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Bulimia




La bulimia, intesa come voracità smisurata, figura nelle letterature e nelle mitologie di tutte le epoche. Dalla medicina è stata considerata a lungo sintomo di varie malattie: per venticinque secoli, se si calcola il tempo trascorso dagli scritti di Ippocrate e di Aristotele nei quali la parola bouliméa già compare. A partire dal 1979 il termine è stato usato per indicare una sindrome specifica, la 'bulimia nervosa', distinta dalla 'anoressia nervosa' anche se a essa, sotto molti aspetti, affine (v. anoressia).

sommario: I. Trasformazioni semantiche: dalla dismisura al discontrollo. 2. La bulimia nervosa. 3. Criteri diagnostici attuali. 4. Epidemiologia. 5. Teorie eziologiche. 6. Terapia e prognosi. □ Bibliografia.

I. Trasformazioni semantiche: dalla dismisura al discontrollo

Bulimia deriva direttamente dal greco βουλιμία, termine usato da Galeno (2° sec. d.C.) e già prima da Ippocrate (5° sec a.C.) e da Aristotele (4° sec a.C.) con il significato di fame enorme, smisurata. La parola è composta dal prefisso intensivo βου- e dal sostantivo λιμός (fame). Il prefisso deriva dal sostantivo βοῦς (bue, vacca, toro), l'animale di maggior mole che facesse parte dell'esperienza quotidiana degli antichi greci. Bulimia significa, quindi, letteralmente, "fame da bue". In testi medici latini lo stesso sintomo è stato indicato, chiamando in causa un altro animale, con l'espressione appetentia canina. La formula, grecizzata, ha dato origine più tardi, nella psichiatria dell'Ottocento, al termine cinoressia, di breve fortuna. Il bue era evocato per la sua mole, il cane era messo in gioco come animale che morde: bocca non solo vorace ma anche aggressiva. I termini bulimia e cinoressia esprimono bene due aspetti dell'attacco bulimico: l'enormità e la rabbia distruttiva.
La metafora animale che è alle origini del vocabolo riflette il modo in cui le persone bulimiche vivono, di solito, l'atto di mangiare: come funzione inferiore e degradante, bisogno bestiale, irresistibile e minaccioso. La lingua tedesca ha due parole per dire mangiare: essen, per gli esseri umani e fressen, per gli animali. Le pazienti di M. Wulff, psicoanalista tedesco al quale si attribuisce la prima (1932) descrizione clinica di quella sindrome che oggi si chiama bulimia nervosa, indicavano spesso il loro atto di mangiare, nel corso delle crisi bulimiche, con il verbo fressen, "divorare con voracità bestiale".
Nel corso del tempo, la definizione del termine bulimia ha subito cambiamenti interessanti, che corrispondono a caratteri nuovi del fenomeno e a spostamenti d'accento e di fuoco d'osservazione. Nel Dizionario medico-etimologico di N. Palli (1870, p. 51), si legge: "Dicesi bulimia la fame così intensa che può dirsi malattia, poiché eccede in paragone delle forze digestive dello stomaco". Il Dizionario medico enciclopedico di A. von Eulenburg (1889) definiva la bulimia 'aumento morboso' del senso della fame senza perdita del senso di sazietà. La bulimia era distinta, quindi, dall'insaziabilità (acoria o aplestia). Come rimedio palliativo veniva consigliato l'uso dell'oppio e dei suoi alcaloidi. Questo uso generico del termine bulimia nel senso di fame eccessiva, voracità senza misura, smodata ingestione di alimenti è continuato fino agli anni Ottanta del 20° secolo. È una definizione che insiste sugli aspetti di rabelaisiana enormità, di dismisura, di deviazione quantitativa dalla norma. Non permette, però, di riconoscere che non tutti gli eccessi alimentari hanno le stesse manifestazioni e, soprattutto, lo stesso vissuto soggettivo: alcuni quadri clinici si rivelano più complessi e inquietanti.
Sfogliando ancora testi della prima metà del Novecento si incontra una distinzione semeiologica sulla quale può essere utile soffermarsi. Il Précis de psychiatrie di H. Lévy-Valensi (1926), per es., separa con chiarezza due sintomi: la bulimia (eccessiva ingestione abituale di alimenti) e la 'sitomania' o 'sitiomania' ('bulimia impulsiva', 'ossessione impulsiva'). La distinzione ricalcava quella classica di V. Magnan fra 'potomania' (tendenza abituale a bere in misura eccessiva) e 'dipsomania' (impulso accessuale, ossessivo-coatto, a bere smisuratamente). Attraverso la distinzione bulimia/sitomania si faceva strada un dato clinico. Non tutti gli eccessi alimentari sono uguali: in alcuni casi è in gioco un impulso accessuale, più o meno intensamente ego-distonico (vissuto in modo conflittuale), che rimanda alla fenomenologia dei disturbi ossessivo-compulsivi e aggiunge un elemento qualitativo, soggettivo, alla definizione del sintomo. Nella semeiotica psichiatrica contemporanea la distinzione è enfatizzata, ma l'uso dei termini è rovesciato: si parla di 'iperfagia' per indicare la tendenza abituale, più o meno ego-sintonica, a mangiare troppo e di 'bulimia' per indicare gli attacchi compulsivi, accessuali, ego-distonici, cioè la vecchia sitomania. L'uso attuale del termine implica oltre al dato oggettivo dell'eccesso il sentimento soggettivo di coazione invincibile e di perdita di controllo.

