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Dal punto di vista ecologico il termine si riferisce al complesso delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche di una determinata regione o territorio in cui vive un particolare organismo o un insieme di specie, ossia a ciò che propriamente si definisce 'ecosistema'. Nel linguaggio comune, tuttavia, ambiente sta a significare più genericamente il luogo in cui si svolge la vita degli uomini, degli animali e delle piante, con i suoi paesaggi, le sue risorse e i suoi equilibri, o anche il complesso di condizioni sociali, culturali e morali nel quale l'uomo sviluppa la sua personalità. Se si guarda al rapporto con il benessere dell'individuo e della collettività, per ambiente si può intendere l'azione dei fattori e delle influenze esterne in grado di esercitare un effetto significativo sulla salute dell'uomo.

sommario: Ambiente e salute. 1. Agenti biologici. 2. Agenti chimici. 3. Agenti fisici. 4. Fattori sociali. 5. Valutazione degli effetti. 6. Patologie ambientali. 7. L'ambiente di lavoro. 8. L'ambiente domestico. L'ambiente in psicologia. □ Bibliografia.


 
Ambiente e salute di Augusto Panà, Anna Spinaci

L'ambiente ha sempre condizionato in maniera più o meno diretta lo stato di salute dell'uomo. A partire dalla seconda metà del 19° secolo, con la rivoluzione industriale, questo condizionamento ha assunto un ruolo sempre più importante nel determinare molte delle patologie che oggi maggiormente incidono sulla popolazione: le cosiddette malattie cronico-degenerative. Secondo una definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità, l'ambiente rappresenta un insieme di fattori e di influenze esterne in grado di esercitare un effetto significativo sulla salute dell'uomo. Tali influenze sono state più volte classificate, e sono stati spesso sottolineati anche gli aspetti genetici, razziali, comportamentali, materiali e immateriali che contribuiscono, da soli o in associazione tra di loro, a influire sullo stato di salute. A questi fattori ne vanno aggiunti altri che solo recentemente si sono sviluppati e che sono legati a fenomeni in espansione, quali le abitudini voluttuarie, le migrazioni, l'inurbamento ecc.

1. Agenti biologici
I fattori biologici sono rappresentati dagli agenti patogeni responsabili di infezioni e infestazioni che sono veicolati dall'ambiente, sia esso idrico, aereo o alimentare. Sebbene l'influenza di tali agenti sulla salute umana sia oggi limitata dal miglioramento delle condizioni igieniche, dagli interventi di prevenzione e dalla terapia antibiotica, essi costituiscono tuttora un problema, soprattutto in quelle aree dove sussistono le condizioni che ne favoriscono il moltiplicarsi e la diffusione. C'è da aggiungere che i processi migratori in continuo aumento agevolano l'impiantarsi in determinati ambienti di nuovi agenti infettivi, verso i quali la popolazione locale non ha sviluppato un'adeguata protezione immunitaria. Inoltre, in rapporto a caratteristiche ambientali ben definite, è possibile che il contagio si trasmetta attraverso insetti e altri vettori che rappresentano per l'uomo una potenziale fonte di infezione. L'ambiente è dunque da prendere in considerazione soprattutto per la trasmissione indiretta, in quanto in esso sono presenti i più importanti veicoli di infezione, quali: l'acqua, sia superficiale sia destinata a uso potabile, gli alimenti ‒ che sono i principali responsabili anche delle tossinfezioni ‒, i liquami, il suolo, l'aria atmosferica. La responsabilità dell'ambiente va riferita anche a quegli agenti biologici, detti emergenti e riemergenti, che costituiscono un capitolo importante della moderna epidemiologia. Ci si limita a ricordare come il riapparire delle condizioni di palude, associate all'intensificarsi dei viaggi intercontinentali, fa sì che non si possa escludere, in certe zone, il reimpianto della malaria, che sembrava debellata definitivamente; oppure il rischio di radicamento nel nostro paese di patologie presenti in paesi lontani (per es. l'epatite da virus E), che nel fenomeno dell'immigrazione accompagnato da una scarsa tutela dell'igiene ambientale possono trovare condizioni idonee di sviluppo. Tra le patologie riemergenti si possono ricordare il colera, che recentemente ha causato episodi epidemici, e la tubercolosi, che ha avuto rinnovato impulso a seguito dell'esplosione dell'AIDS e dell'amplificarsi dei movimenti migratori.

