici, fisiologici, psicologici, oltre che socioculturali. Non è quindi immediata la distinzione tra uso corretto e abuso di una sostanza socialmente accettata e di largo e usuale consumo come l'alcol. 'Bevitore normale' può essere definito chi si attiene a regole di moderazione e di buon senso e fa uso di bevande alcoliche come piacevole opportunità o componente dietetica integrativa, senza che ciò si trasformi in una necessità.Anche il consumo di alcolici 'non corretto', e quindi potenzialmente pericoloso, richiede una definizione, analogamente non facile. Un tentativo autorevole è stato quello effettuato, già alla fine degli anni Sessanta, dall'Organizzazione mondiale della sanità, che ha distinto due condizioni principali: l'abitudine al bere e la tossicomania.
Nell'abitudine al bere prevalgono alcuni aspetti, quali il desiderio, e non la necessità, di bere alcolici per avvertirne gli effetti piacevoli e il senso di benessere; la dipendenza dall'alcol è di natura esclusivamente psichica, mentre quella fisica è assente; la propensione ad aumentare le dosi è scarsa, se non nulla; infine, gli effetti nocivi sono circoscritti all'individuo. Nella tossicomania, invece, la condizione è definita come cronica e nociva, non soltanto per l'individuo, ma anche per la società, ed è contraddistinta da alcune caratteristiche peculiari, quali il desiderio compulsivo di alcol e la necessità di procurarselo a qualunque costo, la tolleranza - definita come il bisogno di aumentare le dosi assunte - e la dipendenza fisica e psichica dall'alcol, la cui mancata assunzione può indurre la comparsa della sindrome di astinenza.Una più recente classificazione dell'alcolismo è quella fornita dall'American psychiatric association nella quarta edizione del Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-IV, 1995), che distingue due forme: l'abuso e la dipendenza.
L'abuso si riferisce sia a eccessi occasionali sia a un consumo continuato di alcolici, e implica una dipendenza di ordine psicologico, in cui il bere è motivato dalla necessità di sentirsi in forma, nonostante i problemi sociali e occupazionali che ne derivano. Nella dipendenza, oltre ai medesimi problemi, si evidenzia anche un aumento sia nella tolleranza all'alcol, sia nei sintomi fisici dell'astinenza. La dipendenza si manifesta quindi come un legame inscindibile o difficilmente risolvibile con l'alcol, in assenza del quale compaiono di norma segni più o meno gravi di sofferenza tanto fisica quanto psichica. Questa condizione fa sì che lo stile di vita della persona subisca stabili modifiche, anche in caso di astinenza temporanea o occasionale, da cui derivano problemi di ordine sia sociale sia economico sia familiare. Questi concetti, che valgono in linea generale per l'uso di una qualsiasi sostanza che comporti il rischio di dipendenza, sono resi specifici dall'interrelazione di tre elementi, rappresentati dal soggetto (l'etilista), dalla sostanza (l'alcol) e dall'ambiente (la famiglia, la società). È pertanto evidente che, ove coesistano condizioni favorevoli - come la disponibilità di bevande alcoliche, una personalità fragile, un ambiente permissivo (privo o quasi di forme di controllo), scarse informazioni sui possibili danni - la dipendenza da alcol si svilupperà in maniera più o meno intensa, a seconda del rapporto tra questi elementi.

2. Effetti acuti dell'ingestione di alcol
Gli effetti dell'ingestione di bevande alcoliche variano in funzione di alcuni parametri, i più importanti dei quali sono: la quantità di alcol anidro ingerito, la sua concentrazione nella bevanda (2-3 g/100 ml nella birra, 9-10 nel vino, 30 o più nei superalcolici), la presenza di cibo nello stomaco, il peso corporeo, il sesso. Importante è anche la condizione individuale del soggetto, intesa sia come patrimonio enzimatico, sia come abitudine all'uso moderato o meno di bevande alcoliche, cui corrisponde un grado relativo di induzione enzimatica, e l'eventuale presenza di patologia epatica o gastrica. Le manifestazioni da intossicazione acuta, riferita a livelli crescenti di assunzione, possono essere così schematizzate: loquacità ed euforia (alcolemia 0,3 g/l), incoordinazione motoria (0,5 g/l), disartria, atassia, confusione (1g/l), coma etilico e arresto cardiorespiratorio (3-5 g/l). Questo vuol dire, considerando un valore medio di suscettibilità all'alcol, che saranno sufficienti 4 bicchieri di vino per determinare euforia e da 4 a 9 bicchieri per provocare ubriachezza (oppure, rispettivamente, 2-6 boccali di birra o 2-4 bicchierini di superalcolici per l'euforia, e 6-14 boccali o 6-8 bicchierini per l'ubriachezza). Se le manifestazioni da intossicazione acuta si verificano anche per l'ingestione di modiche quantità di alcol, l'ubriachezza viene definita 'patologica'.

