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Ape




Le api, spesso presenti nel mito a partire dalla vicenda di Aristeo (v. APICOLTORE), sembrano godere di ottima considerazione nel mondo antico, tanto che Plinio (Naturalis historia 11,4) sottolinea il primato e la «speciale ammirazione» che meritano questi insetti, gli unici a essere  generati appositamente per l’uomo: oltre al miele, hanno il merito di fabbricare i favi e la cera, sempre nella prospettiva del bene comune. Simbolo dunque di saggia operosità e di obbedienza, le api rappresentano anche l’anima (già nell’antico Egitto) e sono talora considerate ministre delle Muse, in quanto sensibili alla musica (Varrone, De re rustica 3,6). Rappresentano, inoltre, la concordia, la purezza, il coraggio e persino la temperanza, al punto che respingono chi si profuma e chi è incline ai piaceri del sesso (cfr. Eliano, De natura animalium 5,11). Diventano poi simbolo del Cristo (Cattabiani 2000, 56). Secondo una singolare credenza, peraltro molto radicata e ripresa anche da Virgilio (Georgiche 4,281 ss.), le api nascerebbero dalle carogne dei bovini. Questa strana convinzione potrebbe scaturire dal fatto che gli antichi confondono l’ape con un altro insetto: l’eristalo (cfr. Fabre 50 ss.). Accanto alle qualità riconosciute alle api, non vanno dimenticati i difetti. Così le api si trasformano in crudeli «vipere» e possono persino non avere pietà di un bambino indifeso (Bianore, Antologia Palatina 9,548). Esopo tace i pregi e tende ad amplificare i difetti delle api, che finiscono puntualmente per simboleggiare i malvagi.
In particolare, si segnala una narrazione di tipo eziologico, che riprende lo schema narrativo degli animali in missione da Zeus e spiega perché, perso il pungiglione, questi insetti muoiano (Esopo 234 Ch.): è la punizione per la loro malvagità. Se il miele è tanto attraente, la presenza delle api, aggressive e pericolose, finisce tuttavia per allontanare l’uomo (Aftonio 27). La struttura, giocata sull’opposizione tra il bene desiderato e il pericolo imminente, si presta a essere la base concettuale per un proverbio: «Né miele né api» (v. sotto). Tra i difetti, emerge anche l’ingratitudine nei confronti dell’uomo che si prende cura di loro: il simbolo del male è, nella favola 235 Ch., ancora una volta il pungiglione, secondo una prospettiva che sarà anche cristiana. In una delle favole siriache, l’ape uccide uno scarabeo che vorrebbe fare il miele senza però esserne capace: si tratta di una narrazione con tutta probabilità di origine antica, che ribadisce la necessità di rimanere nell’ambito della natura individuale (cfr. Adrados 2003, 465). La figura di questi insetti è, dunque, prevalentemente negativa, a parte il caso di Fedro 3,13. Qui le api, operose, sono contrapposte agli oziosi e inetti fuchi: questo accostamento è assai diffuso nell’antichità e si riscontra già in Esiodo (v. FUCO).






Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

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