2. Agenti chimici
Numerosi e in continua espansione sono le sostanze e i composti chimici che provocano alterazioni patologiche nell'organismo umano: alcuni di questi sussistono già in particolari ambienti, altri derivano dalle attività dell'uomo. L'ossido di carbonio, l'anidride solforosa, le diossine, gli idrocarburi policiclici aromatici sono tutti composti che provengono da processi di combustione incompleta, oppure dall'estrazione, purificazione, frazionamento e lavorazione di materie naturali. Allo stato attuale le sostanze chimiche si possono ragionevolmente classificare come sostanze che esplicano tossicità acuta, cronica o genetica. Uno dei problemi più allarmanti per la salute è legato alla presenza e, soprattutto, al continuo aumento di composti di sintesi (in particolare quelli organici), a motivo della loro tossicità acuta, ampiamente dimostrata nell'uomo, e della loro potenziale tossicità cronica, non altrettanto correttamente valutata per la mancanza di appropriati studi epidemiologici. L'uomo convive da sempre con prodotti chimici dotati di intrinseca tossicità. Questi contaminanti ambientali possono penetrare nell'organismo attraverso vie diverse: per inalazione, quando sono dispersi nell'aria; per ingestione, quando sono presenti nell'acqua o negli alimenti; per contatto con substrati contaminati. I fattori causali che concorrono al processo di inquinamento ambientale sono diversi e riguardano prevalentemente le attività industriali e, nelle aree urbane, il traffico motorizzato e il riscaldamento domestico. Le attività industriali incidono in modo particolare sull'ambiente con conseguenze sia sull'equilibrio dell'ecosistema, mediante le modifiche da esse indotte, sia sulla salute, a causa del rilascio di sostanze potenzialmente nocive. Nella transizione verso un nuovo equilibrio dell'industria mondiale, i settori tradizionali, che mostrano pericoli accertati per l'ambiente e la salute sono in diminuzione, ma si intensificano nuove attività (telecomunicazioni, informatica, chimica fine, farmaceutica ecc.) che presentano incognite sotto il profilo della loro influenza ambientale. Basti pensare alle biotecnologie e al rischio di rilascio di batteri e virus geneticamente modificati. Un altro motivo di preoccupazione è dato dalla rapidità con cui sono messi in circolo nuovi prodotti, rapidità che impedisce un controllo sistematico della tossicità a breve e lungo termine. Alle 90.000 sostanze chimiche conosciute e presenti sul mercato se ne aggiungono ogni anno mille e l'Environmental protection agency statunitense riesce ad analizzarne non più di 500 (Guiding principles for chemical accident prevention 1992).

3. Agenti fisici
Tra gli agenti fisici di rilevanza epidemiologica e sociale, in quanto responsabili di malattie e di eventi patologici, sia nell'ambiente esterno sia in quello interno (lavorativo e abitativo), sono da ricordare quelli legati al calore, all'umidità, alla ventilazione e alla pressione atmosferica. Da tempo, inoltre, sono stati individuati come particolarmente importanti, per le ricadute che hanno sul benessere individuale, i problemi provocati da un'illuminazione inadeguata, specialmente nei luoghi di lavoro, e dall'esposizione ai rumori. All'interno degli ambienti confinati i fattori caratterizzanti la qualità abitativa si possono suddividere in naturali (illuminazione, soleggiamento, aria, microclima) e di progettazione (materiali, impianti tecnologici, urbanistici ecc.). Solo recentemente si è cominciato a prendere in considerazione, da questo punto di vista e in maniera più sistematica, le condizioni abitative. Proprio all'interno delle abitazioni, infatti, si concentrano spesso fattori di malattia, non solo fisici ma anche chimici e biologici, tali da definire la cosiddetta 'sindrome da edificio malsano'. La grande variabilità ambientale, la diversa tipologia e il numero degli utenti degli spazi confinati, la rilevante differenziazione delle fonti e degli inquinanti spiegano a sufficienza tutta la complessità del problema sotto il profilo igienico-sanitario (Ranson 1991). Infine vanno ricordate le problematiche connesse alla contaminazione ambientale derivante dalle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti e le ricerche sugli effetti, a breve e a lungo termine, delle onde elettromagnetiche. Per quanto riguarda l'inquinamento acustico delle unità abitative e degli ambienti di lavoro, sebbene il rumore di per sé non sia responsabile di danni diretti all'uomo, la sua azione patogena è determinata dal progressivo deterioramento della qualità della vita. Il rumore è definito da tre fattori - intensità, frequenza e durata del suono - e ha origini plurime, dipendendo dalle più svariate attività dell'uomo. Il grado dell'inquinamento acustico è comunque strettamente legato alla soggettività, o meglio al grado di sopportabilità dei singoli individui: dal punto di vista igienico-sanitario l'esposizione ai rumori può causare dal semplice disturbo (alterazione della respirazione e del ritmo cardiaco, modificazioni dell'elettroencefalogramma, cefalea), a irregolarità del ritmo del sonno, a difficoltà nel rapporto interumano, a stress sia nell'ambiente di lavoro sia in quello domestico, a danni psicologici. Nel complesso è comunque piuttosto difficile valutare e stabilire gli effetti diretti e indiretti del rumore sulla salute umana in assenza di una sperimentazione esauriente e prolungata nel tempo.

