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Carattere




Dal greco, impressione, impronta. È ciò che la natura ha impresso in noi. Possiamo cancellarlo? Che grosso problema. Se io ho il naso storto e due occhi da gatto, potrò nasconderli con una maschera. Ma posso fare altrettanto con il carattere che la natura mi ha dato? Un uomo nato violento, facile ad infuriarsi, si presenta davanti a Francesco I, re di Francia, per protestare contro un sopruso; il volto del re, il contegno rispettoso dei cortigiani, il luogo stesso in cui si trova, fanno una profonda impressione su quest'uomo; macchinalmente abbassa gli occhi, addolcisce la sua rude voce, presenta umilmente la sua richiesta; lo si crederebbe tanto mite quanto (almeno in quel momento) lo sono i cortigiani fra i quali si trova, sconcertato; ma se Francesco I conosce le fisionomie, scoprirà facilmente nei suoi occhi bassi, ma accesi da una cupa fiamma, nei muscoli tesi del viso, nelle labbra serrate, che quell'uomo non è così mite com'è costretto ad apparire. Quell'uomo lo segue a Pavia, vien fatto prigioniero con lui, e con lui condotto in prigione a Madrid; la maestà di Francesco I non fa più su di lui la stessa impressione; egli si familiarizza con l'oggetto del suo rispetto. Un giorno, cavando gli stivali al re, e tirandoli male, fa arrabbiare Francesco I, inasprito dalla sua sventura; il nostro uomo manda al diavolo il re e butta gli stivali dalla finestra.
Sisto V era nato petulante, testardo, altero, impetuoso, vendicativo, arrogante: questo carattere sembra farsi più mite nelle prove del noviziato. Ma appena comincia a godere di qualche credito nel suo ordine, s'infuria contro un guardiano e quasi lo accoppa a forza di pugni; inquisitore a Venezia, esercita il suo incarico con insolenza; eccolo
cardinale, posseduto dalla «rabbia papale»; questa rabbia gli fa vincere la sua natura; seppellisce nell'oscurità la sua
persona e il suo carattere: si atteggia ad umile, si finge moribondo. Viene eletto papa: questo restituisce alla molla, che la politica aveva piegato, tutta la sua elasticità a lungo compressa: adesso è il più fiero e il più dispotico dei sovrani.

Naturam expellas furca, tamen ipsa redibit.

La religione, la morale mettono un freno alla forza del naturale: non possono distruggerla. L'ubriacone in un chiostro, ridotto a un mezzo bicchiere di sidro per pasto, non si ubriacherà più, ma penserà sempr e con desiderio al
vino.
L'età indebolisce il carattere; è un albero che non produce più che qualche frutto degenere, ma sempre della stessa natura: si copre di nodi e di musco, diventa tarlato, ma resta sempre una quercia o un pero. Se potessimo
cambiare il nostro carattere, ce ne daremmo uno e saremmo padroni della natura. Ma possiamo, noi, darci qualcosa?
Non riceviamo tutto? Cercate di spingere un indolente ad una attività continua, di smorzare con l'apatia l'animo bollente dell'impetuoso, d'ispirare il gusto per la musica e la poesia a chi manca di gusto e d'orecchio: non riuscireste meglio che se tentaste di ridare la vista a un cieco nato. Noi perfezioniamo, mitighiamo, nascondiamo quel che la natura ha messo
in noi; ma non ci mettiamo niente.
Si dice a un coltivatore: «Avete troppi pesci in questo vivaio; non potranno prosperare; troppo bestiame nei vostri prati e troppa poca erba: dimagrirà.» Dopo questa esortazione si arriva al fatto che i lucci mangiano metà delle carpe del nostro uomo, e i lupi metà dei suoi montoni; quello che resta vivo ingrassa. Si rallegrerà della propria economia? Questo campagnolo sei tu; una delle tue passioni ha divorato le altre, e tu credi d'aver trionfato di te stesso.
Non somigliamo quasi tutti a quel vecchio generale di novant'anni che, incontrati alcuni giovani ufficiali mentre facevano un po' di chiasso con delle donnine allegre, urlò loro infuriato: «Signori, è forse questo l'esempio che io vi do?»







Bibliografia


Voltaire, F.-M. Dizionario filosofico

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