Home


Alloro




L’alloro è pianta legata al sole e, quindi, al culto di Apollo.
Il mito, che presenta diverse varianti, narra che la ninfa Dafne, vergine figlia del fiume Peneo, ottenne di essere trasformata in alloro per sfuggire alle brame del dio, che la amava (δάϕνη in greco significa appunto «alloro»).
Nell’antichità, la pianta è al centro delle Dafneforie, celebrazioni che si tengono in varie città greche, in onore di Apollo Dafneforo (portatore di lauro). L’alloro è ritenuto profetico proprio per il legame con il dio; le sue foglie sono masticate dalla Pizia, la sacerdotessa dell’oracolo di Delfi, e favoriscono la divinazione. Simbolo di vittoria, la corona di alloro viene data come premio in occasione dei Giochi Pitici.
Anche a Roma viene recepita questa simbologia. Collegata ai trionfi, la pianta è anche simbolo di pace e viene posta davanti alle case (cfr. Plinio, Naturalis historia 15,27; 33).
Raffigurazioni e peristili ricostruiti di Pompei confermano la diffusione della pianta nei giardini. I generali vittoriosi ne ornano i fasci e si fanno precedere da messaggeri che portano alloro in Campidoglio a Giove Ottimo Massimo; successivamente l’alloro è riservato agli imperatori. La pianta, apprezzata pure in campo medico, va a rappresentare (anche nella tradizione cristiana) gloria, clemenza, compassione, libertà. Importante è inoltre la simbologia legata alla poesia, poiché Apollo è guida delle Muse: in particolare, Melpomene, Calliope e Clio sono rappresentate con una foglia di alloro in mano.
Naturalmente l’alloro diventa riconoscimento distintivo per i poeti: già tra l’VIII e il VII secolo a.C., Esiodo (Teogonia 30) dice di averne ricevuto un ramoscello dalle Muse. Tale tradizione ha lunga fortuna, ben oltre l’antichità: nella letteratura italiana, Petrarca diventerà il simbolo per eccellenza del «poeta laureato» che sarà messo in discussione nel Novecento (si ricordi Montale: I limoni).
Nella favola di Fedro che presenta gli alberi posti sotto la protezione degli dei (3,17), viene ribadita la tradizione secondo cui l’alloro è sacro a Febo. In questo caso, la pianta, insieme ad altre meritevoli di gloria in quanto premiate dalla predilezione divina, è contrapposta all’olivo, sacro a Minerva. Questo albero è ritenuto di maggiore utilità e quindi valorizzato nella pragmatica prospettiva esopica, che si pone agli antipodi della poesia più raffinata e non può amare quanto non giova agli uomini. La stessa contrapposizione con l’olivo caratterizza l’altra narrazione che presenta l’alloro come protagonista (quarto giambo di Callimaco, fr. 194 Pf.). Qui il poeta racconta una favola che intende rappresentare una contesa con un rivale, nella quale a un certo punto si intromise un tal Simo, persona di nessun valore (simboleggiato dal rovo della favola). Il fatto che lo stesso Callimaco precisi la derivazione dalla Lidia di questa narrazione conferma un dato ricorrente: l’origine orientale del motivo del dibattito tra gli alberi (cfr. anche OLIVO). La favola, peraltro, presenta l’alloro descritto secondo le più rilevanti caratteristiche attestate nell’antichità. La superbia che dimostra sembra in linea con la fama di cui gode. Quindi ecco che cosa può vantare la pianta: è presente presso la soglia di ogni dimora, è associata da sempre all’arte divinatoria; premio per i Giochi Pitici, viene condotta a Delfi da Tempe (il rituale delfico del Septerion consiste in riti evocatori dell’uccisione del serpente Pitone da parte di Apollo e quindi in una processione di alcuni giovani, che nella valle di Tempe colgono l’alloro da usare come premio per i Giochi Pitici). Nonostante le indiscusse qualità, il fatto che non dia frutti commestibili è uno degli elementi decisivi per cui, proprio come nella favola di Fedro, l’alloro, che comunque sembra nel complesso poter vantare meno meriti del rivale, soccombe di fronte al più utile olivo.






Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

Torna agli articoli