2. La bulimia nervosa

La data di nascita del concetto di bulimia nervosa come entità nosografica autonoma può essere collocata nel 1979, anno di pubblicazione di un articolo dello psichiatra inglese G.F.M. Russell intitolato Bulimia nervosa: an ominous variant of anorexia nervosa. Russell esaminava trenta casi clinici (due soli i maschi) che soffrivano di crisi bulimiche ed erano, insieme, dominati da una paura morbosa di ingrassare. Sei casi non avevano precedenti di anoressia nervosa; ventiquattro ne avevano invece sofferto in forma grave e durevole (diciassette) o lieve e transitoria (sette). Al momento della consultazione, il peso era vicino alla norma in quattordici casi; gravemente diminuito (di oltre il 15% rispetto alla norma) in altri quattordici casi; aumentato (di oltre il 20%) nei restanti due. Russell, confrontando la bulimia nervosa con la 'vera' anoressia nervosa, osservava che nella bulimia nervosa: il peso corporeo è più elevato; è conservata la presenza di cicli mestruali fertili; è comune una vita sessuale attiva; è alta l'incidenza di crisi depressive con un importante rischio di suicidio. Concludeva che la bulimia nervosa è una variante pericolosa dell'anoressia nervosa, un quadro clinico autonomo, con una prognosi più sfavorevole. Un anno dopo, la terza edizione del Diagnostic and stat-istical manual of mental disorders dell'American psychiatric association (DSM-III 1980) ratificava l'uso della parola bulimia come nome di una sindrome particolare e ne fissava i criteri diagnostici. La bulimia secondo il DSM-III non si sovrapponeva alla bulimia nervosa di Russell, ma copriva un'area più estesa: i criteri DSM-III comprendevano anche le forme lievi, normopeso, con crisi bulimiche rare, senza quella estrema paura di ingrassare (weight phobia) che secondo Russell è invece necessaria per la diagnosi di bulimia nervosa e che è il tratto psicopatologico più importante, comune con l'anoressia. Le ricerche epidemiologiche, condotte applicando i criteri larghi del DSM-III, hanno segnalato una presenza elevatissima di casi di bulimia fra le donne giovani con valori di prevalenza anche del 20%, un caso ogni cinque ragazze.
Negli anni successivi, il problema della definizione diagnostica è stato molto dibattuto. Ai criteri DSM-III è stato rimproverato di non distinguere tra forme lievi e forme gravi di bulimia e di ignorare i rapporti nosodromici e psicopatologici profondi che intercorrono fra bulimia e anoressia. Sette anni dopo, il DSM-III-R (la terza edizione del manuale, rivista nel 1987) ha accolto l'espressione di Russell 'bulimia nervosa' per indicare la categoria nosografica e ha fissato criteri diagnostici molto più restrittivi. Tale posizione è stata inoltre confermata dalla letteratura scientifica successiva.