4. Fattori sociali
Correntemente si intende per salute l'assenza di malattia, mentre è più corretto definire lo stato di salute come il completo benessere della persona nella dimensione fisica, psichica, sociale e ambientale. Da questa definizione risalta l'importanza di un'integrazione tra funzionalità psicofisica e buon inserimento dell'individuo nell'ambiente naturale, familiare e sociale. Solo a partire dalla metà degli anni Settanta, però, il rapporto tra sistema sociale e problemi della salute è diventato oggetto di analisi scientifiche. Si è così evidenziato che l'insieme delle relazioni umane ha un effetto diretto sulle condizioni fisiche e psichiche di molte categorie, per es. gli anziani, ed esercita un'azione protettiva, di compensazione, nei confronti di stimoli stressanti o nocivi provenienti dall'ambiente. Analogamente è stata evidenziata una stretta connessione tra cattiva integrazione sociale e molti eventi morbosi di tipo acuto o cronico (come la tubercolosi, gli ictus cerebrali, l'infarto del miocardio, numerose patologie di tipo psichiatrico), o anche il ricorso ai servizi sanitari e la percezione soggettiva delle proprie condizioni di salute. Negli ultimi anni il quadro che pone a confronto le problematiche sociali e la salute si è ulteriormente complicato: la causa può essere vista da una parte nell'aumento dei tipi di popolazione - per es. gli anziani - più soggetti agli effetti dannosi di errati o carenti interventi sociali; dall'altra nel progressivo espandersi, per es., dei fenomeni della tossicodipendenza, dell'immigrazione e delle malattie correlate con questi fenomeni.

5. Valutazione degli effetti
Si può ragionevolmente considerare la salute umana come la risultante di un insieme di fattori che, oltre alla componente ambientale, includono la predisposizione genetica, lo stile di vita, lo stato nutrizionale, la condizione socioeconomica e la possibilità di accesso ai servizi sanitari. In mancanza di registrazioni o di raccolte sistematiche di dati non è possibile stabilire una relazione tra i rischi che derivano alla salute da cause naturali e quelli che sono il risultato delle attività umane. Data la complessità della situazione, la valutazione dell'impatto degli agenti ambientali sullo stato di benessere richiede informazioni adeguate sul grado di esposizione e la disponibilità di dati quantitativi sufficienti a istituire un nesso di causalità. Di fatto, potendo disporre solo in misura ridotta di stime attendibili sul grado di esposizione, ci si attiene a informazioni incomplete e non sempre supportate da sistemi di estrapolazione basati su assunti di ragionamento, con l'esito di notevoli incertezze interpretative. Gli stessi studi tossicologici ed epidemiologici riguardanti gli effetti sulla salute umana dell'esposizione ambientale possono tutt'al più fornire indicazioni per gli aspetti acuti, ma richiedono ulteriori competenze epidemiologiche per valutare le conseguenze a distanza di tempo. Si deve inoltre considerare che molti studi tossicologici sono condotti sugli animali, la cui risposta spesso non è sovrapponibile a quella umana, e che, a sua volta, la risposta dell'uomo all'azione degli agenti ambientali non è sempre omogenea, presentando differenze da popolazione a popolazione, sia per predisposizione genetica, sia per la coesistenza di fattori derivanti dallo stile di vita e ambientali. La combinazione di fattori di genere diverso può inoltre produrre effetti differenti rispetto all'azione di singoli agenti presi separatamente.

6. Patologie ambientali
Nell'accezione comune le patologie attualmente collegate con l'alterazione dell'ambiente sono costituite dalle malattie cronico-degenerative. Nei paesi industrializzati una connessione con l'ambiente è provata per le malattie cardiovascolari, i tumori e le malattie respiratorie croniche. Le malattie cardiovascolari, responsabili del 40-45% di tutti i decessi, hanno come principale fattore di rischio l'ipertensione, gli alti livelli di colesterolo, l'obesità, la mancanza di attività fisica, lo squilibrio alimentare e il fumo di sigarette. La seconda causa di morte nei paesi industrializzati è rappresentata dal tumore, con differenze legate non solo al sesso ma anche alle diverse aree geografiche. Le malattie respiratorie, anche se sono in netto declino in tutte le regioni europee, rappresentano la terza causa di mortalità (6-7%) e, tra le forme morbose cronico-degenerative sin qui citate, sono sicuramente quelle che appaiono più legate a un'alterazione dell'equilibrio ambientale (inquinamento outdoor e indoor). L'inquinamento atmosferico, di cui lo smog costituisce l'aspetto climatico, è prodotto da un miscuglio di centinaia (o migliaia) di inquinanti i cui effetti sull'uomo possono essere superiori alla semplice somma degli effetti dei singoli fattori (fenomeno del sinergismo). è stato calcolato che negli stati di recente industrializzazione il 25% delle cause di morte nella fascia d'età compresa tra 1 e 14 anni è rappresentato da malattie respiratorie, quali bronchiti, enfisemi e asma. In molti casi non è comunque noto se l'effetto di alcuni inquinanti chimici atmosferici sia responsabile delle malattie respiratorie oppure esalti uno stato di malattia preesistente, né è definita l'influenza di fattori genetici sulla predisposizione alla malattia. Una notazione a parte merita l'inquinamento indoor, nel quale si sommano gli effetti negativi dell'inquinamento atmosferico con l'inquinamento tipico dell'ambiente domestico e di lavoro. Un dato ormai acquisito è l'effetto del fumo passivo nello sviluppo delle malattie del basso tratto respiratorio nei bambini, ma vanno considerati anche gli inquinanti chimici, come, per es., il biossido di azoto prodotto dalla combustione del gas domestico, gli agenti biologici e allergizzanti (polveri, spore di funghi, acari ecc.).

