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Astronomo



Si ritiene che lo studio degli astri abbia origine, per
quanto in forma assai rudimentale, già nella preistoria. Si
affina, quindi, nell’antichità presso diversi popoli: in
particolare, presso i Babilonesi, i Caldei, gli Egizi, gli Indiani
e i Cinesi. L’osservazione del cielo non è solo finalizzata a
conoscere la posizione dei corpi celesti, studiare fenomeni
(come le eclissi) e definire con precisione la misurazione del
tempo, ma serve anche per indagare l’influsso che gli astri
hanno sulla vita degli uomini (la cosiddetta astrologia). I
primi astronomi greci si ritrovano, a partire dal VII secolo
a.C., tra i filosofi naturalisti presocratici (Talete,
Anassimandro, Pitagora); successivamente la disciplina
suscita interesse anche in Platone e Aristotele.
Proprio Talete di Mileto (VII-VI secolo) è il protagonista,
secondo Platone, di un gustoso aneddoto (Teeteto 174a):
mentre è impegnato a scrutare gli astri, finisce nel pozzo (il
filosofo è noto, tra l’altro, per avere previsto, tra lo stupore
dei suoi contemporanei, l’eclissi solare del 585 a.C.). Questo
motivo ha lunga fortuna nell’antichità (v. sotto): l’idea della
paradossale situazione di chi si occupa di quanto è lontano o
invisibile e non vede quanto gli sta davanti diventa persino
proverbiale. La favola assimila il motivo, che appare
perfettamente funzionale alla visione del mondo propria dei
subalterni (in Platone, è, non a caso, una schiava tracia a
canzonare Talete). In Esopo, tuttavia, si trova un anonimo
astronomo che scruta le stelle (65 Ch.).








Bibliografia


Stocchi C. Dizionario della favola antica, BUR, 2012

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