3. Criteri diagnostici attuali

Come la maggior parte dei disturbi mentali, la bulimia nervosa è descritta su base sindromica: una particolare costellazione di sintomi che si presentano per lo più associati, con decorso e prognosi relativamente comuni. Secondo la decima edizione della International classification of mental and behavioural dis-orders dell'Organizzazione mondiale della sanità (ICD-10 1992) e secondo la quarta edizione del Diagnostic and statistical manual of mental disorders dell'American psychiatric association (DSM-IV 1994), sono tre i sintomi principali richiesti attualmente per la diagnosi di bulimia nervosa: a) accessi frequenti di voracità smisurata e incontrollabile (binge eating), almeno due a settimana, in media, da almeno tre mesi consecutivi; b) paura morbosa di ingrassare con grande preoccupazione per il peso e le forme del corpo: l'immagine fisica di sé ha un'importanza decisiva per il sentimento del proprio valore come persona; c) ricorso abituale a comportamenti diretti a contrastare gli effetti sul peso degli attacchi di voracità (vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, farmaci per dimagrire, digiuni, esercizio muscolare eccessivo).Sulla base del tipo di pratiche di compenso utilizzate, il DSM-IV distingue due tipi di bulimia nervosa: a) bulimia nervosa con condotte di eliminazione (bulimia nervosa purging), in cui sono utilizzate pratiche attive e pericolose di svuotamento (vomito, abuso di lassativi e diuretici) e il peso corporeo è, in genere, basso; b) bulimia nervosa senza condotte di eliminazione (bulimia nervosa non purging), in cui le pratiche di compenso sono soprattutto il digiuno e l'esercizio fisico eccessivo e il peso corporeo è, in genere, normale o elevato. È probabile che la bulimia nervosa purging presenti maggiori affinità con l'anoressia nervosa che con la bulimia nervosa non purging.
Negli anni Novanta, fra i disturbi del comportamento alimentare parziali o subliminali, ha suscitato notevole interesse un quadro clinico definito in inglese Binge eating disorder (BED), espressione tradotta in italiano come "disturbo da alimentazione incontrollata" o "da abbuffate compulsive". In questa sindrome sono presenti le crisi frequenti di ingordigia compulsiva, di bramosia irresistibile per il cibo, ma non i gravi e pericolosi comportamenti di compenso della bulimia nervosa. Il peso corporeo, di conseguenza, è in genere superiore al normale. È probabile che questo disturbo sia abbastanza diffuso tra gli obesi, soprattutto fra quelli che si sono sottoposti a diete drastiche ripetute. Le frequenze riportate variano molto: dal 20% fin quasi alla metà dei casi con una media vicina al 30%. Gli studi non utilizzano sempre gli stessi metodi e gli stessi strumenti per formulare una diagnosi di BED e i campioni di soggetti sovrappeso non sono sempre rappresentativi di tutta la popolazione obesa.
Sul piano della distribuzione tra i sessi, il BED è più frequente fra le donne. Gli obesi-BED vanno incontro a maggiori fluttuazioni del peso e vivono l'alimentazione in modo molto più conflittuale con maggiori problemi di insoddisfazione del corpo rispetto agli obesi non-BED. Molti studi hanno concentrato la loro attenzione su due possibili fattori di rischio: la restrizione dietetica (circolo restrizione-disinibizione) e la tendenza a mangiare in risposta a stati emotivi (emotional eating). Riconoscere la presenza di un disturbo di alimentazione incontrollata in un obeso sarà probabilmente utile per disegnare strategie terapeutiche specifiche.