7. L'ambiente di lavoro
Le caratteristiche dell'ambiente di lavoro assumono un'importanza fondamentale nella prevenzione dei danni che possono derivare alla salute dei lavoratori (v. lavoro). Ogni fattore in grado di influenzare negativamente la salute fisica, che dipenda da caratteristiche fisiche, chimiche, oppure legate al tipo di lavoro svolto, ha la possibilità di agire per periodi prolungati, determinati dai tempi di soggiorno nell'ambiente di lavoro, e quindi di arrecare danni anche seri al benessere dell'individuo e della collettività. L'ambiente di lavoro è particolarmente esposto all'eventualità che fattori fisici, quali temperatura, pressione, umidità ecc., determinino condizioni di insalubrità, raggiungendo e superando i livelli estremi oltre i quali compaiono danni per la salute. Il rapporto tra salute e ambiente di lavoro, che in Europa coinvolge più di 400 milioni di lavoratori, è, comunque, piuttosto complesso da definire: esso non dipende infatti soltanto dalla tipologia del lavoro, ma anche dalle diverse situazioni locali (aree industriali e agricole) e dal numero dei lavoratori esposti. Per quanto riguarda gli incidenti sul lavoro esistono notevoli differenze nell'ambito delle regioni europee. Se in generale si è avuta una riduzione degli incidenti 'minori' (del 50% negli ultimi 40 anni), è invece da registrare una stabilizzazione o addirittura un incremento degli incidenti 'gravi', che causano più di 60 giorni di inattività (10% del totale), e di quelli che portano all'inabilità lavorativa (1-5%). L'incidenza delle malattie occupazionali nelle diverse regioni europee varia dallo 0,2‰ dell'Inghilterra al 12‰ della Svezia. Questo spettro così ampio dipende sia dalla diversa accuratezza nella registrazione degli incidenti, sia dai differenti criteri di elencazione delle malattie professionali in vigore nei singoli paesi. Diversa è la situazione per alcune malattie cronico-degenerative che presentano un lungo periodo di latenza, come nel caso dell'asbestosi, i cui effetti sulla salute dei lavoratori diventano evidenti solo dopo 15-20 anni dall'esposizione alle polveri di amianto. Le intossicazioni acute dovute a prodotti chimici immessi nell'aria sono in netto declino e sono responsabili solo dell'1-4% di tutti i casi. Anche gli agenti biologici e gli allergeni sono responsabili di malattie in ambienti di lavoro in misura assai alta e variabile in base al tipo di lavoro. Un'attenzione particolare è rivolta alla possibilità di contrarre forme di zoonosi, tra cui l'encefalite spongiforme, ma sono da considerare anche gli agenti patogeni umani, quali i virus dell'epatite B e C e quello dell'immunodeficienza acquisita.

8. L'ambiente domestico
L'interesse dell'igienista per l'ambiente domestico è rivolto soprattutto alla realizzazione di un tipo di abitazione che non incida negativamente sul benessere dell'uomo, per ubicazione, illuminazione e caratteristiche di costruzione, e che, pur offrendo comodità, riesca a limitare al massimo gli svantaggi della vita in comunità. I fattori che hanno rilevanza nell'ambiente domestico sono di tipo biologico (agenti infettivi, allergeni), fisico (illuminazione, inquinamento indoor), chimico (prodotti per l'igiene della casa e della persona, fumo di sigarette). Una notazione particolare meritano, inoltre, i fattori sociali: il rapporto servizi igienici/numero di individui, la fruibilità di acque potabilizzate, la superficie pro capite a disposizione, la presenza di portatori di handicap e di soggetti anziani, la disponibilità di risorse finanziarie ecc. Gli incidenti domestici sono responsabili complessivamente del 40% di tutti gli incidenti mortali e di un terzo degli incidenti trattati in ospedale. Le classi di età più colpite sono quella dei giovanissimi, vittime in genere di incidenti meno gravi, e quella delle persone anziane, alle quali sono associati gli incidenti più gravi, come le cadute e le intossicazioni per inalazione o ingestione (2%). Altre situazioni di rischio sono legate a fattori biologici quali allergeni e agenti patogeni, che possono essere introdotti con le acque potabili o con gli alimenti. Nei paesi industrializzati, ove la qualità e i processi di potabilizzazione sono di ottimo livello, il rischio di contaminazione attraverso gli alimenti è legato alla cattiva manipolazione o a una conservazione non idonea degli stessi.

