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Franz Brentano




BRENTANO FRANZ, n. a Marienberg presso Boppard il 16 gennaio 1838, m. a Zurigo il 17 marzo 1917. In seguito alla lettura delle opere di Aristotele si dedica allo studio della filosofia e della teologia. Nel 1864, dopo un periodo trascorso presso il convento dei domenicani a Graz, prende i voti. Libero docente a Würzburg dal 1866, riscuote, con le sue lezioni in aperta antitesi con le tesi dell’idealismo tedesco, un indiscusso successo di pubblico. Tra gli allievi di questo periodo si possono annoverare le presenze di C. Stump e A. Marty, L. Schutz, J. Wolff e altri ancora. I suoi primi scritti trovano una diretta derivazione dagli studi aristotelici. Nel 1869 polemizza sull’infallibilità papale e nel 1873, a seguito di un travagliato periodo spirituale, abbandona l’abito talare. Questa scelta provocherà nella sua vita non poche difficoltà, soprattutto per quanto concerne gli incarichi universitari che più volte gli verranno rifiutati. È costretto a insegnare sempre a Würzburg come Privatdozent. In questo periodo progetta anche la costruzione di un laboratorio di psicologia presso l’Università di Vienna. L’iniziativa intrapresa per consentire una maggiore applicazione del metodo sperimentale alla psicologia, viene accolta dopo molti anni dalle autorità ministeriali, ma la direzione è affidata ad un allievo di B., Hillebrand. Nel 1880 si trasferisce a Lipsia pur mantenendo l’incarico di Privatdozent a Vienna fino al 1895. In questo periodo avrà tra i suoi allievi anche S. Freud. Negli anni successivi sarà prima in Svizzera e quindi in Italia dove abiterà dal 1897 a Firenze, avendo contatti con molti esponenti della cultura italiana tra i quali lo psicologo F. De Sarlo. Diventato cieco continua il suo lavoro dettando i testi dei suoi libri alla moglie. Nel 1915 si trasferisce a Zurigo. B. si occupa di psicologia a partire dal 1871. Il suo pensiero psicologico si sviluppa negli anni assumendo i contorni di una ontologia reista. La psicologia è per lui come la "dottrina dei fenomeni psichici", peculiarità che la distingue nettamente dalle discipline scientifiche che hanno per oggetto i fenomeni fisici. Il concetto di intenzionalità è al centro delle sue speculazioni teoriche in ambito psicologico. Nel 1874, infatti, nello stesso anno in cui W. Wundt pubblica i Grundzuge der physiologischen Psychologie (Elementi di psicologia fisiologica), B. propone nel suo libro La psicologia dal punto di vista empirico una nuova chiave di lettura dei fenomeni psichici cambiando radicalmente l’oggetto stesso dell’analisi psicologica. Nella sua opinione, sono rilevanti per la psicologia dal punto di vista empirico, non i contenuti della coscienza bensì gli "atti intenzionali" che li producono. In contrapposizione con la scuola di Wundt, afferma che caratteristica essenziale degli atti mentali è la loro intenzionalità. Al centro della sua indagine, infatti, non sono, come avverrà per Wundt, le percezioni, le sensazioni o le immagini, bensì il percepire, il sentire, l’immaginare. L’intenzionalità può essere definita come una tensione della coscienza verso l’altro da sé. Il termine, derivato dalla scolastica, è introdotto nel linguaggio filosofico moderno da B. per designare la caratteristica dei fatti psichici che hanno tutti in comune il riferimento ad un oggetto, e ripreso da Husserl per indicare la forma essenziale di ciò che si chiama "coscienza", ovvero la sua relazione all’oggetto. La coscienza per B. è infatti sempre coscienza di qualcosa. Nel rapportarsi del soggetto all’oggetto, quest’ultimo, infatti, sebbene abbia caratteristiche specifiche e una propria realtà, esiste in sede psichica solo nella misura in cui un atto ci riporta ad esso, quando cioè l’oggetto diventa "oggetto" di un atto. La psicologia dell’atto, quindi, incentra la propria attenzione nel soggetto e nei dati immediati dell’esperienza. Per questo motivo B. è da molti considerato il precursore della fenomenologia, essendo l’atteggiamento fenomenologico un "andare verso il reale", un’analisi dell’esperienza diretta. I fenomeni psichici nella relazione intenzionale della coscienza non si presentano tutti attraverso la stessa forma. B. introduce una classificazione divenuta celebre per aver confutato la dottrina di derivazione kantiana delle "tre facoltà": pensiero, sentimento, volontà. Sulla base della teoria cartesiana egli distingue tre classi di fenomeni. Le ideae-iudicia-voluntates sive affectus, ovvero le "rappresentazioni" manifestantisi attraverso l’immediatezza sensoriale o in altro modo. Gli iudicia, ovvero i "giudizi" per mezzo dei quali alla semplice rappresentazione si aggiunge una seconda relazione intenzionale verso l’oggetto, quella del "riconoscimento" e del "ripudio", del giusto e del non giusto. La potenzialità discriminativa tra amore e odio, tra piacere e dispiacere è prerogativa, in ultima analisi, delle voluntates sive affectus, dei moti sentimentali verso l’oggetto. Sulla scorta di questa classificazione fenomenica, B. fonda la propria dottrina etica. Ci preme sottolineare che l’opera di B. ha esercitato una notevole influenza sullo sviluppo della psicologia. La psicologia della Gestalt e la psicologia fenomenologica, in particolare, si sono avvalse dei suoi contributi.


Bibliografia


Carotenuto, A. (a cura di), Dizionario bompiano degli psicologi contemporanei, Bompiani, Milano, 1992

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