4. Epidemiologia

La precisazione dei criteri diagnostici ha portato a una buona concordanza dei risultati degli studi epidemiologici sulla bulimia nervosa: nei paesi occidentali industrializzati e in Giappone, la prevalenza è di circa un caso ogni cento giovani donne in età di rischio (15-25 anni). Si può dire, indicativamente, che in Italia, ogni cento ragazze in età di rischio otto soffrono di qualche disturbo del comportamento alimentare: una-due nelle forme più gravi (anoressia nervosa, bulimia nervosa), le altre nelle forme più lievi, spesso transitorie, di un disturbo parziale o subliminale in cui sono presenti alcuni comportamenti alimentari abnormi (per es., il vomito autoindotto o la pratica di diete drastiche ingiustificate), ma non tutti i sintomi richiesti per la diagnosi di anoressia o di bulimia.
Per la bulimia nervosa, sindrome come accennato di definizione recente, i confronti con un passato lontano non sono possibili. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta è stata segnalata una sua frequenza notevole dovuta, probabilmente, sia alla sempre maggior conoscenza di questa nuova sindrome fra i medici e nella popolazione stessa (aumento apparente), sia, come per l'anoressia nervosa, alle influenze patoplastiche di fattori storici, sociali e culturali sulla scelta del sintomo (aumento reale). La sovrabbondanza di cibo facilmente disponibile, il culto della magrezza, i nuovi ruoli sociali della donna sono considerati fra gli elementi in gioco più importanti. È stata anche segnalata, da più parti, una serie di metamorfosi della sintomatologia dominante tra i disturbi del comportamento alimentare. Negli anni Sessanta prevalevano le anoressie restrittive; negli anni Settanta sono diventati più frequenti i casi di anoressia nervosa di tipo bulimico; negli anni Ottanta sono drammaticamente aumentati i casi di bulimia nervosa; negli anni Novanta, infine, sono diventate sempre più comuni le cosiddette bulimie multimpulsive, in cui gli attacchi di voracità incontrollabile sono associati ad abuso di alcol, droghe e farmaci, sessualità caotica, cleptomania, gesti autolesivi, tendenza a spendere denaro senza misura.La fascia d'età in cui cade l'esordio della bulimia nervosa è compresa, nella maggior parte dei casi, fra i quindici e i venticinque anni. Sono descritte forme precoci, anche in età prepuberale, e tardive, anche successive alla menopausa. È molto più frequente fra le donne. È diffusa in tutte le classi sociali e comportamenti bulimici sono stati riscontrati anche tra vagabondi senza dimora.
Allo stesso modo dell'anoressia nervosa, la bulimia nervosa è una sindrome legata all'epoca storica e alla temperie culturale: descritta inizialmente solo nei paesi occidentali industrializzati e in Giappone, si sta diffondendo negli altri (paesi dell'Europa orientale e paesi in via di sviluppo) man mano che acquisiscono usi, costumi e valori occidentali. Per le stesse ragioni, sembra che compaia soprattutto nelle generazioni successive alla prima degli immigrati da paesi poveri in paesi ricchi. Per quanto riguarda le possibili complicanze mediche, esse sono dovute sia alle 'abbuffate' sia alle pratiche di compenso adottate da chi soffre di bulimia nervosa. Sono descritti, anche in Italia, rari casi di morte per rottura dello stomaco durante una crisi. Il vomito ripetuto e l'abuso di lassativi e diuretici provocano scompensi dell'equilibrio elettrolitico, in particolare ipopotassiemia, con conseguenze pericolose a livello cardiaco, renale, cerebrale. Erosioni gravi dello smalto dei denti, gastriti, esofagiti, colon da catartici, emorroidi, prolasso rettale sono fra le altre conseguenze del vomito e dell'abuso di lassativi. I danni da malnutrizione sono presenti soprattutto nelle forme di bulimia nervosa purging più gravi, vicine all'anoressia nervosa.

