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Aquila




Uccello legato alle potenze solari, venerato presso diversi popoli nel mondo antico, l’aquila è simbolo delle forze celesti, spesso in contrapposizione con il serpente, associato invece agli Inferi. Dotato degli attributi di regalità e di vittoria e posto in relazione con le divinità della guerra già nella cultura assiro-babilonese, il volatile è assunto come insegna militare persiana, quindi viene adottato anche da Alessandro Magno; finisce per diventare il simbolo delle legioni romane. Nella Bibbia esprime rinnovamento, ma anche rapidità e forza. I numerosi significati culturali che le sono attribuiti vengono puntualmente assimilati dalla tradizione favolistica, che presenta vari punti di contatto con numerose fonti letterarie.
L’aquila occupa infatti un posto di particolare rilievo nella società esopica. Come il leone comanda sulla terra e il delfino è il sovrano dei mari, così, nella tradizione favolistica, l’aquila regna nei cieli. Esopo, che spesso nelle parti morali delle sue favole associa l’uccello ai potenti (a volte in opposizione ad altri, ritenuti inferiori, come il gracchio in 5 Ch.), esplicita il riferimento alla regalità nella favola 6 Ch. Qui troviamo un animale sofferente, a cui sono tagliate le ali: per il dolore si rifiuta di mangiare ed è descritto come «un re in catene» (anche se non ha immediata relazione con la favola, il proverbio Mihi pinnas inciderant, «Mi avevano tarpato le ali», è motivo proverbiale, attestato, fra gli altri, da Cicerone, Epistulae ad Atticum 4,2,5, per indicare un boicottaggio: cfr. Tosi 1991, 130). Anche in Fedro (1,28) l’aquila è associata ai sublimes, ossia a coloro che stanno in alto nella scala sociale, ma non per questo devono sottovalutare la vendetta degli humiles. Il suo primato nella società esopica emerge in modo molto chiaro da una favola di Babrio (99), in cui l’aquila vorrebbe stipulare un patto di alleanza con il leone, per conseguire un dominio incontrastato nel mondo degli animali, ma alla fine non ottiene il suo scopo. La tradizione medievale tenderà a confermare la dignità regale del volatile, e così anche la favola moderna (è, ad esempio, definita «principessa degli uccelli» in La Fontaine 2,8,9). Coerente con questo profilo
appare il ruolo nel mito: l’aquila è legata a Zeus, come attesta Omero (Iliade 24,293; 311); ancora, in epoca moderna, La Fontaine (nella favola 2,15,1) la definirà «uccello di Giove».
All’aquila sono dedicate alcune delle più antiche favole della tradizione greco-romana, a partire dal VII secolo a.C. Il poeta lirico Archiloco (frr. 174-180 W.2) fa riferimento a una vicenda ripresa poi da vari favolisti: l’aquila rapisce i piccoli della volpe, ma alla fine viene punita per la sua empietà grazie all’intervento divino. La favola, una delle più celebri della tradizione esopica, è presente anche in altre letterature antiche, a testimonianza non solo dell’ampia diffusione di motivi simili presso popolazioni lontane, ma soprattutto della persistente presenza dell’aquila in differenti contesti favolistici (e letterari: Adrados 1964). Va peraltro sottolineato come nel Poema di Etana (v.  Introduzione) la vicenda ricalchi quella esopica, ma la volpe sia sostituita dal serpente, secondo uno schema oppositivo aquila-serpente che è proprio anche della letteratura greca (Omero, Iliade 12,200 ss.) e sarà assimilato dalla cultura cristiana, dove l’uccello che afferra il rettile indica la vittoria sul peccato. D’altra parte, questi antichi avversari, che peraltro troviamo in lotta anche in una favola (Aftonio 28), «se raffigurati insieme, possono simboleggiare l’unità cosmica, la totalità, l’unione fra spirito e materia, intelletto e istinto, potere spirituale e potere temporale» (Cooper 37). La società esopica è tendenzialmente laica, e i rapporti tra i suoi membri prescindono dall’intervento della divinità: così nelle versioni successive della favola dell’aquila e della volpe l’intervento di Zeus si riduce e addirittura si annulla in Fedro (1,28), dove la volpe si vendica grazie soltanto al proprio ingegno.
Se Aristotele propone un’articolata classificazione dei vari generi di aquila, la tradizione favolistica, come spesso accade, preferisce concentrarsi su una versione uniformata, priva di particolari dal punto di vista esteriore: qui l’aquila pare vicina, in particolare, alla specie dell’aquila nera (Aristotele, Historia animalium 618b); certamente di bell’aspetto (Esopo 79 Ch.), non è tuttavia priva di elementi controversi sul piano morale. Il suo profilo emerge, infatti, attraverso caratteristiche di segno opposto: traditrice in 3 Ch., sprezzante e superba col piccolo scarabeo in 4 Ch., spietata giustiziera di un gallo superbo in 20 Ch.; talora persino poco scaltra, come in Fedro 2,6, favola in cui l’uccello, rappresentativo come sempre dei potenti, cattura una tartaruga, che si rinchiude nel suo guscio: solo l’astuzia della cornacchia le indicherà il modo più efficace per espugnarla. L’aquila, d’altra parte, appare anche coraggiosa, forte e abile predatrice, ad esempio quando ghermisce un agnello (5 Ch.). Nell’ambito di una società fondata sull’agricoltura e sulla pastorizia, non può che rappresentare un’insidia per l’uomo; si manifesta perciò un rapporto ambivalente, in cui il timore si unisce all’ammirazione. Ma spesso l’aquila si dimostra grata all’uomo o comunque gli reca benefici (come è attestato anche al di là della tradizione favolistica: Eliano, nel De natura animalium, 13,1, ricorda che un’aquila si recò da Gordio, mentre arava, preannunciandogli che il figlio Mida sarebbe diventato re della Frigia). Nella favola esopica, l’uomo può fare violenza all’aquila, magari mozzandole le ali, ma può anche curarla (come in Esopo 6 Ch.). L’animale – regale, venerato, sacro a Zeus – non è comunque mai profanato «fino alle estreme conseguenze», nel mondo laico e a volte rovesciato della favola esopica, probabilmente perché miti e credenze religiose sono ancora vitali in epoca storica (Pugliarello 1973, 110).






Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

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