L'ambiente in psicologia di Valeria Ugazio

Il concetto di ambiente, così come si è sviluppato nell'ambito delle discipline psicologiche, è inscindibile da quello di individuo. I due concetti rappresentano, infatti, una sorta di opposizione polare: l'uno rimanda all'altro secondo una relazione di stretta interdipendenza. Alcune teorie psicologiche hanno esplicitamente tematizzato la relazione individuo-ambiente; in altre, invece, tale relazione è presupposta; in tutte, comunque, essa svolge un ruolo cardine nella generazione di concetti, ipotesi, spiegazioni e soluzioni metodologiche. Semplificando molto, è possibile evincere tre posizioni principali che con declinazioni e fortuna diverse continuano a sussistere e a informare di sé la ricerca psicologica. La prima vede l'ambiente come il luogo, lo scenario entro cui avviene lo sviluppo dell'individuo e delle sue varie capacità, abilità, competenze e funzioni. Come tale esso può influenzarne la crescita, favorendola e ostacolandola, ma sempre come fattore, stimolo esterno. Il punto di vista da cui idealmente si colloca l'osservatore - sia esso il clinico o il ricercatore - è interno al soggetto e l'assoluta priorità è data all'individuo, che viene visto come un sistema parzialmente, se non totalmente, chiuso. In alcuni indirizzi l'ambiente si configura come una sorta di spazio sullo sfondo, ininfluente. È il caso delle teorie innatiste, come per es. la psicolinguistica di stampo chomskiano (Chomsky 1957; 1965; v. linguaggio), che ha avuto un ruolo egemone negli anni Sessanta. L'ambiente linguistico in questa prospettiva ha soltanto il ruolo di attivatore esterno di un meccanismo innato specifico per il linguaggio, detto Language acquisition device (LAD). Poco importa che il bambino sia esposto a campioni di linguaggio scorretti o limitati; del tutto trascurate sono le motivazioni comunicative del soggetto e la natura dialogica del linguaggio, la cui acquisizione è comunque resa possibile dal patrimonio genetico della specie umana. L'ambiente può certamente ritardare o accelerare lo sviluppo delle capacità linguistiche ma non può modificarne la struttura. Conseguentemente la psicolinguistica evolutiva di orientamento chomskiano studia lo sviluppo delle strutture sintattiche e del sistema di regole che consente la generazione delle frasi, disinteressandosi dell'ambiente linguistico in cui tale sviluppo avviene (Mc Neill 1970). Lo sviluppo del linguaggio viene infatti concepito come un'impresa 'interna' al bambino, che riguarda i rapporti fra struttura superficiale e struttura sottostante della frase. Questo ruolo accessorio attribuito all'ambiente si accompagna di regola a una concezione che vede la mente umana, nei suoi processi fondamentali, come immutabile, e a un'attenzione alle 'funzioni invarianti'. Per es., un filone consistente dell'indirizzo psicolinguistico chomskiano si è dedicato a dimostrare, anche per mezzo di ricerche interdisciplinari, l'esistenza nel linguaggio del bambino di universali linguistici 'forti', che presuppongono meccanismi genetici specifici per il linguaggio, oltre che di universali linguistici 'deboli', che sono espressione nel linguaggio della struttura invariante del pensiero.