3. Inquadramento epidemiologico dell'alcolismo
L'Italia è il maggior produttore di vino del mondo, con una quantità annua di 70-75 milioni di ettolitri, seguita dalla Francia con circa 60 milioni e dalla Spagna con 30 milioni; il numero delle persone coinvolte nella produzione e nello smercio di bevande alcoliche è valutabile intorno ai 5 milioni. Il consumo medio pro capite annuo pone l'Italia ai primi posti nella graduatoria mondiale, ed è pari a 73,2 l di vino, 19,5 l di birra e 23,4 l di superalcolici per abitante, cui corrisponde un consumo medio pro capite di 28,1 g di alcol al giorno, sebbene anche nel nostro paese, come in quasi tutto il mondo, si registri una significativa tendenza alla diminuzione (Salomon 1994).
Si valuta che in Italia vi siano circa 4 milioni di 'bevitori eccessivi', dei quali 1,2 milioni affetti da dipendenza. La mortalità correlata all'abuso di alcolici, inclusiva anche della quota derivante da incidenti stradali, omicidi e suicidi, è di circa 30.000 decessi l'anno. Ma è probabile che questa sia una sottostima, se si considera che in numerosi casi, in particolar modo in riferimento alle malattie neoplastiche, sfugge l'associazione con l'abuso di alcol.
Dal punto di vista fenomenologico, l'alcolismo non segue un modello di diffusione omogeneo, pur essendo riscontrabile in tutte le classi e i ceti sociali. Differenze significative si riscontrano tra Nord e Sud, da regione a regione (in alcune, come il Veneto, la Valle d'Aosta, il Trentino, l'abuso di alcol costituisce un vero e proprio problema sociale) e, nell'ambito di una stessa regione, tra città, campagna e zone montane, dove il consumo di alcolici è in genere più elevato. Rispetto al sesso, il rapporto tra soggetti dipendenti dall'alcol maschi e femmine è di 5:1, ma è stato rilevato che un numero sempre maggiore di donne presenta problemi correlati all'abuso di alcolici; il motivo può forse essere visto nel progressivo avvicinamento della donna a un modello che era stato finora prettamente maschile, dal punto di vista sia lavorativo sia sociale (Salomon 1994). Nelle diverse fasce di età, il picco della prevalenza dell'alcolismo si colloca tra i 40 e i 50 anni, sebbene una seconda punta si osservi nella decade tra i 65 e i 75 anni.
Il rischio di sviluppare dipendenza dall'alcol è legato a fattori di varia natura: sociale, come disoccupazione, condizioni abitative precarie, frequenti incidenti, solitudine, infortuni sul lavoro, fenomeni di criminalità minore; familiare, come divorzio o separazione, abuso sul coniuge o sui figli; occupazionale, con predilezione per certe attività lavorative (operai, muratori, cuochi, barman, rappresentanti, marinai, casalinghe); psicologica, come stati ansiosi, gelosia, fobie, depressione, lutti; fattori predisponenti sono anche uso di droghe leggere per periodi prolungati, terapie psicofarmacologiche e precedenti di abuso alcolico.