5. Teorie eziologiche

Sono state formulate varie ipotesi su singoli fattori (individuali, familiari e socioculturali) che possono concorrere a determinare l'insorgenza della bulimia nervosa. Non è ancora possibile, però, costruire una teoria sintetica che spieghi i meccanismi eziopatogenetici e che, in particolare, indichi quale specifica interazione di forze sia necessaria e sufficiente. Il modello generale di malattia da ritenere più convincente e utile è quello che vede nell'evento patologico la via finale comune di vari possibili processi patogenetici che nascono da interazioni diverse tra forze molteplici. In tale prospettiva, è utile distinguere tra fattori predisponenti a lungo termine, altri precipitanti e altri ancora che tendono a perpetuare la sindrome. Un cenno particolare meritano alcuni fattori di natura iatrogena. I fattori predisponenti a lungo termine sono individuali, familiari e socioculturali: anzitutto il genere (femminile) e l'età (adolescenza, giovinezza). Non è infrequente una storia infantile di sovrappeso e di diete. L'adolescenza attraversa un'alternanza di fasi psicologiche in cui forti spinte separative si scontrano con altrettanto potenti vincoli di dipendenza e si articolano con complicati processi di identificazione e distinzione nei confronti dei genitori. I disturbi del comportamento alimentare sono legati a inibizioni e arresti di tale percorso, il quale riserva alle ragazze una complicazione particolare: la madre è la stessa figura dalla quale ci si separa per crescere e con la quale ci si identifica lungo la costruzione di un ruolo femminile adulto. Tratti di personalità come lo scarso controllo degli impulsi, l'intolleranza delle frustrazioni, i cambiamenti repentini d'umore sono frequenti.Vari fattori familiari possono svolgere un ruolo nella predisposizione. Sul piano genetico, il rischio di ammalarsi di bulimia nervosa tra i parenti di primo grado e di genere femminile delle persone affette da questa patologia è doppio rispetto a gruppi di controllo. Il tasso di concordanza (valore percentuale dei casi in cui i gemelli sono affetti entrambi da bulimia nervosa) è 23,9% in coppie di gemelli monozigoti ed è 8,7% in coppie di gemelli dizigoti. Disturbi dell'umore e alcolismo dell'uno o dell'altro dei genitori e obesità della madre sono stati segnalati come possibili fattori di rischio. Una parte importante è giocata dalle caratteristiche di vischiosità e scarsa definizione dei ruoli nel gruppo familiare, dall'incapacità di riconoscere e sostenere la distinzione, la separazione, l'indipendenza, l'autonomia. Sono frequenti la soggezione al mito del successo, il bisogno di rispondere alle attese sociali, la dipendenza dal consenso e dall'ammirazione degli altri. Su queste stesse linee interviene il peso di fattori micro- e macrosociali e di valori collettivi: la competitività esasperata di certi ambienti, la richiesta di prestazioni straordinarie, l'esaltazione della magrezza, il mito della bellezza, le sollecitazioni molteplici e contraddittorie alle quali è esposta una giovane donna nell'era post-moderna, variegato collage di nuovo e di antico.
Vari eventi possono precipitare l'esordio del disturbo. Essi non sono sostanzialmente diversi da quelli riportati per altre malattie psichiatriche, dato che mettono in risalto l'importanza dei fattori predisponenti nella scelta del sintomo: separazioni e perdite, alterazioni dell'omeostasi familiare, prove nuove che minacciano la stima di sé, esperienze sessuali e in particolare, fra queste, abusi subiti nel corso dell'infanzia o dell'adolescenza. Qualche volta è una malattia fisica acuta o un trauma accidentale l'accadimento che precipita l'inizio del disturbo. Lo sviluppo puberale stesso può essere vissuto come un trauma e come una minaccia al controllo di sé e della propria vita: la pubertà femminile è vicenda più complessa e clamorosa di quella maschile per il rapido aumento del peso corporeo, le trasformazioni morfologiche vistose, il menarca, il rischio di gravidanza, i cambiamenti profondi dello sguardo degli altri su di sé.
Una volta che la bulimia è insorta vari fattori di autoperpetuazione tendono a mantenerla: si stabilisce l'abitudine ad affidare alle crisi bulimiche una funzione di regolazione delle tensioni emotive, di qualsiasi natura, spiacevoli e piacevoli; gli svuotamenti violenti, i digiuni, la malnutrizione favoriscono le perdite periodiche di controllo e gli attacchi di voracità compulsiva, che a loro volta aumentano l'ansia e la paura di ingrassare e di perdere ogni padronanza di sé ed esasperano le contromisure difensive; l'impoverimento della trama dei rapporti interpersonali e delle vicissitudini esistenziali favorisce la concentrazione sul corpo e sul cibo.Alcuni interventi medici, infine, possono contribuire allo scatenamento, al mantenimento o all'aggravamento della bulimia nervosa. La prescrizione di diete più o meno drastiche in età adolescenziale, senza adeguata valutazione dei fattori di rischio, può avviare l'inizio della sindrome. Il circolo vizioso restrizione-bulimia-restrizione è un fattore importante per comprendere, sul piano sociale, il ruolo che l'abuso di diete ha giocato nella diffusione dei disturbi del comportamento alimentare.