Altre teorie postulano una sorta di antagonismo fra la natura originaria, biologica, dell'individuo e l'ambiente culturale e sociale. L'ambiente è qui visto come un ostacolo che si oppone alle esigenze del soggetto. Questo conflitto è per la psicoanalisi classica particolarmente acuto. S. Freud, poiché considera la sessualità infantile come 'polimorfo-perversa', prospetta le istanze più profonde e vitali del singolo come elementi eversori rispetto alla struttura sociale (Freud 1905). L'infanzia diventa la sede in cui questo conflitto si esprime nel modo più drammatico, e la socializzazione, proprio per l'esistenza di questa frattura fra il bambino, dominato dal principio del piacere, e la società, organizzata secondo il principio di realtà, viene assimilata a un processo di repressione, necessario ma pur sempre coercitivo. Quando gli studiosi abbandonano la speculazione teorica per dedicarsi alla ricerca o alla clinica, l'ambiente viene più frequentemente visto nel suo frangersi in molteplici esperienze, considerate come stimoli che agiscono dall'esterno, alterando, orientando, modificando l'evoluzione del soggetto. Lo stesso Freud, soprattutto nella discussione dei casi clinici, si attiene a questa accezione di ambiente. Per es., durante la dettagliata ricostruzione della nascita, del processo e della risoluzione della fobia dei cavalli del piccolo Hans (Freud 1909), egli prende in esame numerosi eventi della vita del bambino, il più importante dei quali è la nascita della sorellina Hanna, ma anche accadimenti fortuiti della vita di Hans vengono attentamente vagliati. Persino le risposte dei genitori a comportamenti specifici di Hans e i loro atteggiamenti educativi sono minuziosamente ricostruiti: dalla ripulsa della bella mamma alle seduzioni di Hans, agli 'imbrogli' del padre sulla nascita dei bambini. Tuttavia il ruolo che Freud assegna a questi episodi è di 'eventi accidentali'. La nevrosi di Hans è vista come l'esito di una combinazione fortuita di situazioni, di circostanze 'normali', riscontrabili nella vita di tutti i bambini; sono soltanto i significati che assumono in rapporto alla particolarità del momento in cui si verificano a trasformarli in accadimenti patogeni. Freud è ben lontano dal ricondurre la genesi della nevrosi di Hans a una configurazione specifica di relazioni nella famiglia, come invece faranno in seguito molti indirizzi della stessa psicoanalisi. Per Freud, in questo caso come anche in altri, è l'incontro casuale fra situazioni accidentali della vita quotidiana e le vicende pulsionali del bambino a dare l'avvio e a segnare lo sviluppo delle nevrosi.
Il comportamentismo rappresenta il completo ribaltamento di questa posizione che è stata, specialmente in Europa, egemone per lo meno fino agli anni Cinquanta, seppure, come si è fatto cenno, con accezioni e sfumature diverse. Il soggetto è qui visto come tabula rasa, passibile di ogni forma di trasformazione da parte dell'ambiente, a cui viene data la priorità assoluta. È nota l'affermazione di J.B. Watson: "Datemi una dozzina di neonati normali, ben fatti e un ambiente da me organizzato per allevarli e vi garantisco di prenderne uno a caso e di farlo diventare uno specialista del campo da me prescelto: medico, avvocato, artista, commerciante e, sì, persino accattone e ladro, indipendentemente dai suoi talenti, inclinazioni e tendenze, dalle sue capacità, o vocazioni, e dalla razza dei suoi antenati" (Watson 1924, p. 104). È lo stesso Watson ad aggiungere subito dopo: "Sto esagerando lo ammetto; ma lo stesso fanno i sostenitori della tesi opposta e l'hanno fatto per migliaia di anni". La storia del comportamentismo è segnata, soprattutto nelle sue origini, da prese di posizione radicali. Ancora nel 1971 B.F. Skinner scatenò una ridda di polemiche sostenendo che fosse possibile, e auspicabile, regolare il comportamento degli individui attraverso la pianificazione sociale razionale dell'ambiente: violenza e manifestazioni autodistruttive sarebbero scomparse. Anche i comportamentisti più ortodossi hanno spesso preso le distanze da questo ambientalismo radicale, che tuttavia ha orientato la produzione scientifica del comportamentismo. Il contributo più significativo di questo indirizzo è infatti dato dalle ricerche sul condizionamento (classico e operante), il cui scopo non è stato semplicemente quello di dimostrare che l'ambiente influenza il soggetto in numerosissime prestazioni; esse sono andate ben oltre cercando di mostrare che è possibile, manipolando l'ambiente in modo adeguato, indurre nel soggetto reazioni che in condizioni normali non produrrebbe mai (v. condizionamento). Naturalmente le dimostrazioni più convincenti fornite da questo indirizzo riguardano il comportamento animale o comunque risposte relativamente semplici, ma l'ambizione del comportamentismo è provare che anche i processi mentali superiori sono regolati da una concatenazione di condizionamenti ambientali.