4. Patogenesi dei danni da alcol
I meccanismi patogenetici che vengono chiamati in causa nel danno provocato dall'uso inadeguato di alcol sono fondamentalmente legati a un'azione diretta dell'etanolo e alle alterazioni metaboliche che conseguono a un'eccessiva metabolizzazione della molecola a livello epatico, cioè aumentato consumo di ossigeno, iperproduzione di acetaldeide, accumulo di radicali liberi e successivi fenomeni di lipoperossidazione. Il danno diretto è maggiormente rilevabile a livello delle membrane cellulari: in vitro è stato dimostrato che l'etanolo ha un effetto specifico su tali membrane, mentre in vivo l'intossicazione cronica può indurre modificazioni del rapporto colesterolo-fosfolipidi e del tipo di acidi grassi dei componenti fosfolipidici (Hrelia et al. 1986). L'aumento della microviscosità di membrana è ritenuto responsabile delle alterazioni nella neurotrasmissione che trovano espressione nei fenomeni neurotossici dell'intossicazione acuta e sono simili a quelle che si ottengono con l'impiego degli anestetici.
L'irrigidimento della membrana sinaptica, indotto dall'abuso cronico, potrebbe spiegare la cosiddetta 'tolleranza', cioè quel fenomeno per il quale per ottenere lo stesso tipo di effetto psicotropo (secondario a fluidificazione) sono necessarie quantità sempre maggiori di alcol. Per mantenere gli scambi cellulari a livelli simili a quelli che si verificano in condizioni di normalità, è necessario che la membrana così irrigidita recuperi la sua abituale microviscosità, ciò che richiede una certa quantità di 'elemento fluidificante'; si deve pertanto ricorrere alla somministrazione continua di tale sostanza, la cui assenza provoca la comparsa di alterazioni diffuse a carico di tutte le membrane cellulari.
Uno dei fattori responsabili della dipendenza fisica da alcol potrebbe essere appunto la necessità di apportare senza interruzioni questo elemento capace di ricostituire la normale fluidità delle membrane. Sembra che i cambiamenti di fluidità di membrana e, conseguentemente, dell'attività recettoriale, siano responsabili delle alterazioni della fase precoce della risposta linfocitaria degli etilisti, e quindi di uno dei principali meccanismi di riduzione della risposta immunitaria, delle difese contro le infezioni e delle funzioni di cellule attivabili quali quelle endocrine. Oltre ai meccanismi di tossicità diretta, nell'intossicazione alcolica un ruolo di grande importanza appare svolto anche dai meccanismi di tossicità indiretta, attraverso i danni indotti da metaboliti, quali l'acetaldeide, e dall'accumulo di prodotti di ossidazione.

5. Principali patologie correlate all'abuso di alcolici
L'abuso di alcol comporta alterazioni a livello di numerosi organi e apparati, con quadri patologici diversi a seconda che si tratti di manifestazioni acute o croniche; di particolare interesse sono le alterazioni a livello del fegato, del pancreas, del canale digerente, del sistema nervoso, degli apparati cardiovascolare e respiratorio e del sistema endocrino. Non meno importanti sono i deficit nutrizionali che si instaurano nell'alcolista: oltre a produrre lesioni sul tratto alimentare (Addolorato et al. 1997a), l'alcol riduce l'appetito e causa alterazioni sia del metabolismo (Addolorato et al. 1997b), sia del meccanismo di utilizzazione di numerosi nutrienti (vitamine, alcuni minerali ecc.).
Malnutrizione e alcolismo concorrono a determinare un indebolimento delle difese immunitarie, che negli alcolisti cronici si traduce in un aumento di infezioni e di tumori; tra questi di particolare importanza sono le neoplasie delle prime vie aeree e dell'apparato digerente, dovute all'azione carcinogenetica dell'alcol, che a livello di questi distretti può agire direttamente.

6. Alcol e gravidanza
Il consumo eccessivo di alcol in gravidanza può produrre gravi danni sul feto. Poiché l'etanolo si diffonde liberamente attraverso la placenta, dopo circa un'ora dall'assunzione i livelli di alcolemia nei tessuti fetali sono sovrapponibili a quelli del sangue materno, mentre il decremento risulta nettamente rallentato nel feto rispetto alla madre. L'alcol ha dunque un effetto teratogeno diretto, che si manifesta in quella che gli studiosi hanno identificato come 'sindrome feto-alcolica', le cui caratteristiche principali sono: ritardo mentale, microcefalia, ritardato accrescimento, anomalie cardiache, malformazioni, parti prematuri, aborto. Responsabile della tossicità dell'etanolo sul sistema nervoso centrale fetale sarebbe soprattutto l'acetaldeide, poiché l'attività dell'enzima acetaldeide deidrogenasi è nel feto più bassa che nell'adulto. L'alcol provocherebbe anche una riduzione della circolazione ombelicale e placentare, responsabile di ipossia cronica fetale.

