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Apocalisse




Giustino martire, che scriveva verso l'anno 170 della nostra era, è il primo che abbia parlato dell'Apocalisse; egli l'attribuisce all'apostolo Giovanni, l'evangelista: nel suo dialogo con Trifone, questo ebreo gli domanda se non crede che Gerusalemme debba, un giorno, essere ricostruita.
Giustino risponde che lo crede, insieme a tutti i cristiani che pensano rettamente. «Ci fu tra noi, un certo personaggio chiamato Giovanni, uno dei dodici apostoli di Gesù; egli predisse che i fedeli passeranno mille anni in Gerusalemme.» Questa, del regno di mille anni, fu un'opinione a lungo accreditata fra i cristiani. Tale periodo di tempo era in gran credito anche fra i gentili. Le anime degli egiziani riprendevano i loro corpi dopo mille anni; le anime del purgatorio, in Virgilio, venivano tormentate per lo stesso spazio di tempo, et mille per annos. La nuova Gerusalemme millenaria doveva avere dodici porte, in memoria dei dodici apostoli; la sua forma doveva essere quadrata; la sua
lunghezza, la sua larghezza e la sua altezza dovevano essere di dodicimila stadi, ossia di cinquecento leghe, di modo che le case dovevano avere anch'esse un'altezza di cinquecento leghe. Sarebbe stato piuttosto scomodo abitare all'ultimo piano; ma, che volete, così dice l'Apocalisse nel capitolo XXI.
Se Giustino fu il primo ad attribuire l'Apocalisse a san Giovanni, taluni hanno rifiutato la sua testimonianza,
perché in quello stesso dialogo con l'ebreo Trifone, Giustino dice che secondo il racconto degli apostoli, Gesù Cristo scendendo nel Giordano, ne fece ribollire le acque e le infiammò: il che però non si ritrova in nessuno scritto degli apostoli.
Lo stesso san Giustino cita fiduciosamente gli oracoli delle Sibille; in più, pretende di aver visto i resti delle celle dove, nel faro d'Egitto, furono rinchiusi i settantadue interpreti, ai tempi di Erode. La testimonianza di uno che ebbe la sventura di vedere quelle celle sembra indicare che l'autore dovette esservi rinchiuso.
Sant'Ireneo, che viene dopo, e che credeva anche lui nel regno di mille anni, dice di aver saputo da un vegliardo che l'autore dell'Apocalisse era san Giovanni. Ma a sant'Ireneo fu rimproverato di aver scritto che non ci devono essere più di quattro Vangeli, perché non ci sono solo che quattro parti del mondo e quattro punti cardinali, e perché Ezechiele non vide che quattro animali. Egli chiama questo ragionamento una «dimostrazione». Bisogna ammettere che il modo con cui Ireneo dimostra equivale a quello con cui Giustino ha veduto.
Clemente d'Alessandria, nei suoi Electa, parla soltanto di un'Apocalisse di san Pietro, di cui si faceva grandissimo conto.
Tertulliano, uno dei più accesi sostenitori del regno di mille anni, non solo assicura che san Giovanni predisse questa resurrezione e questo regno di mille anni della città di Gerusalemme, ma pretende che questa Gerusalemme cominciava già a formarsi nell'aria; che tutti i cristiani della Palestina, e anche i pagani, l'avevan vista quaranta giorni di fila, ad ogni finir della notte; disgraziatamente la città dileguava, appena spuntava il giorno.
Origene, nella sua prefazione al Vangelo di san Giovanni, e nelle sue Omelie, cita gli oracoli dell'Apocalisse; e cita egualmente gli oracoli delle Sibille. Ma san Dionigi di Alessandria, che scriveva verso la metà del III secolo, dice, in uno dei suoi frammenti conservati da Eusebio, che quasi tutti i dottori respingevano l'Apocalisse come un libro del tutto privo di senso; che questo libro non è stato affatto scritto da san Giovanni ma da un tal Cerinto, il quale si era servito di un gran nome per dare maggior peso alle sue fantasie.
Il concilio di Laodicea, tenuto nel 360, non comprese affatto l'Apocalisse fra i libri canonici. È ben curioso che
Laodicea, una delle chiese cui l'Apocalisse si rivolgeva, respingesse un tesoro ad essa destinato; e che il vescovo di
Efeso, presente al concilio, respingesse anche lui questo libro di san Giovanni, sepolto in Efeso.
Era visibile a tutti che san Giovanni si rivoltava di continuo nella sua fossa, facendo di continuo sollevare e abbassare la terra. Pure, gli stessi personaggi che erano sicuri che san Giovanni non fosse morto, erano altrettanto sicuri che egli non aveva scritto l'Apocalisse. Ma quelli che credevano nel regno di mille anni furono inflessibili nella loro opinione. Sulpicio Severo, nella sua Storia sacra, libro IX, tratta da empi e insensati coloro che non riconoscevano l'Apocalisse. E infine, dopo molti dubbi, dopo opposizioni perpetuatesi di concilio in concilio, l'opinione di Sulpicio Severo prevalse. Chiarita la questione, la Chiesa decise che l'Apocalisse è incontestabilmente di san Giovanni: decisione inappellabile.
Ogni confessione cristiana s'è attribuita le profezie contenute in questo libro: gli inglesi vi hanno trovato le rivoluzioni della Gran Bretagna; i luterani, i disordini della Germania; i riformati di Francia, il regno di Carlo IX e la reggenza di Caterina de' Medici: e tutti hanno egualmente ragione. Bossuet e Newton commentarono entrambi
l'Apocalisse; ma, tutto sommato, le eloquenti declamazioni dell'uno e le sublimi scoperte dell'altro han fatto loro più onore che non quei commentari.







Bibliografia


Voltaire, F.-M. Dizionario filosofico

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