Il tentativo di superare il dualismo individuo-ambiente caratterizza la terza posizione, in cui confluiscono tradizioni di ricerca diverse e anche in antagonismo. Ciò che qui viene messo in questione - a livelli e in misura diversa - è la tesi secondo cui esiste un 'Io' separato da ciò che sta 'fuori'. L'accoglimento da parte di J. Piaget (1975), di G.A. Kelly (1955) e di numerose linee di ricerca del cognitivismo contemporaneo di un punto di vista costruttivista ha comportato un ribaltamento della nozione di ambiente. Quest'ultimo non è più considerato come unico e oggettivamente dato, non si trova 'là fuori'; al contrario, è ricorsivamente connesso al soggetto e da questi costruito. È l'individuo che introduce ordine e regolarità nell'ambiente. Per es., noi ci percepiamo come organismi tridimensionali che si orientano in base agli assi di simmetria 'davanti-dietro', 'destra-sinistra', 'alto-basso' e, conseguentemente, strutturiamo lo spazio in termini di altezza, lunghezza, profondità (Aronson 1972). In particolare Piaget, ponendo alla base dello sviluppo cognitivo l'azione, ha prospettato l'intelligenza come una forma di interazione con l'ambiente (Piaget 1947). Tuttavia, egli è approdato a una teoria, quella dell'equilibrazione, che spiega i meccanismi che stanno alla base dello sviluppo cognitivo in termini intraindividuali; in questa prospettiva, l'ambiente finisce per essere soltanto fonte di perturbazioni. D'altra parte in molti autori costruttivisti la dicotomia individuo-ambiente è risolta a favore dell'individuo: l'ambiente diventa una produzione del soggetto. Il rischio di tale posizione è naturalmente il solipsismo.
Sono soprattutto l'interazionismo di G.H. Mead (1934) e la teoria del campo di K. Lewin (1935; 1951) ad aver gettato le basi per una concezione contestuale del soggetto, per la quale la mente è parte dell'ambiente. Il diffondersi del paradigma sistemico e della cibernetica ha successivamente permesso di articolare meglio questa prospettiva, che considera l'Io e i processi mentali come interconnessi all'ambiente. Essa trova una delle sue espressioni più radicali in G. Bateson, per il quale "le caratteristiche mentali di un sistema sono immanenti non in qualche sua parte, ma nel sistema come totalità", e la sede dei processi mentali è "l'unità autocorrettiva totale che elabora l'informazione, un sistema i cui confini non coincidono affatto con i confini del corpo o di ciò che volgarmente si chiama io o coscienza"; in sintesi "la mente è immanente nel più vasto sistema: uomo più ambiente". Bateson aggiunge: "Si consideri un individuo che stia abbattendo un albero con un'ascia; ogni colpo d'ascia è modificato o corretto secondo la forma dell'intaccatura lasciata nell'albero dal colpo precedente. Questo procedimento autocorrettivo (cioè mentale) è attuato da un sistema totale, albero-occhi-cervello-muscolo-ascia-colpo-albero; ed è questo sistema totale che ha caratteristiche di mente immanente. [...] Ma non è questo il modo in cui l'occidentale medio vede la sequenza degli eventi che caratterizzano l'abbattimento dell'albero; egli dice "Io taglio l'albero", e addirittura crede che esista un agente delimitato, l''Io', che ha compiuto un'azione 'finalistica' ben delimitata su un oggetto ben delimitato" (Bateson 1972; trad. it., p. 348 segg.).
Questa prospettiva è alla base dell'indirizzo terapeutico sistemico e di una prassi - la terapia della famiglia (Hoffman 1981) - che ribaltano il modo con cui è stata tradizionalmente concepita la malattia mentale. I comportamenti psicopatologici sono infatti considerati appropriati e congruenti con le specifiche modalità comunicative del contesto relazionale entro cui si manifestano. La stranezza e l'incomprensibilità che sembrano caratterizzare i comportamenti sintomatici, specialmente quelli più gravi, sono funzione della mancanza di informazioni sufficienti circa l'ambiente entro il quale tali comportamenti si verificano. L'ipotesi di fondo è che "ciascun membro della famiglia presenta modalità di organizzare la realtà che sono diverse e anche in conflitto con quelle degli altri membri, tuttavia coerenti con la particolare posizione occupata dal soggetto nel suo sistema di relazioni e interdipendenti con la posizione occupata dagli altri membri della famiglia" (Ugazio 1995, p. 262). Questa concezione contestuale della mente che tenta di dissolvere il dualismo individuo-ambiente è sottesa anche ad ampi settori della psicologia sociale e dello sviluppo, inquadrabili tutti all'interno del costruzionismo sociale (Gergen 1985). Ciò che contraddistingue questa posizione e la differenzia dal costruttivismo è l'ipotesi che gli schemi, i sistemi di credenze, gli scopi, le intenzioni, così come i sentimenti e le emozioni, si strutturino e si mantengano nell'interazione tra persone. I processi mentali, non diversamente dal comportamento interattivo, risulterebbero ancorati e vincolati all'ambiente conversazionale in cui il soggetto si trova inserito.