7. Alcol e guida di veicoli
L'assunzione di quantità elevate di alcol ha numerose ripercussioni sull'attitudine alla guida: abilità ridotta, incapacità di fronteggiare gli imprevisti, tendenza a distrarsi, sopravvalutazione delle proprie possibilità, rallentamento dei riflessi, diminuzione delle capacità uditive, visive e di valutazione della reale posizione del veicolo. In Italia si calcola che l'abuso di alcolici sia responsabile di circa il 33% degli incidenti stradali. La legislazione italiana proibisce la guida a soggetti con alcolemia uguale o superiore a 0,8 g/l, ma va sottolineato che gli effetti sopraindicati possono comparire già per valori di alcolemia intorno a 0,5 g/l, corrispondenti a quelli che si ottengono dopo ingestione, a stomaco vuoto, di due bicchieri di vino. Al disopra di 0,8 g/l, la probabilità di provocare incidenti stradali aumenta con progressione logaritmica, diventando altissima al disopra di 1,5 g/l. Va sottolineata la pericolosità dell'interazione dell'alcol con i farmaci psicotropi, che ha un effetto sinergico nei confronti delle prestazioni motorie e cognitive.

8. Interazioni tra alcol e farmaci
L'etanolo interagisce con numerosi farmaci, inducendo importanti modificazioni nel loro metabolismo o agendo sinergicamente con essi, così da variarne l'effetto. In particolare, l'etanolo favorisce l'assorbimento di alcuni composti, come, per es., le benzodiazepine, in quanto modifica i tempi di svuotamento gastrico e la concentrazione terapeutica efficace del farmaco; quest'ultima dipende in parte dal legame con le proteine plasmatiche, che in corso di epatopatia può variare per insufficiente sintesi o per aumentato catabolismo. Inoltre, l'epatopatia può influenzare la velocità di rimozione del farmaco, che è in rapporto con il flusso ematico del fegato (aumenta se il flusso aumenta e viceversa), come pure alterarne il metabolismo con un meccanismo di induzione enzimatica, in quanto l'etanolo provoca un incremento sia del MEOS (Microsomal ethanol oxidation system), sia di altri sistemi farmaco-metabolici microsomiali. Infine, molti farmaci agiscono con un meccanismo disulfiram-simile: il disulfiram, farmaco ampiamente impiegato nel trattamento dell'alcolismo come avversivante, agisce bloccando l'enzima acetaldeide deidrogenasi, con conseguente incremento ematico dell'acetaldeide; ciò comporta la comparsa di una sintomatologia (nausea, vomito, convulsioni ecc.) particolarmente sgradevole, che in alcuni casi può richiedere addirittura l'ospedalizzazione del paziente.

Storia e inquadramento attuale del concetto di alcolismo di Hasso Spode

1. L'alcol nelle culture moderne
L'alcol è sempre stato ed è tuttora la più diffusa sostanza psicotropa al mondo. La maggior parte delle culture distingue tra consumo eccessivo e consumo lecito o prescritto, ma i criteri alla base di tale distinzione sono estremamente diversi. Dato che l'alcol può avere dal punto di vista farmacologico un effetto sia eccitante-liberatorio, sia sedativo-inibitorio, ne deriva uno spettro molto ampio di usi e di abusi, che si concretizzano solo in base alla specifica situazione determinata dalle dosi assunte e dalle aspettative psicologiche.
L'uso di alcol non è perciò riconducibile a una determinata funzione base (per es., il dominio della paura o il desiderio di potere): si può soltanto dire che esso rende possibili alterazioni di tipo emozionale, cognitivo e sensomotorio. Nella medicina clinica tali alterazioni sono qualificate come 'disturbi', ma ciò implica, in sostanza, equiparare il consumo di alcol a un abuso. Diversamente dalle società premoderne, in cui lo stato di ebbrezza collettivo e ritualistico era ritenuto un mezzo irrinunciabile per attingere l'esperienza trascendentale e per consolidare i vincoli sociali, la sobrietà è oggi considerata, anche da chi non ha cognizioni mediche, la condizione 'normale', pur ammettendo limitate eccezioni a tale regola.
Anche se non c'è accordo sull'ampiezza e la forma di tali eccezioni, occorre precisare che il concetto usuale di abuso ha limiti molto più ristretti rispetto a quello medico: poiché il consumo di alcol produce effetti percepiti come piacevoli e il più delle volte considerati stimolanti (in quanto facilitano il contatto e riducono le tensioni ecc.), esso viene in genere valutato positivamente nelle situazioni conviviali. Se è considerato deviante il comportamento che caratterizza l'alcolista, altrettanto lo è, in molti paesi, l'essere astemi.
Sia per gli individui sia per le culture vale la considerazione che quanto maggiore è il consumo di alcol, tanto più ridotto è l'ambito del concetto di abuso. Sotto l'aspetto tipologico si possono distinguere culture astemie, ambivalenti, permissive e ultrapermissive (Bales 1946). Non sono ancora sufficientemente chiari i criteri alla base di tali definizioni (la religione fornisce una motivazione importante, ma non esauriente). In questi ultimi decenni si manifesta una tendenza verso la cultura 'ambivalente', cioè verso un adeguamento al modello nordamericano e mitteleuropeo, tanto più che è in declino la cultura mediterranea 'permissiva' (in Italia, il consumo pro capite è diminuito di un terzo dal 1980 al 1990). Il modello ambivalente è caratterizzato da una grande variabilità nel consumo (in linea generale si considera che un decimo della popolazione assorba metà del consumo nazionale): l'alcol non viene, o non viene più, considerato una sostanza nutritiva, ma, in primo luogo, un mezzo per procurarsi piacere ed eccitazione, il cui uso in ambito domestico o nel tempo libero arriva non di rado a sporadici eccessi. Rispetto al modello 'permissivo', la proporzione dei non consumatori e dei consumatori moderati è relativamente alta, come anche quella delle persone classificate come alcoliste.

