Aurora
Figlia di Iperione e di Tea. I greci la chiamavano Eos. Presiedeva alla prima luce del giorno e abitava un palazzo vermiglio. Aveva le dita e le braccia rosee; dicevasi che lieta e robusta si levasse ogni mattina dal suo letto, indossava il suo mantello d'oro, si affrettava a bardare i suoi cavalli Lampo e Fetonte (splendore e scintilla) per gratificare della diurna luce Dei e uomini, prevenendo il corso del Sole, e spargendo di rose gialle e vermiglie il suol cammino. Rappresentasi ordinariamente coronala di raggi, e talvolta alata; alcuni le mettono in mano una fiaccola. Tre mortali furono sucessivamente amati dall'Aurora: il titano Astreo, il bel cacciatore Orione e Titone re dei Troiani, il quale la sposò, e per lui chiese e ottenne in dono da Giove l'immortalità, ma per essersi scordata di chiederà anche una perpetua giovinezza, egli invecchiò perdendo ogni bellezza e attrattiva. Ridotto Titone vecchio tutte rughe, non capace d'altro che di far sentire la suall voce, fu dall'Aurora abbandonato, e convertito in cicala: allegoria del giorno che è bello e fresco lall mattina, poi dai raggi cocenti del sole vien fatto vecchio, secco e deforme. Titone la rese madre di Mennone, principe degli Etiopi, che fu ucciso da Achille. Dopo la morte del figlio, Aurora non cessò di piangere; e le sue lagrime, che scendono sull'erba e sui fiori, formano la rugiada. — Gli Egiziani simboleggiavano il crepuscolo con la stella Venere. Vedi Speranza.
Bibliografia
Ronchetti G., Dizionario illustrato dei simboli, Hoepli, MIlano, 1928