La maggior parte dei costruzionisti non nega che esistano leggi universali della mente umana che guidano i processi di elaborazione delle informazioni; tuttavia ipotizza che molti degli stessi processi di base non siano racchiusi nell'individuo inteso come entità biologica, ma richiedano, per il loro funzionamento e per il loro sviluppo ontogenetico, un'interazione reale o simbolica con l'ambiente. Come sottolinea H.R. Schaffer (Studies in mother-infant interaction, 1977, trad. it., pp. 53-54), "molte funzioni tradizionalmente considerate in psicologia come appartenenti agli individui, e conseguentemente studiate come eventi puramente intrapersonali, si verificano generalmente all'interno di un contesto interpersonale ed è da questo contesto che derivano il loro significato funzionale [...]. In particolare, lo studio dei primi stadi dello sviluppo ha fornito numerosi esempi che mostrano quanto sia vitale ampliare, rispetto al passato, il campo di osservazione e tenere presente la dimensione sociale dei pattern di comportamento. Il più conosciuto fra questi esempi è rappresentato dal linguaggio. Quest'ultimo è stato concepito inizialmente come un sistema racchiuso entro i limiti dell'epidermide dell'individuo, cioè come un insieme di modelli comportamentali spiegabili unicamente in base all'organizzazione psicologica del soggetto: soltanto più recentemente si è riconosciuto che esso deriva il suo significato primariamente dalla sua funzione comunicativa e conseguentemente deve essere studiato entro contesti diadici [...]. Anche nello studio delle altre funzioni è possibile osservare un analogo mutamento di prospettiva". Per es. J.S. Bruner (1982), e con lui numerosi psicologi dello sviluppo, pur condividendo la tesi piagetiana che la prima forma del conoscere è il fare, sostituiscono al concetto di azione quello di 'azione condivisa'. "Ciò che soltanto da poco siamo arrivati a capire - afferma K. Kaye - è che anche l'ambiente fisico, che è fatto di oggetti, movimento, tempo e spazio, è presentato ai bambini in un modo strutturato. La 'costruzione sociale della realtà' consiste non solo nel consenso sociale tra gli utenti del linguaggio su come le cose devono essere descritte e concettualizzate. È letteralmente una costruzione, attraverso mezzi sociali, di microcosmi che costituiscono l'ambiente a cui i bambini si adattano. I contesti spaziali e i modelli temporali anticipabili forniscono i frames essenziali per lo sviluppo cognitivo" (Kaye 1982, trad. it., p. 82).
Anche quando non ci si appella a una nozione di ambiente che include i processi mentali, si postula comunque che tra individuo e ambiente - sociale, biologico o fisico - ci sia un coadattamento. Questo indirizzo ha per es. ampiamente dimostrato che il bambino è già predisposto per essere sociale. La socializzazione non è quindi più vista come un processo finalizzato a trasformare il bambino in essere sociale, giacché in qualche misura il piccolo dell'uomo lo è già. Essa piuttosto lo rende membro di un particolare ambiente sociale che inizialmente coincide con la famiglia, ma che ben presto includerà altri sistemi. L'elemento di problematicità non è conseguentemente più individuato nel rapporto fra dotazione biologica e ambiente sociale, ma semmai all'interno dell'ambiente sociale, soprattutto nella contraddittorietà delle definizioni sociali della realtà e dei messaggi comunicativi. Inoltre si ipotizza che persino quella parte dell'ambiente così cruciale per i processi di apprendimento, rappresentata dal comportamento tutorio dell'adulto verso il bambino, sia un prodotto dell'evoluzione, alla stessa stregua di quegli aspetti dell'organismo individuale che riteniamo innati. Esisterebbero gli 'universali educativi', cioè meccanismi interattivi innati, comuni a tutti i membri della nostra specie, volti a favorire il comportamento tutorio. Essi rappresenterebbero dei vincoli per la stessa evoluzione culturale. È infatti inconcepibile una società che ostacoli i meccanismi interattivi essenziali allo sviluppo dell'apprendimento.
Un esempio è dato dal baby talk, lo speciale registro linguistico utilizzato dagli adulti quando si rivolgono ai bambini. Il baby talk sembra essere presente in tutti gli strati sociali e anche in culture non occidentali (Ferguson 1977). Le sue caratteristiche variano da cultura a cultura e all'interno di uno stesso gruppo linguistico, in rapporto al sesso, all'istruzione e ad altri tratti dell'interlocutore. Ciò nondimeno tutti gli adulti sembrano operare specifici aggiustamenti linguistici, la cui caratteristica comune è facilitare al bambino l'acquisizione del linguaggio. Persino i bambini molto piccoli, di tre o quattro anni, quando si rivolgono a altri di età inferiore modificano il proprio linguaggio per adattarlo alle capacità comunicative dell'interlocutore. Il linguaggio, anche nelle sue componenti innate, sarebbe quindi il frutto di una coevoluzione, capace di equipaggiare simultaneamente il bambino e il suo ambiente di meccanismi che ne permettono lo sviluppo.




Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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