6. Terapia e prognosi

I trattamenti di tipo residenziale o semiresidenziale (ospedale, day-hospital, comunità terapeutica) sono riservati ai casi più gravi e resistenti, nelle forme di interventi d'emergenza a breve termine (poche settimane) o di programmi di riabilitazione a medio termine (tre-sei mesi). Quattro condizioni che, da sole o combinate, possono rendere necessario un ricovero sono le seguenti: a) perdita di peso uguale o maggiore del 40% (più temibile se si è verificata in poco tempo) e rifiuto di alimentarsi adeguatamente; b) squilibri elettrolitici, in particolare ipopotassiemia; c) disturbi psichici gravi e rischio di suicidio; d) necessità di una separazione dalla famiglia per interazioni patologiche non controllabili. Il trattamento di scelta della bulimia nervosa è la psicoterapia; non esistono finora farmaci che abbiano un'indicazione specifica né un'efficacia a lungo termine dimostrata sperimentalmente. I trattamenti psicoterapeutici, spesso protratti per anni, rappresentano lo strumento più utile di intervento. La psicoanalisi con i suoi vari orientamenti teorico-clinici, le psicoterapie relazionali-sistemiche (della famiglia) e quelle cognitivo-comportamentali hanno dato tutte contributi essenziali alla comprensione e al trattamento della bulimia. Il modello cognitivo-comportamentale è, al momento, quello più diffuso. Mancano però studi sufficientemente estesi e rigorosi che confrontino in modo incontrovertibile i risultati conseguiti con tecniche psicoterapeutiche diverse e con combinazioni di trattamenti.In molti casi in cui si applica una terapia individuale è utile o indispensabile almeno un counselling psicologico, se non una terapia formalizzata, dei genitori o del partner. Una forma particolare di intervento che si è diffusa negli ultimi anni è rappresentata dai gruppi di autoaiuto (Self-help groups) tra persone sofferenti per disturbi bulimici; i più noti sono i gruppi OA (Overeaters anonymous), attivi da anni anche in Italia. I manuali di autoaiuto per la bulimia sono strumenti comparsi di recente. Possono integrare cure più complesse, precederle o, eccezionalmente, sostituirle con l'obiettivo di un controllo sintomatico del comportamento alimentare disturbato. Tutte le tecniche di autoaiuto richiedono il controllo periodico di uno specialista. Sono numerose le ricerche sul trattamento della bulimia nervosa con farmaci, soprattutto con antidepressivi. I tentativi sono basati su criteri empirici, psicopatologici (per es., rapporti fra bulimia e disturbi depressivi) e neurochimici (per es., funzioni dei sistemi neurotrasmettitoriali, in particolare serotoninergici): è noto da tempo che il blocco dei recettori dopaminergici e serotoninergici (con farmaci antagonisti) può produrre aumenti ponderali e che la stimolazione degli stessi (con farmaci agonisti) può ridurre la frequenza degli attacchi di alimentazione incontrollata in pazienti bulimiche. Un esame degli studi sperimentali (doppio-cieco placebo-controllati) porta alle seguenti conclusioni generali: a) potenzialmente, tutte le famiglie di farmaci dotati di proprietà antidepressive (v. antidepressivi) hanno efficacia antibulimica, come, per es., triciclici, IMAO, antidepressivi atipici (fra questi ultimi, la fluoxetina si è dimostrata un farmaco particolarmente efficace e maneggevole); b) gli effetti antibulimici degli antidepressivi (riduzione del numero delle crisi) si manifestano indipendentemente dalla coesistenza di uno stato depressivo e dal suo miglioramento; c) nessuno studio controllato ha dimostrato, finora, che l'efficacia antibulimica dei farmaci si mantiene nel tempo, a distanza di anni dalla sospensione della terapia, né che gli effetti terapeutici si estendono al di là del beneficio sintomatico. I farmaci, pertanto, hanno un ruolo di supporto temporaneo nel quadro di strategie psicoterapeutiche a lungo termine.
Il decorso della bulimia nervosa è variabile: va da un singolo episodio, benigno, che si risolve in pochi mesi, fino a una malattia cronica, persistente o ricorrente, con un discreto rischio di morte per complicanze mediche o per suicidio. Il tasso di ricadute (ritorno dei sintomi dopo breve remissione) è elevatissimo. Le recidive (ritorno dei sintomi dopo lunga remissione e interruzione del trattamento) possono capitare anche dopo anni. Quanto più lungo è il controllo catamnestico tanto minori sono i risultati favorevoli. Non sono significativi studi con follow-up inferiore a quattro anni. Nella valutazione si devono prendere in considerazione almeno tre dimensioni: condizioni fisiche, condizioni psichiche, posizione e relazioni sociali. L'esperienza clinica suggerisce che il decorso non è lo stesso ai tre livelli e che altri disturbi psicopatologici tendono a persistere a lungo o a presentarsi ex novo anche dopo la remissione dei sintomi specifici e il miglioramento delle condizioni fisiche.





Bibliografia


da Enciclopedia Treccani
www.treccani.it

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