2. Il modello patologico
L'alcolismo è un concetto dell'età moderna (Spode 1993). In passato, uno stato di forte e continua ubriachezza era ritenuto solo sporadicamente una tossicomania, mentre era in genere considerato un difetto morale; nelle competenze mediche ricadevano esclusivamente le conseguenze somatiche provocate dall'abuso di alcol. Solo alla fine del 18° secolo alcuni medici postularono una psicopatologia sui generis, che consisteva in una spinta irrefrenabile a bere ('malattia della volontà'). Fu C. von Brühl-Cremer, nel 1819, a trasformare l'alcolismo in una configurazione patologica coerente con precise tipologie e fasi (Trunksucht, "dipsomania"). Il modello patologico ha subito nei due secoli della sua esistenza molteplici modificazioni, a seconda che si sia posto l'accento sulle eziologie sociali o su quelle somatico-biologiche, senza che però sia mai emersa una precisa linea di sviluppo.
La teoria ancora oggi dominante si riallaccia alla tesi, formulata nel 1935 dagli Alcolisti anonimi, di una 'allergia' all'alcol, tesi sviluppata a dottrina scientifica dalla cerchia di studiosi riuniti intorno a E.M. Jellinek presso lo Yale center (oggi Rutgers center). Secondo tale tesi, l'assunzione di alcol conduce persone biologicamente predisposte a perdere qualsiasi controllo del bere e andare incontro a un processo patologico sfociante in una completa dipendenza e in un decadimento sia fisico sia morale, con una sintomatologia articolata in diversi stadi (prodromici, critici e cronici) e tipologie (distinte mediante lettere greche, dalla alfa alla epsilon). Soltanto dopo aver toccato il 'punto più basso', l'alcolista è disposto ad accettare una terapia finalizzata al raggiungimento dell'astinenza dall'alcol per il resto della vita.
La ricerca scientifica ha mosso critiche crescenti al modello patologico, i cui elementi essenziali - perdita di controllo, decorso progressivo, necessità della terapia e dell'astinenza - appaiono insostenibili, almeno per quanto riguarda l'aspetto di una loro generale validità. L'alcolismo sembra infatti seguire non tanto una propria dinamica, quanto, piuttosto, cambiamenti che si verificano nel contesto sociale; la prognosi è perciò giusta, mentre l'utilità della terapia è controversa. Ancora oltre si spinge l'obiezione a considerare l'alcolismo non una malattia, ma un 'marchio' che attribuisce a individui e ambienti sociali peculiarità stereotipe che li stigmatizzano come devianti, dando così origine a un processo di graduale emarginazione e autoemarginazione. Se è vero che il modello patologico dell'alcolismo non deve essere respinto con la motivazione che esso esisterebbe solo nel pensiero ma non nel 'mondo oggettivo' (Fingarette 1989), in quanto l'alcolismo è certamente una componente del 'mondo', nella misura in cui produce percezioni e determina azioni, è altrettanto vero che l'alcolismo non è definibile solo a livello somatico, ma rappresenta anche una 'costruzione sociale', che evidenzia con esemplare chiarezza il condizionamento che sul corpo esercitano i fattori culturali. Indipendentemente dalle conoscenze teoriche, ne vanno quindi ricercate le implicazioni sociali.
L'alcolismo può adempiere a molteplici funzioni: schermo protettivo per angosce e mali sociali, difesa del diritto a bere circoscrivendo un proprio spazio simbolico, legittimazione di diseguaglianze sociali o di rivendicazioni individuali e collettive. L'elaborazione di teorie scientifiche da parte di esperti, in particolare la definizione di un modello per la prevenzione e la terapia, può comportare per gli alcolisti conseguenze contradditorie: il 'ruolo di malato' da un lato allevia il peso della sofferenza, perché sottrae alla condanna morale, dall'altro ostacola l'iniziativa personale e ribadisce la stigmatizzazione, presentando per di più una connotazione scientifica che esclude gli interventi dei non specialisti e fa acquistare un carattere medico anche ai tentativi che l'ambiente dell'alcolista pone in essere ('sistema non professionale') per non emarginarlo e per obbligarlo a un consumo di alcol non dannoso (co-alcolismo).
Il modello patologico rischia quindi di impedire il formarsi di schemi di comportamento socialmente integrati, attribuendo all'alcolizzato un posto fuori dalla società dei 'normali', in cui non può ritornare se non dopo aver cambiato la propria personalità secondo percorsi fissati dalla scienza, il che viene per lo più avvertito dall'alcolista come un gravissimo affronto, in base al quale può anche spiegarsi il suo rifiuto di sottoporsi a qualsiasi intervento terapeutico fino a che non ha toccato il 'punto più basso'. Le ragioni della grande popolarità del modello patologico vanno probabilmente ricercate nella sua funzionalità per le persone 'sane', ma alla luce delle considerazioni fatte esso non può essere considerato del tutto soddisfacente, apparendo l'alcolismo una superficie sotto la quale si nascondono un'infinità di processi e cause diversi (Fingarette 1989).

3. Indirizzi di politica sanitaria
Dopo un lungo periodo di relativa tolleranza, iniziato con l'abolizione del proibizionismo negli USA nel 1933, dagli anni Settanta si è registrato nuovamente, nella politica e nella scienza, un atteggiamento sempre più critico nei confronti dell'alcol, che in linea di massima si richiama all'apparato legislativo proibizionista propagandato, dall'Ottocento in poi, dai movimenti antialcolisti e attuato in numerosi paesi (Scandinavia, India ecc.). Per l'Europa, l'Organizzazione mondiale della sanità ha delineato un programma di intervento tendente a diminuire il consumo di alcol del 25% tra il 1980 e il 2000, secondo un'impostazione neorestrittiva, che ha come suo obiettivo la 'sobrietà' ed è basata sulla convinzione che una riduzione del consumo di alcol determini anche una diminuzione dell'alcolismo. Tuttavia, mentre è accertata - almeno per brevi archi temporali - una correlazione negativa tra l'incidenza di gravi malattie dovute all'alcol e il suo consumo pro capite, resta alquanto vaga la conferma di un rapporto tra quest'ultimo e l'alcolismo. In contrasto con la tesi della 'sobrietà' - legata soprattutto al modello patologico di Jellinek e diretta a dare particolare risalto ai rischi somatici, come la cirrosi epatica - troviamo anche una teoria più tollerante verso il consumo di alcol, frequentemente caratterizzata da un atteggiamento critico nei confronti del modello patologico e propensa a sottolineare maggiormente le implicazioni sociali e psichiche. Ciò che si contesta è soprattutto l'efficacia a lungo termine della soluzione offerta dalla 'sobrietà': essendo incancellabile il bisogno di alcol, occorre incrementare il più possibile modelli di consumo non nocivi.
Secondo tale tesi, le misure proibizioniste finirebbero per aumentare l'incidenza dell'alcolismo, perché togliendo legittimità a un consumo integrato nel contesto sociale si darebbe forza a subculture nelle quali l'alcol assume un alto valore simbolico. Viceversa possono rivelarsi efficaci provvedimenti moderati e non discriminanti volti a restringere la possibilità di far uso di alcolici (per es. la tassazione sul consumo).
In questo dibattito, un ruolo chiave spetta al confronto storico e antropologico e, in particolare, appare opportuno ricondurre la controversia sulla politica da adottare nei confronti del consumo dell'alcol nel quadro delle macrotendenze sociali, finora non sufficientemente indagate. In età moderna, l'atteggiamento verso l'alcol è cambiato drasticamente da una generazione all'altra: più che la quantità del consumo sembrano aver avuto un ruolo decisivo la cultura del bere e le paure e i conflitti indotti da rapidi cambiamenti sociali, in rapporto ai quali è stato talora strumentalizzato lo stesso sapere scientifico.




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

Torna agli articoli